Selfie-mania, gli psicologi ne svelano le motivazioni

Dove nasce la passione per i selfie? Stando alle ricerche degli psicologi dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano la risposta è molto meno complessa di quanto si potrebbe immaginare. E se di sicuro c'è chi sarebbe pronto a scommettere che si tratta di una pura questione di vanità, in realtà solo il 30% degli appassionati di selfie si dedicano agli autoritratti 2.0 perché vanitosi: nella maggior parte dei casi, pari al 39%, si tratta di un mezzo per far ridere e divertire gli altri e in un altro 21% dei casi di un modo per raccontare un momento della propria vita.

Osservandola da questo punto di vista la “selfite” che ha colpito tanti internauti in questo 2014 sembra avere retroscena molto meno oscuri rispetto a quanto si è tentato di fare credere. Qualche tempo fa si era addirittura parlato di una vera e propria malattia. In realtà la notizia secondo cui l'American Psychiatric Association avrebbe classificato la selfite come disturbo mentale si è rivelata una bufala. E' invece reale la ricerca condotta dal team di Giuseppe Riva, docente di Psicologia della Comunicazione e Psicologia e Nuove Tecnologie della Comunicazione alla Cattolica di Milano, da cui sono emerse le percentuali sopra riportate.

La nostra ricerca, tuttora in corso ha tre obiettivi conoscitivi principali: comprendere perché le persone si fanno i selfie (quali motivazioni le spingono), se ci sono differenze tra uomini e donne per quanto riguarda questa pratica, analizzare le possibili caratteristiche psicologiche, dal punto di vista della personalità, delle persone che si fanno selfie

ha spiegato Riva in occasione dell'incontro “Mente e social media: come cambia l’individuo?” organizzato presso l'ateneo meneghino. Attraverso la compilazione di questionari specifici da parte di 150 fra uomini e donne di età media pari a 32 anni sono emersi i 3 scopi principali dei selfie – far ridere e divertire gli altri, vanità e raccontare un momento della propria vita – e i motivi per cui vengono scattati.

Come ha spiegato Riva le persone si scattano selfie

non tanto per esprimere come sono o come si sentono (identità, aspetti interiori) bensì per raccontare agli altri con chi sono, dove sono e cosa stanno facendo (aspetti esteriori).

Per quanto riguarda il secondo obiettivo di ricerca

ha proseguito l'esperto

le donne si fanno notevolmente più selfie degli uomini, e risultano più interessate alle motivazioni interiori (“mi faccio selfie per mostrare come sono e come mi sento”). Inoltre, affermano di sperare maggiormente di ricevere commenti positivi dagli amici sui social network, e anche di temere maggiormente di ricevere commenti negativi dagli altri.

Infine, la ricerca ha svelato gli aspetti della personalità associati alla passione per i selfie.

Le persone che si fanno selfie

ha spiegato Riva

appaiono significativamente più estroverse (ovvero più socievoli ed entusiaste, caratterizzate da elevate capacità sociali) e più coscienziose (ovvero più caute e capaci di controllarsi, con la tendenza a pianificare le proprie azioni piuttosto che ad agire di impulso). Inoltre, essere molto estroversi si associa a un maggior utilizzo dei selfie per mostrare agli altri “come ci si sente”, mentre essere molto coscienziosi si associa al non essere particolarmente interessati ai commenti degli altri ai propri selfie, positivi o negativi che siano. Da ultimo, il tratto del neuroticismo o instabilità emotiva (tipico di persone che tendono a provare emozioni negative come rabbia e tristezza, sovente diffidenti nei confronti degli altri) si associa significativamente all’essere particolarmente preoccupati dalla possibilità di ricevere commenti negativi.

Nemmeno gli esperti della Cattolica arrivano però a parlare di malattia. Per il momento, insomma, la selfite continua a non esistere.

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