Ricerca: al Polo Nord si studiano gli effetti "sottozero" sui ritmi biologici

I ricercatori italiani studiano come in condizioni climatiche estreme, l’orologio biologico degli animali polari si adatti per permettere la sopravvivenza: lo studio sarà essenziale per capire anche i processi di adattamento neurocognitivo umano in ambienti estremi

L’Università Sapienza di Roma al Polo nord per fare ricerca ‘sottozero’. Quest’estate i ricercatori dell’ateneo sono impegnati nella base artica del Cnr ‘Dirigibile Italia’ alle Isole Svalbard sui temi delle neuroscienze e dell’eco-biologia: dai processi decisionali in ambienti estremi all’orologio biologico, fino alle conseguenze dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi. Il dipartimento di Psicologia della Sapienza è presente con due team di ricerca: uno condotto sul Lepidulus arcticus (Branchiopora, Notostraca), un crostaceo mai analizzato prima che potrebbe rappresentare un ottimo modello animale per lo studio dell’espressione dei geni collegati ai ritmi biologici; il secondo analizzerà i processi di adattamento neurocognitivo umano in ambienti estremi.

poloIl primo studio è condotto da Vittorio Pasquali, in collaborazione con David Hazlerigg dell’università di Tromsø (Norvegia) e Cristiano Bertolucci dell’università di Ferrara, che quest’anno grazie ad un finanziamento internazionale dello Svalbard Science Forum, entra nel vivo di uno studio di cronobiologia avviato lo scorso anno sui ritmi biologici degli animali polari. Oggetto della ricerca è il Lepidulus arcticus, recenti studi hanno infatti ipotizzato come l’orologio biologico degli animali polari, durante i mesi di luce o buio totali, eserciti un debole controllo sulle quotidiane funzioni comportamentali e fisiologiche.

polo nordAl contrario, nei brevi periodi di normale alternanza tra giorno e notte (solo alcune settimane l’anno), tutto funziona perfettamente, quasi vi fosse uno ”switch” in grado di scollegare l’orologio biologico in assenza di una regolare ritmicità astronomica. “Il progetto, oltre a provare le ipotesi avanzate dal team di ricercatori norvegesi, fornirà nuovi dati sull’espressione genica e i ritmi biologici degli animali polari, aprendo nuovi scenari sulle possibilità e i limiti dell’adattamento umano ai diversi fotoperiodi, come nei casi del lavoro a turni o del jet-lag”, afferma Pasquali, ricercatore del dipartimento di Psicologia e coordinatore del gruppo di ricerca. Il secondo team, coordinato da Fabio Ferlazzo in collaborazione con Francesca Romana Patacchioli del dipartimento di Fisiologia e farmacologia, condurrà uno studio sui processi di adattamento neurocognitivo umano in ambienti estremi, analizzandone gli effetti su ritmi biologici, sonno e processi decisionali. Le conseguenze sulle decisioni assunte in condizioni di isolamento prolungato e in situazioni ambientali estreme sono ancora sconosciute. “I processi decisionali e la corretta valutazione dei rischi sono di fondamentale importanza, ad esempio nella gestione di situazioni critiche in condizioni di autonomia – afferma Patacchioli – le ricadute applicative dello studio riguardano non soltanto l’adattamento all’ambiente polare, ma si estendono all’esplorazione umana dello spazio e ad altri contesti operativi, come quelli sanitari, militari e industriali”. Un lavoro già condotto in Antartide nella base italo-francese Concordia in collaborazione con l’Esa, verrà replicato ed ampliato sul personale presente presso le stazioni scientifiche artiche a Ny-Ålesund. Oltre alle ricerche di neuroscienze, le attività in artico della Sapienza saranno sviluppate anche dal gruppo di eco-biologia del dipartimento di Biologia ambientale, coordinato da Loreto Rossi. Il gruppo di ricerca, già attivo in Antartide, ha avviato uno studio sulla vulnerabilità degli ecosistemi di acqua dolce artica ai futuri cambiamenti climatici, con particolare riguardo ai fattori che regolano il ciclo dei nutrienti all’interfaccia terra-acqua nei laghi delle Isole Svalbard. La ricerca, diretta da Edoardo Calizza, e in collaborazione con Cnr-Irsa, vedrà l’applicazione di un approccio fortemente innovativo che studia i flussi degli isotopi stabili del carbonio e azoto nelle biomasse in relazione all’idro-morfologia dei corpi d’acqua e dei loro bacini di drenaggio. Lo scopo è determinare le forzanti ambientali che controllano la produttività biologica della biodiversità nei laghi artici, consentendo di formulare ipotesi coerenti sulle risposte ecologiche di questi delicati ecosistemi naturali ai cambiamenti climatici.

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