Sclerosi Multipla, donne, gravidanza. Domande e risposte

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Sclerosi Multipla, donne, gravidanza. Domande e risposte

Le donne affette da sclerosi multipla hanno le stesse esigenze e speranze delle donne non malate

Gli esperti riuniti a Milano per l’incontro stampa “Sclerosi Multipla e Donne” offrono risposte alle domande più frequenti riguardo la malattia e la possibilità che una donna possa programmare una gravidanza e portarla a termine

Ieri, a Milano, si è svolto l’incontro stampa su “Sclerosi Multipla e Donne”.
Organizzato da Merck Serono, ha visto la partecipazione di alcuni dei maggiori esperti nel campo della neurologia, della ginecologia e della psicologia. Gli esperti si sono riuniti con l’intento di incoraggiare un’informazione più corretta sulla sclerosi multipla e sull’impatto che questa malattia può avere sulla donna in trattamento.

«La sclerosi multipla (SM) rappresenta la prima causa di disabilità neurologica nella popolazione giovanile, che tocca da vicino sempre più donne, sempre più giovani – spiega il prof. Giancarlo Comi, Direttore del Centro SM Ospedale San Raffaele di Milano e moderatore dell’incontro – Sono quindi le donne, in particolare, ad avere più difficoltà nel convivere con questa patologia che spesso le costringe a rinunciare a progetti importanti, come quello di continuare a lavorare, vivere una normale vita di coppia, prendersi cura della famiglia o desiderare un figlio».

Sono dunque molte le domande che spesso non trovano risposta. E sono altrettante le donne che invece vorrebbero saperne di più.
Ecco pertanto alcune domande, e le relative risposte, fornite dagli esperti.

Quante persone sono affette dalla Sclerosi Multipla? E’ vero che colpisce più frequentemente le donne?
«La sclerosi multipla tocca da vicino sempre più donne, sempre più giovani – afferma la professoressa Maria Trojano, Direttore Centro SM Policlinico di Bari – La SM colpisce circa 2 milioni di persone al mondo. In Italia le persone con SM sono oltre 50.000: si tratta di una popolazione tra i 35 e i 54 anni, nel 60% dei casi affetta dalla forma recidivante remittente. Sono le donne le più colpite: il 63,8% contro il 36,2% degli uomini».

Lo studio delle differenze di genere è importante in malattie autoimmuni come la SM?
«Si riscontrano differenze di genere nel Sistema Nervoso Centrale – sottolinea la prof. Maria Giovanna Marrosu, Direttore Centro SM Ospedale Binagli di Cagliari – Il cervello dei maschi è 2,5% più grande di quello delle donne, il rapporto tra sostanza grigia e bianca è più alto nelle donne e la capacità di riparare i danni del cervello, ad esempio dopo un ictus, è migliore nelle donne.
Si evidenziano differenze di genere anche nell’insorgenza delle malattie neurologiche: la Malattia di Parkinson, ad esempio, è da 1,4 a 2 volte più frequente negli uomini che nelle donne; 1 donna su 6 rischia di sviluppare la Malattia di Alzheimer rispetto all’1 su 10 degli uomini. Nella sclerosi multipla, che è dalle 2 alle 4 volte più frequente nelle donne, i maschi sviluppano meno lesioni infiammatorie ma un numero maggiore di lesioni degenerative al Sistema Nervoso Centrale – prosegue Marrosu – Fattori genetici, ormonali e ambientali sono i responsabili di queste differenze. Tra questi: la presenza della vitamina D (il rischio di SM è più alto tra individui con livelli ematici più alti di Vit. D soprattutto nelle donne - Kragt et al., 2009), l’età più avanzata in cui le donne decidono di avere un figlio, l’uso di contraccettivi, il fumo e l’esposizione al sole (il rischio di ricadute è più alto nei mesi successivi a quelli con minore esposizione solare).
E’ quindi importante capire non solo cosa rende una donna più a rischio di una malattia autoimmune, ma anche cosa rende meno a rischio un maschio».

Che ruolo hanno gli ormoni sessuali nella Sclerosi Multipla?
«Gli ormoni sessuali hanno dimostrato di avere proprietà immunomodulatorie e neuro protettive, agendo sia sulla componente infiammatoria che su quella degenerativa che caratterizzano la SM – aggiunge la Marrosu – Hanno quindi un valore terapeutico nella SM e sia il genere che lo status ormonale devono essere presi in considerazione nella strategia terapeutica. Nelle donne con SM, si verifica una significativa riduzione delle ricadute durante la gravidanza, periodo in cui i livelli degli estrogeni sono più elevati. Da numerosi studi sono emerse evidenze nei modelli animali a favore di un potenziale terapeutico di testosterone ed estrogeni attraverso meccanismi di azione di tipo immunomodulatorio e neuroprotettivo».

E’ possibile per una donna con SM programmare una gravidanza?
«La gravidanza, un tempo, veniva fortemente sconsigliata – afferma il professor Antonio Bertolotto, Direttore Neurologia 2 Centro Riferimento Regionale SM Osp. S. L. Gonzaga di Orbassano (TO) – Oggi, invece, è possibile programmarla: avere figli è un’opzione reale. La gravidanza, infatti, rappresenta un periodo di protezione per la donna, con una riduzione significativa del rischio di riacutizzazione della SM. La gravidanza, dunque, in pazienti con SM è assimilabile a una terapia.
Il Centro di riferimento Regionale per la SM dell’Ospedale San Luigi di Orbassano ha individuato una marcatura genetica composta da 7 geni “sregolati” che vengono coinvolti nel processo di “spegnimento” della malattia durante la gestazione. Una maggiore comprensione dei fattori che controllano questi 7 geni potrebbe portare a nuove terapie che ricreino l’effetto protettivo della gravidanza».
«Un recente studio ha mostrato che il trattamento con interferone beta 1a non comporta nessun rischio per la gravidanza e non ha nessun impatto sulla percentuale di aborti spontanei, di gravidanze pre-termine e di teratogenicità – aggiunge Bertolotto – in una ristretta percentuale di casi, si è rilevata una lieve riduzione del peso del nascituro, senza conseguenze per il normale sviluppo del figlio. I dati scientifici relativi all’assenza di effetti dannosi di farmaci come l’interferone beta 1a sul nascituro sono molto rassicuranti».

La frequenza delle ricadute può aumentare durante la gravidanza e il puerperio?
«Per quanto riguarda il puerperio, il primo e il secondo trimestre dopo il parto rappresentano il periodo di maggior rischio di ricadute – dichiara la Prof.ssa Maria Pia Amato, Responsabile Centro SM Clinica Neurologica I Ospedale Careggi di Firenze – Tale fattore è legato al tasso di ricadute durante l’anno precedente la gravidanza: le pazienti a maggior rischio di ricadute nel periodo puerperale sono quelle con malattia più attiva, cioè con un più alto tasso di ricadute nell’anno precedente la gravidanza e durante la gravidanza e con maggiore disabilità al momento della gestazione.
Da uno studio sulla sicurezza dei farmaci immunomodulanti come l’interferone beta 1a durante la gravidanza, studio coordinato da un gruppo di ricerca dell’Università di Firenze, e da me guidato, è emerso che nelle pazienti a maggior rischio di ricadute puerperali, la ripresa o l’inizio di una terapia con farmaci che modificano il decorso della malattia entro i primi 3 mesi dal parto sia in grado di proteggere la donna dal rischio di ricadute.
Nelle pazienti con decorso di malattia più attivo sembra consigliabile iniziare il trattamento subito dopo il parto per prevenire sia le ricadute puerperali sia la possibile disabilità residua nel breve e medio termine».

Devo sospendere il trattamento farmacologico durante l’allattamento?
«Le informazioni riguardo il ruolo dell’allattamento sono contrastanti – continua la Amato – Secondo alcuni autori, l’allattamento potrebbe svolgere un’attività protettiva rispetto alle ricadute puerperali, grazie all’amenorrea indotta dall’ormone prolattina. I risultati degli studi più ampi suggeriscono che verosimilmente il ruolo dell’allattamento è neutrale. Dallo studio da me condotto è emerso che in realtà è la scelta di allattare ad essere influenzata dall’attività di malattia e non il contrario, per cui le pazienti con evoluzione di malattia più benigna decidono di allattare più spesso rispetto a quelle con decorso più attivo. Le decisioni relative all’allattamento e alla ripresa della terapia devono dunque essere discusse con la paziente, tenendo in considerazione il profilo di rischio individuale».

I farmaci utilizzati nel trattamento della SM che impatto hanno sulla gravidanza?
«I farmaci utilizzati nel trattamento della SM possono essere suddivisi in due categorie principali: farmaci di prima linea e farmaci di seconda linea – spiega il Prof. Carlo Pozzilli, Responsabile Centro SM Ospedale S. Andrea  di Roma – I primi si caratterizzano per un miglior profilo di sicurezza anche per quanto concerne il loro impatto sulla gravidanza; varie pubblicazioni hanno riportato che l’esposizione ad interferone beta-1a durante le prime settimane di gravidanza non è associata ad un aumento degli aborti spontanei o ad altri rischi maggiori per il feto. Anche il Glatiramer Acetato viene considerato un farmaco che non pregiudica il buon andamento della gravidanza.
I farmaci di seconda linea (natalizumab, fingolimod, mitoxantrone) non solo sono da evitare in
gravidanza, ma il loro uso può comportare rischi di aborto spontaneo e malformazioni neonatali.
L’uso di farmaci immunosoppressivi è poi associato ad aumentata incidenza di infertilità».

Quale impatto può avere la Sclerosi Multipla sulla vita sociale?
«L’insorgenza di una malattia ed in particolare di una malattia cronica come la SM rappresenta un evento complesso e carico di significati che può ripercuotersi a livello psicologico – dichiara la dottoressa Monica Falautano, psicologa del centro SM Ospedale S. Raffaele di Milano – E’ necessario dunque rivolgere l’attenzione agli aspetti psicologici, sociali, familiari dell’individuo in grado di influenzare l’evoluzione della patologia. Una patologia come la SM, che colpisce la componente motoria del movimento, comporta anche inibizione, repressione e frustrazione del bisogno di esprimere a livello motorio le emozioni. Le ripercussioni sul benessere fisico e psichico possono essere imponenti. Stimolare il movimento fisico e l’espressione delle emozioni a livello motorio, attraverso la danza, il ballo e la musica, può offrire spazi neuro riabilitativi e rappresentare un notevole miglioramento della qualità della vita».
«La maggior parte delle persone con SM vive con i propri familiari e diventa quindi fondamentale il rapporto con il partner o con i genitori, soprattutto quando la paziente perde l’autosufficienza – aggiunge Falautano – E’ dimostrato ad esempio che i figli di coppie in cui almeno uno dei genitori è affetto da SM e comorbilità con depressione sono ad alto rischio di malattie mentali (Steck et al, 2006). La vita di relazione, fatta di lavoro, attività sociali e incontri con gli amici, si modifica a causa della malattia, peggiorando notevolmente in presenza di disabilità. Solo la qualità dell’amore genitoriale, in caso di pazienti giovani, o amicale, può in parte stemperare l’effetto negativo della carenza di relazioni affettive».

La Sclerosi Multipla può essere un ostacolo all’attività sessuale?
«La funzione sessuale è un complesso processo neuro vascolare, muscolare ed endocrino con un significativo coinvolgimento emozionale, affettivo e cognitivo – spiega la dottoressa Alessandra Graziottin, Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica Ospedale S. Raffaele Resnati di Milano – Il sistema nervoso centrale e periferico è molto coinvolto in tutte le funzioni della risposta sessuale. Questo spiega l’alta vulnerabilità delle funzioni sessuali nella SM, che quindi rappresenta un forte fattore di disturbo biologico e psicosessuale.
La SM può avere ripercussioni critiche sulla vita sessuale dei pazienti, tanto maggiori quanto più bassa è l’età di insorgenza e rapida l’aggressività del decorso.
Secondo diversi studi, tra il 61 e il 73% delle donne con SM soffrono anche di una disfunzione sessuale (Zorzon et al, 1999; Grunenwald e Coll, 2007), il 60% riferisce una diminuzione della libido legata soprattutto alla depressione concomitante e il 40% rivela una difficoltà a raggiungere l’orgasmo dovuto al danno neurologico (Grunenwald e Coll, 2007).
La SM può dunque colpire la sessualità femminile con diverse modalità: può ledere l’identità sessuale, compromettere la funzione sessuale, inibire la formazione della coppia o ferire la coppia stabile per i drastici cambiamenti di ruolo, di reddito, di possibilità ludiche e di svago che la SM comporta».

[lmsdp]

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