Un bambino maltrattato è un reduce di guerra

6 dicembre 2011

Uno studio dello University College di Londra paragona gli effetti psichici della vita militare e della violenza domestica

Portare la divisa militare combattendo in zone di guerra e vivere in una famiglia dove regna la violenza è praticamente la stessa cosa: lo dimostra uno studio del prestigioso University College di Londra, coordinato dal dottor Eamon McCrory, assistente clinico al dipartimento di Psicologia e Scienze del Linguaggio. E lo studio è ancora più attendibile visto che non si tratta di un’indagine statistica ma di uno studio neurofisiologico che analizza i tracciati celebrali dei bambini coinvolti in queste dinamiche.

I DATI – “Oltre quaranta bambini sono stati scansionati con risonanza magnetica funzionale ad immagini”, scrive la Reuters. “Venti di essi avevano subito violenze domestiche, rispetto ai 23 che non avevano mai subito maltrattamenti a casa”. Pubblicato su Current Biology e rilanciato dall’agenzia internazionale, lo studio mostra come “i ricercatori abbiano usato tracciati celebrali per esplorare l’impatto di abusi fisici o di violenza domestica sullo sviluppo emozionale” ed è stato osservato un collegamento con “un incremento nell’attività in due zone del cervello, quando ai bambini sono state mostrate immagini di volti arrabbiati”. Parliamo dell’isola anteriore e dell’amigdala, che sono associate con “l’individuazione di potenziali pericoli”: e sono le stesse aree che si attivano, esattamente nello stesso modo e con lo stesso tracciato, per “i soldati esposti a situazioni di combattimento violento”. Il che porta i ricercatori a dire che sia i bambini che i soldati diventano “ipersensibili” a situazioni ostili nel loro ambiente circostante, praticamente arrivando ad essere paranoici: un po’ vittime della sindrome del veterano.

RISCHIO DEPRESSIONE – D’altronde, spiega il coordinatore della ricerca, si tratta di una normale reazione di difesa: “Questa reattività aumentata potrebbe rappresentare una risposta adattiva per i bambini che li aiuta nel breve periodo a tenersi lontano dai pericoli”. Questo stress celebrale però comporta un incremento del rischio di depressione futura, visto che si tratta di un fattore neurobiologico fondamentale per valutare l’esposizione del bambino a questi disagi futuri: “La depressione è già una delle cause principali di mortalità, disabilità e fardello economico e secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2020 sarà la seconda malattia mondiale per tutte le età”; e il maltrattamento infantile è uno dei principali fattori di esposizione a “disordini del comportamento, dell’ansia” e, appunto, “sindromi depressive”: un dato a disposizione mostra come i bambini maltrattati abbiano il doppio della possibilità di contrarre depressioni croniche molto gravi.

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