Tra fango e disperazione

Avevo scritto questo simile articolo quando successe la catastrofe ad Haiti, dove quella sorta di apocalisse così vicina grazie alle tv, ma al tempo stesso così geograficamente lontana, sembrava quasi non coinvolgerci molto da vicino. In questo ultimo periodo, invece, basta accendere la tv e trovarsi dinnanzi a scene inumane, purtroppo così vicine a noi da disarmarci inevitabilmente. E' sicuramente indescrivibile ciò che ognuno di noi ha potuto provare facendo i conti con queste immagini quasi surreali. Così l’immedesimazione e la suggestionabilità accorciano le distanze e ci fanno sentire estremamente ancora più vicini.   

Ci troviamo ormai in un mondo dove la catastrofi naturali, le guerre, gli attentati, i tentati suicidi, etc., si impongono prepotentemente nelle nostre attenzioni, accrescendo di certo uno stato di profondo allarme e stress. Ogni situazione traumatica proprio per le sue caratteristiche di imprevedibilità e violenza ci trova impreparati, travolge la nostra sensazione di controllo e viola i nostri presupposti su “come funziona il mondo. E allora di fronte ai “disastri” sperimentiamo la nostra impotenza, percepiamo la nostra inferiorità, prendiamo coscienza della limitatezza umana e ci confrontiamo con la cruda realtà di quella che Leopardi aveva definito la “natura matrigna”.

Disastro è una parola composta da "dis" e da "astro", che si può letteralmente tradurre con il significato di "cattiva stella”. Ma oltre a tale significato si incontrano varie definizioni, testimonianza di quanto sia difficile concepirne uno, unico e standard. Ciò che di universale esiste è di sicuro la distruzione oltre che fisica, anche psicologica: un impatto traumatizzante che lascia segni oltre che visibili, nascosti; oltre che curabili, insanabili; oltre che singoli, collettivi.   
Affioreranno sindromi da disastro, sindromi da lutto, sindromi del sopravvissuto; tra le macerie ed il fango si respireranno commozione, inibizione, stupore, panico, miste alla voglia e alla insicurezza di una fuga isterica volta umanamente a proteggere chi di protezione divina si è sentito riceverne poca o quasi niente.   

Paradossalmente emergeranno anche note positive: la calamità legherà i superstiti, li renderà solidali e rafforzerà il loro senso di comunità, al nord ed al sud, indistintamente. E di certo il sentirsi facenti parte di un gruppo potrà anche essere senza dubbio “terapeutico”: lenirà le sofferenze, curerà le ferite, reintegrerà le risorse. Ci si sentirà protetti, difesi e integri dinnanzi a tanta frammentarietà angosciante; perché fermandosi anche un solo istante dopo l’intensa corsa iniziale si scoprirà che in fondo la sofferenza provata è un elemento importante che accomuna agli altri.

Ecco perché dovremmo vivere coscienti del fatto che la solidarietà non dovrebbe essere solo materialismo ma  un vero e proprio comportamento, non dovrebbe essere solo carità ma un vero e proprio dono,  soprattutto in casi di estreme tragedie.   

Dott.ssa Florinda Bruccoleri Psicologa,     
psicooncologa ed esperta in psicologia forense

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