Strategie di Prezzo: Come Cambia la Psicologia del Consumatore …

Dove lo psychological pricing – la strategia di marketing per la quale alcuni prezzi tendono ad influenzare la psicologia, e quindi la condotta, del consumatore -  abbia trovato la propria origine rimane tutt’oggi una questione dibattuta.

A detta di Scott Morris, autore di Book of Strange Facts Useless Information (1979), la pratica sembra essere emersa alla fine del XIX secolo, al tempo in cui il settore editoriale statunitense attraversava una fase di “furiosa” competizione sui prezzi, e Melville E. Stone fondava il Chicago Daily News. Stando al resoconto offerto da Morris, il giornale di Stone si inserì nel mercato fissando il prezzo ad 1 centesimo contro il nichelino (5 centesimi) richiesto per gli altri quotidiani. All’epoca, non v’erano, tuttavia, molti penny in circolazione – erano perlopiù un formato poco comune – così Stone, dimostrandosi capace di comprendere la mente del consumatore, invitò con successo molti mercanti di Chicago ad abbassare, soltanto leggermente, i propri prezzi. “I compratori impulsivi, spiegava, avrebbero più facilmente acquistato un oggetto da $3.00 a ‘soli’ $2.99″, ed avrebbero quindi ricevuto per resto il centesimo necessario per acquistare il suo giornale.

armchairmedAltre fonti, invece – si veda ad esempio, Steven E. Landsburg nel suo The Armchair Economist: Economics Everyday Life (2012) -  suggeriscono che tale strategia sia stata inizialmente adottata per contrastare il fenomeno del furto dei dipendenti all’interno della propria azienda. Secondo questa interpretazione alternativa, per le transazioni che prevedevano il pagamento di una cifra tonda v’era una più alta probabilità che il cassiere disonesto si intascasse il risultato della vendita piuttosto che registrarla regolarmente sul contatore.

Ovunque abbiano avuto origine, tali pratiche di prezzo rimangono oggigiorno strategie ampiamente utilizzate, soprattutto nella grande distribuzione. Ma come operano esattamente queste sulla psicologia del consumatore? Tim Harford l’economista “sotto copertura”, come lui stesso si firma nelle colonne del Financial Times, ha recentemente raccolto le teorie a favore di un formato di prezzo “0,99″.

Secondo quanto da lui riferito, v’è, innanzitutto, da considerare il left-digit effect (letteralmente “l’effetto della cifra a sinistra”), secondo il quale la mente del consumatore tende a porre maggiore enfasi sul primo numero di un prezzo. Ad esempio, tra un prodotto da $90.00 ed uno da $89.99, si sceglierà quest’ultimo poiché intuitivamente ritenuto più conveniente (89). Alternativamente, spiega Harford, i prezzi che finiscono con “.99″ comunicano alla psicologia del consumatore la sensazione di essere di fronte ad un “buon affare”, e molti sembrano essere gli studi a supporto di tale tesi.

Non solo. Stando ai risultati emersi da un recente studio pubblicato sul Journal of Consumer Research, i consumatori sono inclini ad approcciarsi differentemente alle informazioni contenute in un prezzo tondo rispetto ad uno dal formato “0.99″. Di fronte ad un prodotto dal costo di $50, ad esempio, il compratore prenderà la propria scelta d’acquisto facendo affidamento principalmente sul proprio “istinto”, mentre posto d’innanzi ad un prezzo irregolare, come $48.95, tenderà a ragionare per comprendere la convenienza della transazione.

Svariati sono stati gli esperimenti condotti dagli autori della ricerca, Monica Wadhwa (INSEAD, Singapore) and Kuangjie Zhang (Nanyang Technological University), per dimostrare questo genere di effetti, dai quali è stato confermata l’attitudine dei consumatori nel valutare differenti tipologie di prezzi in modi diversi. Beni di lusso o ricreativi – ad esempio una bottiglia di vino pregiato – tendono a vendere maggiormente quando offerti al pubblico con prezzi “regolari” (ad esempio $50.00), mentre oggetti di uso comune sono preferiti quando accostati a prezzi non-tondi (ad esempio $49.99).

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