Studi scientifici dimostrano l’esistenza della Sindrome Post Aborto … – UCCR

Il termine “Sindrome Post Aborto” (PAS) è stato utilizzato per la prima volta nel 1981 durante un’audizione al Senato degli Stati Uniti. Lo ha usato lo psicologo Vincent Rue, testimoniando che, per le sue osservazioni, l’aborto potrebbe portare a disturbi da stress post-traumatico. In Italia esiste anche un blog (www.postaborto.it) che raccoglie testimonianze di donne che hanno abortito e che ora sperimentano sulla loro pelle le ripercussioni psicologiche. La onlus Il Dono (www.il-dono-org) invece si occupa di fornire aiuto alle donne in post-aborto.

Numerosi sono comunque gli studi scientifici che si sono susseguiti nel corso degli anni e che avvalorano in modo certo ed indiscutibile l’esistenza della sindrome post aborto. Ne presentiamo alcuni.

 

|ELENCO DI STUDI SCIENTIFICI|

 

 

  • Nell’aprile 2012 un team di ricercatori cinesi dell’Anhui Medical Colledge nel loro studio “The Impact of Prior Abortion on Anxiety and Depression Symptoms During a Subsequent Pregnancy”, pubblicato dal Bulletin of Clinical Psychopharmacology, hanno rilevato che le donne che hanno abortito, rispetto a quelle la cui gravidanza ha potuto proseguire, si mostravano in media il 114% più portate a stati di ansia e depressione, a prescindere che l’aborto fosse spontaneo o “scelto”. Su questo studio è interessante il commento della dottoressa Priscilla Coleman, professoressa allo Human Development and Family Studies della Green State University in Ohio: «Anche in una cultura in cui l’aborto è diffuso e viene ordinato dal governo dopo che le donne partoriscono già una volta (nella Cina moderna è ancora vietato avere più di un figlio a famiglia, ndA), l’entità dei rischi psicologici è paragonabile a quelli individuati in altre parti del mondo».

 

  • Nel marzo 2012 Cinzia Baccaglini, laureata in Psicologia clinica e di comunità, una delle massime esperte italiane della sindrome postaborto, ha evidenziato i due quadri gnoseologici che ricorrono nella pratica clinica, cioè la “psicosi post-aborto” e il “disturbo post-traumatico da stress”, soffermandosi anche sulle differenze tra i disturbi psicologici in cui incorrono le donne che praticano un aborto chirurgico rispetto a quelle che utilizzano la pillola Ru486.

 

  • Nel dicembre 2011, il British Journal of Psychiatry ha presentato un nuovo studio, ad oggi la più grande stima quantitativa dei rischi per la salute mentale associati all’aborto disponibili nella letteratura mondiale. Il campione della metanalisi ha compreso 22 studi e 877.181 partecipanti ed è stato concluso che le donne che hanno subito un aborto presentano un rischio maggiore dell’81% di avere problemi di salute mentale, e quasi il 10% di incidenza di problemi di salute mentale ha dimostrato di essere direttamente attribuibile all’aborto. I ricercatori si augurano che queste informazioni vengano fornite alle donne in procinto di abortire.

 

  • Nell’ottobre 2011, Stefano Bruni, pediatra, già dirigente medico presso il Dipartimento di Emergenza e Urgenza Pediatrica dell’Ospedale Materno Infantile di Ancona, ricercatore e docente della Clinica Pediatrica dell’Università Politecnica delle Marche e responsabile scientifico per l’Italia di un gruppo internazionale che fa ricerca nel campo della terapia per malattie genetiche rare ha parlato della “PASS”: Post Abortion Survivors Syndrome, sofferenza psicologica cui vanno incontro i bambini sopravvissuti all’aborto di un fratellino, o sopravvissuti, a seguito di una pratica di fecondazione assistita, alla soppressione di un certo numero di embrioni “soprannumerari” e non desiderati. Nell’articolo seguono dichiarazioni di specialisti nel campo.

 

  • Nel settembre 2011, dopo venti anni di lavoro con centinaia di organizzazioni di diversi paesi, l’Istituto Elliot, guidato dal dottor David C. Reardon, riconosciuta autorità mondiale in questo campo, ha pubblicato una metanalisi con la quale dimostra che l’aborto indotto è molto più “devastante” nelle donne di quanto si pensasse. Dal 1980 i professionisti della salute mentale hanno cominciato a trattare un numero sempre crescente di donne con difficoltà mentali ed emotive a seguito dell’aborto. Amy Sobie, portavoce dell’Elliot Institute, ha dichiarato: «l’aborto continua a uccidere le donne. Può essere legale, ma non è sicuro». Ha argomentato la sua affermazione spiegando che le principali riviste mediche hanno segnalato un alto tasso di mortalità associato all’aborto e tassi di suicidio 7 volte maggiori. Inoltre, la ricerca ha anche collegato direttamente con l’aborto indotto l’abuso di sostanze, la depressione, l’infertilità e il divorzio. Infine, mentre il 90% delle donne che abortisce dice di non avere informazioni sufficienti, l’83% ha ammesso che avrebbe continuato la gravidanza se avesse ricevuto un sostegno. Amy Sobie ha quindi concluso: «gli studi dimostrano che le donne che hanno avuto un aborto non supportano i gruppi pro-aborto. Sanno sulla loro pelle che l’industria dell’aborto ha fallito».

 

  • Nel settembre 2011, sul “British Journal of Psychiatry” è apparsa una ricerca basata su 877.000 donne, nella quale si è dimostrato che coloro che si sottopongono all’interruzione di gravidanza hanno quasi il doppio di probabilità di soffrire di problemi di salute mentale rispetto a chi decide di partorire. Inoltre è stato appurato che il 10% di tutti i problemi di salute mentale deriva dall’aborto. In particolare, le donne che hanno subito un aborto hanno registrato un aumento del 34% di probabilità di disturbi d’ansia, del 37% di depressione, il 110% (più del doppio) in più del rischio di abuso di alcool, il 220% (più del triplo) in più di consumare cannabis e il 155% in più del rischio di suicidio.

 

  • Nel 2009 su Cuadernos de bioetica, la rivista ufficiale dell’Asociacion Espanola de Bioetica y Etica Medica ha pubblicato uno studio di due ricercatori del Dipartimento di Psicologia e Psichiatria dell’Università di Granada (Spagna), i quali sostengono che nessuno studio di ricerca ha mai scoperto che l’aborto indotto sia associato ad un esito di migliore salute mentale, al contrario, molti studi sottolineano le significative associazioni tra l’aborto volontario e l’abuso di alcool, disturbi dell’umore, tossicodipendenza, depressione e disturbi d’ansia. Consigliano dunque di dedicare molti sforzi per la cura della salute mentale delle donne che hanno avuto un aborto indotto.

 

  • Nel 2009, sulla Revista da Associação Médica Brasileira (RAMB), uno studio scientifico ha rilevato che le donne che hanno avuto un aborto indotto sono risultate più ansiose e depresse, piene di sentimenti problematici e bisognose di un sostegno psicologico.

 

  • Nel dicembre 2008, su The British Journal of Psychiatry, è apparso uno studio basato su un campione (n = 1223) di donne nate tra il 1981 e il 1984 in Australia, le quali sono state ricoverate per disturbi psichiatrici e uso di sostanze illecite. I ricercatori hanno trovato che le giovani donne che avevano abortito presentavano quasi il triplo delle probabilità di fare uso di droghe illecite, di alcol e di soffrire di depressione.

 

  • Nel maggio 2008, su Gynécologie obstétrique et fertilité, il mensile di informazione scientifica dei medici francesi, sono apparsi i risultati di un’analisi i cui dati rivelano il trauma psicologico causato dall’aborto “terapeutico”, il significativo disagio vissuto dalla donna, accentuato dall’onnipresente senso di colpa e i sintomi persistenti di ansia e depressione. I ricercatori rivelano anche che tale situazione porta anche spesso al conflitto coniugale. Viene infine sottolineata la necessità di un sostegno psicologico all’individuo e alla coppia in seguito all’aborto.

 

  • Ancora nel 2008, su Scandinavian Journal of Public Health è apparso uno studio di ricercatori norvegesi, basandosi su 768 donne tra i 15 e i 27 anni, ha stabilito che le giovani che si sottopongono all’aborto indotto possono aumentare il rischio di soffrire di depressione successivamente

 

  • Il 16 marzo 2008 è apparso un comunicato del Royal College of Psychiatrists, nel quale si nota un’insolita apertura per questo problema, infatti si legge che «lo specifico problema dell’esistenza o meno del fatto che un aborto indotto ha effetti nocivi sulla salute mentale delle donne deve essere ancora pienamente risolto [...] Il personale sanitario che valuta o offre consulenza a donne che chiedono di abortire deve valutare i disturbi mentali e i fattori di rischio che possono essere associati al successivo sviluppo. Il consenso non può essere informato senza l’adeguata fornitura di informazioni appropriate in merito ai possibili rischi e benefici per la salute fisica e mentale. Ciò può richiedere l’aggiornamento dei foglietti illustrativi approvati dalle competenti Royal Colleges per l’istruzione e la formazione di operatori sanitari pertinenti, al fine di sviluppare un buon percorso di prassi». L’ente scientifico consiglia quindi di approfondire le prove circa il legame tra aborto e disturbi psicologici. Un’editoriale di The Times, intitolato “Royal college warns abortions can lead to mental illness” (“Il Royal College avverte che l’aborto può portare alla malattia mentale“), riprende questo comunicato. Si legge che «il collegio medico ha messo  veramente in guardia che le donne possono essere a rischio di problemi di salute mentale se hanno aborti. Il Royal College of Psychiatrists dice che alle donne non dovrebbe essere consentito di avere un aborto fino a quando non vengono valutati i possibili rischi per la loro salute mentale. Questo capovolge il consenso che si è distinto per decenni sui rischio per la salute mentale nel continuare una gravidanza indesiderata siano maggiori dei rischi di vivere con possibili rimpianti per aver fatto l’aborto. Un sondaggio di oggi dimostra il 59% delle donne sostiene una riduzione da 24 settimane a 20 settimane del limite per l’aborto, con solo il 28% il sostegno allo status quo». Il noto quotidiano inglese riporta ache alcune vicende di donne che si sono suicidate per motivi legati all’interruzione di gravidanza e cita la dichiarazione del Dr. Peter Saunders, segretario generale del Christian Medical Fellowship: «Come può ora un medico giustificare un aborto per motivi di salute mentale, se gli psichiatri affermano che non vi è alcuna prova evidente che il continuare la gravidanza porti a problemi di salute mentale».

 

  • Nel 2007 uno studio pubblicato sull‘Internet Journal of Pediatrics and Neonatology, ha dimostrato che una storia di aborti è associata frequentemente ad atti di aggressione fisica nei confronti dei figli successivi. Il Dr. David Reardon, direttore dell’Elliot Institute, ha affermato che questo studio conferma i risultati generali di precedenti ricerche che collegano l’aborto ad un maggiore rischio di abusi o negligenza, come rischio aumentato di alcolismo, uso di droghe, ansia, rabbia e ricovero in ospedale psichiatrico. I ricercatori hanno concluso che «per anni, l’aborto è stato interpretato come una benigna procedura medica, senza alcuna possibilità di effetti negativi duraturi. Tuttavia negli ultimi anni abbiamo scoperto che l’aborto per molte donne è un problema con una profonda dimensione fisica, psicologica, spirituale, intimamente legato a molti aspetti della loro vita».

 

  • Nel 2007 uno studio condotto da Sharain Suliman e pubblicato su BMC Psychiatry, ha stabilito che il 18,2% delle donne nel post-aborto soddisfano i criteri per una diagnosi di “Post-Traumatic Stress Disorder” entri i tre mesi dall’interruzione di gravidanza. La ricerca è stata condotta da ambienti abortisti per trovare un migliore anestetico.

 

  • Nel 2006 su Obstetricia et Gynecologica Scandinavica (ACTA) sono apparsi i risultati di uno studio concentrato a valutare l’ansia e la depressione nelle donne che hanno sperimentato un aborto spontaneo o un aborto indotto. I ricercatori hanno rilevato che l’aborto spontaneo porta ad un livello significativamente più alto di ansia e depressione nei primi dieci giorni rispetto alla popolazione generale, mentre l’aborto indotto causa livelli significativamente più alti di ansia e depressione fino a 6 mesi.

 

  • Nel gennaio 2006 sul Journal of Child Psychology and Psychiatry è apparso un importante studio epidemiologo -il più grande del suo genere a livello internazionale- sponsorizzato dal Canterbury Health and Development Study e realizzato da D.M. Fergusson, L.J. Horwood e E.M. Ridder. I ricercatori hanno rilevato, basandosi su un campione di ricerca di un grande studio longitudinale, che le donne sotto i 25 anni in Nuova Zelanda che avevano avuto un aborto indotto presentavano un alto tasso di rischio di avere problemi di salute mentale (42%) tra cui depressione, ansia, comportamenti suicidi e disturbi da abuso di alcool (50%) e sostanze illecite (67%) rispetto a coloro che non erano mai state in gravidanza (21%) e di coloro che avevano proseguito la gravidanza (35%). La conclusione dello studio è che i risultati suggeriscono che l’aborto nelle donne giovani può essere associato ad un aumentato rischio di problemi di salute mentale[10]. I risultati sono in netto contrasto con la dichiarazione del 2005 dell’American Psychological Association e hanno implicazioni enormi poiché il 98% degli aborti effettuati in Nuova Zelanda sono motivati per evitare ripercussioni psicologiche della donna. In seguito a questo studio un portavoce dell’American Psychological Association, Nancy Felipe Russo, si è affrettato a dichiarare: «l’APA nel 1969 ha adottato la posizione che l’aborto dovrebbe essere un diritto civile. Per i sostenitori pro-choice gli effetti sulla salute mentale non sono rilevanti per il contesto giuridico di argomenti per limitare l’accesso all’aborto». L’opinionista Tom Gilson ha risposto: «Deduco quindi che la salute mentale è secondaria alla libera scelta. L’aborto è una questione di diritti civili? Certo. Di chi sono i diritti? I sostenitori pro-life ricodano che ci sono due persone coinvolte in ogni aborto, e uno di loro muore». Il responsabile dello studio, il Dr Fergusson, psicologo ed epidemiologo (dichiaratamente “non credente” e “pro-choice”), ha a sua volta risposto dalle colonne de The Washington Times dichiarando che le conclusioni dell’APA rivelano una maggiore certezza di quanto sia giustificato dagli studi esistenti. Ha poi aggiunto: «E’ quasi scandaloso che una delle più comuni procedure chirurgiche eseguite su donne giovani sia così scarsamente studiata e valutata. Se si fosse trattato del Prozac o del Vioxx, segnalazioni di danno associato sarebbero state presa molto più seriamente».
    In un’intervista per The Age ha detto che invece «i risultati fanno pendere la bilancia delle prove scientifiche verso la conclusione che l’aborto crea maggiore disagio psicologico piuttosto che alleviarlo». Sempre nell’intervista per il The Washington Times sopracitata, ammette: «avremmo potuto non trovare quello che abbiamo trovato, ma lo abbiamo trovato e non si può essere intellettualmente onesti e pubblicare solo i risultati che ti piacciono».
    Intervistato dal The New Zeland Herald ha dichiarato di avere una visione “pro-choice” e essere consapevole di aver prodotto una forte prova per chi è contro l’aborto, ma «sarebbe stato “scientificamente irresponsabile” non pubblicare i risultati solo perché sono così critici», ha detto. Non stupisce quindi -rivela lo psicologo- che essi sono stati rifiutati da un certo numero di riviste, «è molto insolito per noi. Normalmente il lavoro viene accettato al primo tentativo», ha dichiarato. Ha concluso l’intervista ironizzando sulle pressioni e critiche ideologiche che gli sono piovute addosso.

 

  • Nel 2005, sul Medical Research Methodology (BMC) sono apparsi i risultati di uno studio lungo 5 anni che ha analizzato le conseguenze psicologiche di aborti indotti e aborti spontane. I ricercatori norvegesi hanno rilevato che le donne dopo un aborto spontaneo hanno riscontrato più disagio mentale nei primi 6 mesi rispetto a coloro che avevano subito un aborto volontario. Tuttavia hanno mostrato un miglioramento significativamente più veloce da complicazioni come dolore, senso di colpa e rabbia. Le donne che hanno subito un aborto indotto hanno mostrato complicanze significativamente maggiori nei 2-5 anni successivi all’intervento, come sentimenti di colpa e vergogna rispetto a chi ha subito un aborto spontaneo. Rispetto alla popolazione generale, le donne che hanno subito indotto l’aborto mostrano punteggi significativamente più elevati di ansia e depressione, mentre coloro che hanno avuto un aborto spontaneo mostrano gli stessi valori solo nei primi 6 mesi. I ricercatori concludono dunque che le donne sottoposte ad un aborto volontario mostrano valori di complicanze psicologiche più elevati rispetto alla popolazione generale e a coloro che hanno avuto un aborto spontaneo.

 

  • Nel 2005 è comparso su The European Journal of Public Health uno studio realizzato in Finlandia tra il 1987 e il 2000 con lo scopo di analizzare il rapporto tra la gravidanza, l’aborto e le morti per cause esterne su donne di età compresa tra 15-49 anni. I ricercatori hanno rilevato che a causa di un elevato tasso di suicidi e omicidi, il rischio di mortalità di una donna dopo l’aborto aumenta notevolmente. In conclusione, il basso tasso di decessi per cause esterne suggerisce l’effetto protettivo del parto, ma è presente un rischio elevato di morte se la gravidanza termina con un aborto.

 

  • Nel 2004, sul Medical Science Monitor, sono comparsi i risultati di uno studio che metteva a confronto donne americane che avevano abortito volontariamente con quelle russe. I ricercatori hanno rilevato reazioni da stress post-traumatico associabili all’aborto. Quindi, concludono: «i dati suggeriscono che l’aborto può aumentare lo stress e diminuire le capacità di emergere da tale situazione, in particolare per quelle donne che hanno una storia precedente caratterizzata da eventi avversi e traumi infantili».

 

  • Nel maggio 2003 sul Canadian Medical Association Journal è apparso uno studio epidemiologo sui legami tra aborto e conseguenti disturbi psicologici. Hanno utilizzato i dati archiviati nel 1989 dal California Medicaid su donne tra i 13 e i 49 anni che hanno abortito o portato a termine la gravidanza e che non avevano ricoveri psichiatrici o altre gravidanze in precedenza. I ricercatori canadesi hanno quindi rilevato che coloro che avevano scelto di abortire presentavano un rischio significativamente più alto di essere ricoverate per problemi psicologici. Hanno quindi concluso che successivi ricoveri psichiatrici sono più comuni tra le donne che hanno subito un aborto indotto rispetto coloro he portano a termine una gravidanza, sia a breve che a lungo termine.

 

  • Nel 2003, su Medical science monitor sono apparsi i risultati di uno studio scientifico in cui si è analizzato il rapporto tra aborto indotto e la depressione. I ricercatori del dipartimento di Psicologia dell’Università del Texas hanno dimostrato che le donne che avevano abortito avevano oltre il 65% in più di possibilità di soffrire di depressione clinica rispetto alle donne che avevano scelto la nascita. L’aborto, concludono, può essere un fattore di rischio per la depressione, anche per 8 anni dopo l’intervento medico.

 

  • Nel gennaio 2003 ricercatori del Department of Epidemiology dell’University of North Carolin, hanno pubblicato uno studio sul Obstetrical and Gynecological Survey, intitolato “Long-Term Physical and Psychological Health Consequences of Induced Abortion: Review of the Evidence[4]. Con esso rilevano alcune conseguenze psicologiche dell’aborto indotto ed evidenziano collegamenti tra aborto indotto e nascite premature, la placenta previa, il cancro al seno e gravi problemi di salute mentale. In particolare notano l’associazione tra aborto indotto e tentato suicidio o suicidio. Questi dati indicano la presenza nella persona disturbi come la depressione, o vari effetti nocivi sulla salute mentale. Questo fenomeno -sottolineano- non è osseervato dopo l’aborto spontaneo. Hanno anche dimostrato che un aumentato rischio di depressione o di problemi emotivi dopo l’aborto indotto in alcuni sottogruppi possono spiegare la psicopatologia che culmina nella deliberato autolesionismo.

 

  • Nel dicembre del 2002, sul Journal of Obstetrics and Gynaecology, emè apparso uno studio scientifico ha dimostrato che, rispetto alle donne che hanno partorito, coloro che avevano avuto un aborto indotto erano significativamente più propense ad usare marijuana, varie droghe illecite e alcool durante la gravidanza successiva.

 

  • Nell’agosto 2002 ricercatori americani hanno voluto approfondire uno studio nazionale finlandese che mostrava tassi di mortalità significativamente più elevati a causa dell’aborto rispetto che del parto. Hanno quindi esaminato questa associazione nella popolazione americana per un periodo più lungo, cioè tra il 1989 e il 1997. I risultati, pubblicati sul Southern Medical Journal, hanno confermato lo studio finalndese poiché si è rilevato che le donne che avevano abortito presentavano un rischio significativamente più alto -indipendentemente dall’età- di morte. Le cause erano: varie (1,62), suicidio (2,54), incidenti (1,82), cause naturali (1,44), Aids (2.18), malattie circolatorie (2,87) e malattie cerebrovascolari (5.46). Hanno concluso che l’alto tasso di mortalità associato all’aborto persiste nel tempo e attraversa i confini socio-economici. Questo -hanno sottolineato- può essere spiegato da tendenze autodistruttive, depressione, e altri comportamenti non salutari che conseguono l’esperienza dell’aborto.

 

  • Nel 1996 sul prestigioso British Medical Journal vengono presentati i risultati di uno studio a firma di Mika Gissler ed altri ricercatori finlandesi. L’équipe di Gissler ha preso in considerazione i 9192 decessi di donne in età fertile avvenuti in Finlandia tra il 1987 e il 1994, di cui 1347 avvenuti per suicidio. Dagli archivi sanitari nazionali sono quindi state individuate le donne che, nei dodici mesi precedenti alla morte per suicidio, avevano concluso una gravidanza, differenziando tra donne che avevano partorito, donne che avevano avuto un aborto spontaneo e donne che avevano abortito volontariamente. I ricercatori hanno rilevato che il tasso di suicidi relativo alle donne che hanno partorito è generalmente inferiore alla media, quello delle donne che hanno avuto un aborto spontaneo è generalmente 1-2 volte superiore alla media, quello delle donne che hanno abortito volontariamente è nettamente superiore sia al tasso medio sia al tasso relativo all’aborto spontaneo (qui il grafico relativo). Gli stessi ricercatori riconoscono che quel che è emerso «fa pensare che una gravidanza portata a termine prevenga il suicidio o che le donne in grado di arrivare al parto non sono ad alto rischio di suicidio. Il tasso di suicidio dopo un aborto è il triplo del tasso generale di suicidio, e il sestuplo del tasso di suicidio associato alla nascita». L’equipe medica ha anche notato che «l’aumento del rischio di suicidio dopo un aborto procurato può essere causato da un effetto negativo dell’aborto volontario sul benessere mentale. I nostri dati mostrano chiaramente che le donne che hanno abortito hanno un maggior rischio di suicidio, cosa di cui si dovrebbe tener conto nella prevenzione di queste morti».

 

  • Nel 1989 sulla Rivisita Psichiatrica dell’Università di Ottawa è apparso uno dei primi studi critici sull’argomento. Oltre a sottolineare come in letteratura non ci sia alcuna indicazione sul fatto che l’aborto migliori lo stato psicologico della madre, i ricercatori riconoscono che diversi studi cominciano a rilevare un tasso allarmante di complicanze post-aborto come infiammazioni ed infezioni e infertilità. Si passa poi a criticare quegli studi che hanno cercato di dimostrare che l’aborto non sia nocivo per lo stato di una donna della mente, ammettendo la scoperta di un certo numero di donne che hanno subito traumi psicologici in seguito all’aborto e che esse sono superiori di numero rispetto a coloro che hanno portato a termine la gravidanza. I ricercatori informano anche di studi recenti che mostrano il collegamento diretto tra aborto e eclampsia, emorragia, aborto spontaneo, mortalità materna e complicanze post-partum.

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