Silenzio dei giornali, silenzio dell’Associazione Nazionale dei …

Sì, va bene: la nave Concordia e l’incredibile comportamento del comandante Francesco Schettino; e poi, certo: il maltempo e le nevicate, con il comportamento farsesco di un sindaco come Gianni Alemanno che si presenta con pala e sacchetto di sale davanti alle telecamere di tutte le televisioni per dire che la colpa di quello che accade non è cosa da imputargli; e poi, d’accordo: ci sono i ministri del governo Monti che sembrano ogni giorno gareggiare a chi la spara più scema, e mai che nessuno dica loro che meglio farebbero a imparare dai carabinieri, “usi obbedir tacendo”. Però nelle pagine e pagine dei giornali, ormai la questione è completamente sparita, come se non esistesse più; come se alle aperture degli Anni Giudiziari non si sia detto nulla; come se il problema cronico dello stato della Giustizia e la sua appendice carceraria sia stato risolto; anzi, non ci sia bisogno di risolverlo, perché non c’è proprio il problema…Poi vedrete, quando Marco Pannella e i radicali scenderanno in campo ancora una volta con le loro iniziative nonviolente diranno: “uffa, ancora digiuni, che noia, che barba…!”. E mai come ora il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, quel presidente che parlò di “urgente impellenza”, dovrebbe davvero inviare un suo messaggio alle Camere, per richiamarle alle loro responsabilità, ai loro obblighi, ai loro doveri. Perché il problema c’è e lo si lascia colpevolmente incancrenire. E sono complici (c’è un altro termine?) i mezzi di comunicazione: che “premiano” sempre e solo i comportamenti violenti, mortificando le iniziative nonviolente.



Il diritto “geografico” alla salute. A Sassari il tumore si cura, a Nuoro no
Per esempio. Rita Bernardini si reca in visita al carcere di Badu ‘e Carros di Nuoro. Ne offre poi un resoconto a “Radio Radicale”; e racconta, tra l’altro, del caso di un ergastolano, si chiama Giulio Cerchi. Ha un tumore alla prostata, Cerchi, che lo tortura da alcuni anni. Gli oncologi della Clinica Universitaria di Sassari hanno provveduto mentre si trovava nella Casa Circondariale “San Sebastiano” a garantirgli radioterapia, Tac e scintigrafia. Da quando è stato trasferito nel carcere di Badu ‘e Carros di Nuoro, poco meno di un anno fa, sono però cessati i periodici controlli. I farmaci che gli permettono di convivere con il carcinoma inoltre non gli vengono somministrati con regolarità e nonostante la grave malattia è in una cella con altre cinque persone”.
La salute è un diritto costituzionale. Non può quindi essere negata a un cittadino seppure privato della libertà. Se non gli viene consentito di usufruire dei domiciliari per poter affrontare in condizioni migliori lo stress derivante da una malattia che abbassa le difese immunitarie e determina uno stato psicologico di vulnerabilità non può essergli impedito di fruire degli esami diagnostici, dei farmaci e dei controlli. E’ comunque singolare che la possibilità di curarsi sia condizionata dalla tipologia della struttura penitenziaria e dal luogo in cui è ubicata: perché quando Cherchi si trovava a Sassari poteva fruire delle visite mediche e delle terapie, mentre da quando si trova a Badu ‘e Carros, questo gli viene negato.

Dalla Sardegna al carcere fiorentino di Sollicciano
La lettera è firmata da cinque detenuti, Carmelo, Fabio, Miki, Bruno e Pierino: “Siamo davvero stanchi di questo sistema carcerario che giorno dopo giorno ci toglie la nostra dignità, dignità che ormai non esiste più. Siamo chiusi in 5 o in 6 persone dentro piccole celle e siamo costretti ad una vita disumana, tanto che gli animali nelle loro gabbie hanno molta più libertà di muoversi di noi che abbiamo solo un mq a testa per vivere. Purtroppo anche qui a Sollicciano c’è chi è più debole e non resiste a questa vita disumana e così un giorno decide di farla finita. Esattamente quello che è successo qui il 19 gennaio quando un nostro compagno, che aveva solo 29 anni, si è impiccato ed è morto e quello che è accaduto il 7 gennaio quando un altro nostro compagno si è impiccato. Insomma due suicidi nel giro di pochi giorni che la dicono tutta sulla vita che ci fanno fare qui a Sollicciano. Ma non basta. Siamo arrivati al punto che non possiamo neanche più fare una doccia, non diciamo calda come in albergo, ma almeno tiepida. E la conseguenza è che sempre più detenuti del carcere di Sollicciano si ammalano per il freddo che prendono. Malattie, come una semplice influenza o un semplice raffreddore, che qui non vengono curate in quanto non hanno neanche una banale aspirina da darci. Ma la cosa che ci indigna di più è che se uno di noi protesta per questo trattamento illegale, viene preso dalla squadretta punitiva composta da agenti e viene picchiato senza pietà… per poi essere messo in una cella di isolamento, nell’attesa che passino i lividi e le ferite causate dalle botte. La verità è che se una persona finisce a Sollicciano né uscirà una persona peggiore e non migliore rispetto a quando ha varcato questo brutto cancello”.
Quest’ultima frase non può che impressionare. E’ esattamente quello che qualche giorno fa ha dichiarato il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri intervistata da Fabio Fazio a “Che tempo che fa”: “Di carceri ne ho visitate tante, ce ne sono che funzionano bene, ma da altre mi domando come non si possa uscire fortemente peggiorati”.

La denuncia del garante dei detenuti del Lazio
Da Firenze a Roma, ascoltiamo il garante dei detenuti della Regione Lazio Angiolo Marroni: “Duecentocinquanta detenuti in più in due mesi, duemila presenze oltre la capienza regolamentare. Numeri che portano, come corollario, l’impossibilità di garantire condizioni di vita accettabili nelle carceri, con spazi destinati alla socialità trasformati in celle, evasioni tentate e riuscite, risse fra reclusi e agenti di polizia penitenziaria costretti dai buchi di organico a turni di lavoro massacranti. È questo il drammatico quadro, aggravato dalla morte per cause naturali, di un detenuto romano 45enne a Regina Coeli, della situazione nelle 14 carceri della Regione Lazio”. Nel solo Lazio i detenuti attualmente reclusi sono 6.846 (6.409 uomini e 437 donne), duemila in più rispetto alla capienza regolamentare di 4.838. “Le stime in nostro possesso”, spiega, “sono addirittura più allarmanti dei numeri indicati, dal presidente della Corte d’appello di Roma, Giorgio Santacroce, in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario, che aveva parlato di 6.591 reclusi nelle carceri del Lazio”.
Ma, al di là dei numeri, è quanto quotidianamente accade nelle carceri a confermare la criticità della situazione; dalla spettacolare fuga riuscita da Regina Coeli al detenuto ridotto in gravi condizioni dopo una rissa a Cassino, fino al tentativo di suicidio di un detenuto sventato il 28 gennaio da un agente di Polizia penitenziaria a Viterbo, tutto indica una situazione ormai prossima a sfuggire ad ogni tipo di controllo. “La drammaticità di questa situazione”, dice
Marroni, “è che non sono solo le grandi carceri della Regione, come Regina Coeli e Rebibbia Nuovo Complesso a soffrire per il sovraffollamento, ma tutti gli istituti. Abbiamo, ormai, fatto
l’abitudine alle segnalazioni di gravi carenze igieniche, di impossibilità di garantire forme di socialità e di attività volte al recupero del detenuto, di persone ospitate nei centri clinici per
mancanza di spazi, della recrudescenza di malattie come tubercolosi e scabbia. In questo quadro, giudico un fatto estremamente positivo i reiterati richiami del ministro della Giustizia Severino sulla drammatica situazione delle carceri. Di una cosa, però, sono sicuro: ogni tipo di provvedimento svuota celle come quelli che si vanno proponendo in queste ore, avrà effetti solo palliativi se non sarà accompagnato da una profonda revisione del codice penale e di quello di procedura penale. Occorre, in sostanza, rivedere una legislazione che produce troppo carcere. Senza un intervento di questo genere, accadrà come nell’estate del 2008, quando gli effetti benefici dell’indulto furono cancellati in pochi mesi”.

Come paga il magistrato
Giorni fa l’Associazione Nazionale dei Magistrati è scesa sul sentiero di guerra perché la Camera ha votato un emendamento sulla responsabilità civile del magistrato. Un attentato all’autonomia, all’indipendenza, e quant’altro. Benissimo. Ma ecco come paga un magistrato, il giudice Jole Maria Celeste Milanesi, prosciolta dalla sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura dall’accusa di aver omesso di controllare con “negligenza inescusabile” i termini di scadenza della carcerazione di un detenuto, con la conseguenza che è rimasto in carcere 127 giorni in più del dovuto. La decisione accoglie la richiesta di non luogo a procedere avanzata sia dal procuratore generale della Cassazione sia dal difensore.
Celeste Milanesi era accusata dal ministro della Giustizia di aver omesso “il controllo sulla scadenza del termine di durata della misura cautelare applicata” a uno straniero condannato a 2 anni e 4 mesi, che avrebbe dovuto essere scarcerato il 17 aprile 2007, ma che è rimasto detenuto fino al 25 luglio successivo. Ma la colpa, secondo il Csm, è “di una lacuna del regolamento di organizzazione del giudizio direttissimo all’epoca in vigore”.
Si, abbiamo letto bene: “Lacuna del regolamento di organizzazione del giudizio direttissimo all’epoca in vigore”. Poi dici che uno s’incazza.

Gli psicologi penitenziari si autodenunciano
Come esasperati sono gli psicologi penitenziari: “Siamo inadempienti”, i continui tagli e l’aumento esponenziale dei reclusi ha ridotto le prestazioni a “pochi secondi al mese per ogni detenuto”. Il non poter osservare i cambiamenti della personalità dei reclusi, spiegano, impedisce alla Magistratura di sorveglianza di valutare la pericolosità sociale dell’individuo e limita, di conseguenza, la concessione delle misure alternative alimentando il sovraffollamento.
In una lunga lettera al ministro della Giustizia, Severino, gli psicologi chiedono di essere ascoltati per ‘trovare insieme le più opportune soluzioni, finalizzate a ridare alla psicologia penitenziaria sostanza ed a realizzare finalmente un Servizio funzionale ai diritti di salute e riabilitazione degli utenti, il cui rispetto è legata la sicurezza nel qui ed ora all’interno degli istituti e, in prospettiva, dopo la detenzione, quando le persone verranno restituite alla società.
“Ci troviamo in una situazione divenuta ormai intollerabile - scrivono - da una parte la pressione (con il rischio concreto di ritorsioni) degli utenti i quali, giustamente, chiedono l’osservazione che gli necessita per avere i benefici previsti dalla legge e che non possiamo garantire, dall’altra le richieste, altrettanto legittime, della Magistratura di Sorveglianza che rimarca la nostra inadempienza. Dal momento che non è più possibile assicurare un numero di prestazioni tali da garantire un livello minimo di assistenza, molti di noi si chiedono - conclude la lettera firmata da Paola Giannelli Segretario nazionale della Società Italiana Psicologia Penitenziaria - se abbia un senso la nostra presenza, se non da un punto di vista solo formale”.

Ps.: Su quello che avete letto nessun documento, nessun comunicato, nessuna denuncia dell’Associazione Nazionale Magistrati.

 

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