RUBRICA: PSICOLOGIA & DINTORNI. 3/LA SINCRONICITÀ DI …

taoLECCO – Esiste un ambito in cui psicologia, fisica e occulto si sovrappongono in modo affascinante e ricco di spunti. Sebbene le scienze tendano a non considerare nelle loro trattazioni i fenomeni irripetibili, in quanto viziati dall’unicità dell’osservatore e dalla loro non generalizzabilità, la teoria della sincronicità balza all’occhio in quanto figlia di due esimi esponenti della cultura europea: Carl Gustav Jung, psichiatra e psicanalista svizzero, e Wolfgang Pauli, fisico austriaco.

Jung teorizzò l’inconscio collettivo, costrutto dal quale prende le mosse la teoria della sincronicità: esso è definito come una porzione dell’inconscio (nel senso classico del termine), che consiste in un contenuto arcaico, collettivo, che non era mai stato prima nella coscienza, che condiziona il funzionamento dell’inconscio, e di conseguenza della vita psichica dell’individuo nella sua totalità. In questa prospettiva la psiche viene vista come un tutto, costituito da conscio ed inconscio. Jung lo spiega in questo modo: “non si deve intendere con ciò una conoscenza, ma un rappresentarsi, che consiste in simulacri di immagini, privi di soggetto”. Pauli puntualizza parlando di “contenuti psichici relativamente stabili che sopravvivono all’Io personale”, anche se precisa che non esiste nessuna possibilità diretta di verificare come questi contenuti siano, ma solo modi indiretti.

Strettamente connessa alla definizione di inconscio collettivo è quella di archetipi: sono le “immagini” a cui si riferisce lo psicanalista svizzero, le quali sono fondamentali e primitive e si impongono fortemente ed oggettivamente. Ciò che si intende per archetipo non è, ovviamente, evidente (dato che alberga nell’inconscio collettivo), tuttavia ha effetti che rendono possibile la sua messa in evidenza, ovvero le rappresentazioni archetipiche. Queste ultime sono le manifestazioni coscienti che fanno da specchio al contenuto oscuro e misterioso degli archetipi, in quanto questi ultimi sono una condizione non intuitiva. Citando nuovamente Jung: “gli archetipi sono fattori formali che coordinano processi psichici inconsci: sono patterns of behaviour”, schemi di comportamento.

Pauli, considerato da molti uno dei padri della meccanica quantistica, si colloca in un’ottica del tutto particolare, sulla scia di alcuni studiosi a lui contemporanei: al fine di una più precisa comprensione della realtà che ci circonda auspica un parziale ritorno al passato e uno spostamento dell’attenzione verso tipi di speculazione diversi da quella occidentale. Inoltre si schiera verso un netto superamento del dualismo cartesiano tra mente e corpo, psiche e natura: non più una dicotomia, bensì un rapporto di complementarietà.

Pauli e Jung

L’incontro tra questi due studiosi avviene per caso, ed è proprio verso ciò che comunemente è chiamato “caso” che decidono di muovere i loro studi, arrivando così a teorizzare la sincronicità come principio di nessi acausali. Essa è un principio interpretativo atto a spiegare i fenomeni di natura diversa da quella causale, che generalmente vengono chiamati “casi”. La tesi sostenuta è che, quando nessuna causa può essere pensata, ci si può trovare di fronte a “coincidenze significative”, che possono essere spiegate in termini di sincronicità, nell’accezione di coincidenza temporale di due o più eventi, non legati da un rapporto causale, che hanno un analogo contenuto significativo. Il termine “sincronicità” è quindi in opposizione a “sincronismo”, che rappresenta la semplice contemporaneità di eventi. Sincronicità significa innanzitutto la simultaneità di un certo stato psichico con uno o più eventi esterni che paiono paralleli significativi della condizione momentanea soggettiva. I due eventi collegati tramite questo nesso acausale seguono un determinato senso, evidentemente più grande del senso soggettivo che alberga in ogni individuo, altrimenti si tratterebbe di conferire all’essere umano la facoltà di manipolare gli eventi fisici esterni mediante processi psichici, cosa assolutamente infondata. Né Jung né Pauli si sbilanciano nel definire con esattezza quale sia l’origine di questo senso che sta sopra e in tutte le cose, ma tentano di definirlo rifacendosi al Tao, mediato dalla filosofia cinese, che significa appunto “senso”, “conoscenza assoluta”. Dato che gli eventi sincronistici non avvengono per implicazione di energia, Jung suppone che il loro significato latente sia da ritrovare nell’inconscio collettivo che il genere umano porta dentro di sé, dando loro quindi una base archetipica.

Siamo di fronte a due eventi irrelati fra loro, uno dei quali è di origine psichica: un sogno, una riflessione, una rivelazione. L’ipotesi di Jung e di Pauli è che tutto ciò sia dovuto all’insorgere di un forte stato emotivo nel soggetto, per un qualsiasi motivo. Tale stato crea un “abbassamento del livello mentale”, che alza istantaneamente il tono dell’inconscio. La coscienza cade sotto l’influenza di impulsi e contenuti inconsci istintivi, potendo accedere alle “immagini archetipiche” e alle “percezioni subliminali” già prima esistenti, la “conoscenza assoluta” pregressa del genere umano. Il risultato è che il fatto viene “osservato” nell’immagine inconscia proprio così come si sta venendo (o si verrà) a realizzare.

Una prova decisiva dell’esistenza di nessi acausali tra eventi è stata data solo in tempi recenti, in maniera scientificamente adeguata, dagli esperimenti di Rhine, senza però che costui abbia mai intuito le possibili ripercussioni di tali osservazioni. Il contesto è lo studio delle ESP, extra-sensory perceptions, ovvero le “coincidenze significative”, nel linguaggio di Jung e Pauli. L’esperimento principale consisteva, in linea di principio, in questo: uno sperimentatore scopriva una di seguito all’altra una serie di carte contraddistinte da semplici motivi geometrici. Contemporaneamente si chiedeva al soggetto, materialmente separato dallo sperimentatore, di indicare uno ad uno i segni corrispondenti. Si è usato un mazzo di venticinque carte, recanti a cinque a cinque lo stesso contrassegno. Il soggetto, senza nessuna possibilità di vedere le carte, doveva indicare quelle che venivano scoperte, così come gli veniva in mente. Ovviamente moltissimi tentativi ebbero esito negativo, ma ce ne furono anche molti che superarono nettamente la probabilità media. Una persona, addirittura, lesse una volta tutte le venticinque carte in modo corretto, nell’ordine in cui venivano estratte dallo sperimentatore. Rhine notò che estendendo la distanza nello spazio tra sperimentatore e soggetto il risultato non cambiava; anche spostando nel tempo l’estrazione delle carte rispetto alla somministrazione, non ci furono novità. Queste osservazioni furono interpretate da Jung come una prova del fatto che l’energia non c’entrava, e che questi fenomeni erano mediati da qualcos’altro. Tra gli esperimenti di Rhine vanno ricordate anche alcune prove simili, svolte però con l’utilizzo di dadi. Ricorrentemente, in questo tipo di esperimenti, il numero di centri indovinati scendeva dopo la prima prova. Se per qualunque motivo esterno o interiore, però, l’interesse del soggetto si ridestava, il numero dei centri tornava a salire. Gli esperimenti di Rhine ci mettono di fronte ad un fatto: ci sono eventi che stanno tra loro in rapporto significativo, senza che si possa dimostrare in alcun modo che questa relazione sia causale. Sembra, appunto, che la spiegazione sia da ricercare nell’inconscio collettivo. Pare inoltre, che spazio e tempo, in rapporto con condizioni psichiche, in sé non esistano affatto, e che siano stabili così come noi li conosciamo solo in rapporto alla misurazione. In questo modo, secondo Jung, la risposta esatta del soggetto avviene nel modo già descritto, scaturendo non dalla visione diretta delle carte fisiche, “ma da pura immaginazione, da idee spontanee dalle quali si manifesta la struttura dell’inconscio che le produce”. Anche in questo caso di sincronicità, il fondamento è dato da una costellazione archetipica, non immediatamente evidente: l’esperimento ESP grazie alla sua forte improbabilità di successo contiene in sé un effetto emotivo (aumentato, inoltre, dal mutare dell’interesse del soggetto sperimentale, ad esempio tramite incitamento) che, se accolto dal soggetto, può portare a far affiorare delle immagini archetipiche. Esistono altri esempi citati dai due autori, per i quali rimando alle loro opere.

Tale interpretazione dei nessi acausali implica la necessità di un nuovo principio esplicativo che si possa affiancare a quello causalistico. Se è vero che la relazione causa-effetto non può essere esauriente per tutti i fenomeni, e se è vero che la sincronicità non può essere spiegata in termini causalistici, subentra la necessità di ricercare un’altra via, seguendo le tracce di Jung e Pauli. La nostra classica immagine del mondo, composta dalla triade di spazio, tempo e causalità, si andrebbe a completare grazie al fattore di sincronicità, che renderebbe più profondo il giudizio complessivo sulla realtà che ci circonda. Bisogna dunque cercare di liberarsi dell’intonazione causalistica che permea il nostro linguaggio concettuale, ma anche dell’esagerato scetticismo verso l’ignoto: solo così potranno essere colte tali classi di fenomeni. La sincronicità di C.G. Jung e Wolfgang Pauli, rappresenta una sfida: toglierci di dosso i retaggi del passato, aprire i nostri orizzonti verso un altro tipo di princípi interpretativi e a un altro modo di intendere il possibile. La conoscenza, in ogni ambito, non è mai perfetta, è sempre perfettibile: ciò implica doversi adattare a un sapere improntato al cambiamento, che non abbia alcun criterio privilegiato di realtà e scientificità. La sincronicità significa anche un nuovo corso per la fisica e la psicologia, ora connesse dalla teoria degli archetipi e dal fatto che mente e psiche sono da considerare un tutto omogeneo, due parti complementari della stessa totalità, un’unitarietà che emerge proprio da questi studi.

Scheda di Wikipedia

Alberto Zicchiero, psicologo
Iscrizione Opl n. 17337

 

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