Scelta musica riflette come pensiamo

Norah Jones o Vivaldi? Billie Holiday o i Metallica? Quel che sta nell'iPod non indica solo i gusti musicali: può far capire il modo in cui si pensa. Ne è convinto un team di psicologi dell'università di Cambridge, secondo cui per predire la musica preferita da un individuo basta sapere se è un tipo empatico, quindi attento alle emozioni altrui, o analitico, cioè concentrato a capire le regole in base a cui funziona tutto ciò che ci circonda.

In sostanza, la psicologia può dare una mano all'industria musicale, aiutando servizi come Spotify o il nuovo Apple Music a consigliare l'ascolto di brani adatti al singolo utente. Sfatando la teoria secondo cui le preferenze musicali dipendono dall'età o dalla personalità - il pop piace agli estroversi, il blues è per chi è sempre aperto a nuove esperienze -, i ricercatori hanno preso in esame 4mila persone reclutate con l'applicazione 'myPersonality' di Facebook, attraverso cui i partecipanti sono stati sottoposti a un questionario psicologico. In un secondo momento al campione è stato chiesto di ascoltare e dare un voto a 50 brani musicali di 26 generi e sottogeneri diversi.

In base ai risultati, chi ha ottenuto punteggi alti sull'empatia ha mostrato una predilezione per le sonorità morbide del soft rock e per generi di facile ascolto come il country o il folk. Le preferenze degli analitici, invece, sono andate alla musica intensa come il punk e l'heavy metal e a quella con un alto livello di profondità cerebrale e di complessità, quale la classica o il jazz d'avanguardia.

Se è vero che le scelte musicali variano nel corso della vita e anche in base allo stato d'animo del momento, per gli psicologi un empatico preferirà sempre il jazz della Holiday o della Jones a quello di Ornette Coleman, e ascolterà con più piacere "Hallelujah" di Leonard Cohen, magari nella versione di Jeff Buckley, piuttosto che il Concerto in do maggiore di Vivaldi.

"La musica è espressione di ciò che siamo emotivamente, socialmente e cognitivamente. È uno specchio del sé", dice l'autore dello studio Jason Rentfrow. Ma c'è anche il rovescio della medaglia, quello utile alla discografia. Come sottolinea il dottorando in psicologia e jazzista David Greenberg, "vengono investiti un sacco di soldi in algoritmi che scelgono la musica che potrebbe piacerci, ad esempio su Spotify e Apple Music. Conoscendo lo stile di pensiero di un individuo, in futuro questi servizi potrebbero dare consigli personalizzati".

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