Psicologia in Rete: Il senso di colpa, genesi e conseguenze

Eccessivo o mancante, esplicito o strisciante, il senso di colpa condiziona la nostra vita e ne determina il grado di felicità. I sensi di colpa ossessivi e soffocanti distruggono, così come l’impossibilità di provare rimorso spiana la via a patologie di segno oposto.

Tra questi estremi si dibatte l’uomo medio, che dedica l’intera esistenza a far quadrare i conti che la propria coscienza morale quotidianamente gli presenta.
Le stesse fondamenta della socialità – la possibilità di una convivenza comunitaria – poggiano sul senso di colpa, che deve quindi essere considerato un fattore di crescita e di coesione psicosociale. ” La colpa è un prodotto della cultura e dei valori che caratterizzano tale cultura” scrive lo psicoterapeuta Alexander Lowen, “padre” della Bioenergetica e autore del saggio Il piacere (Astrolabio). “Questi valori diventano princìpi morali e codici di comportamento che i genitori insegnano a ogni figlio facendoli diventare parte della struttura egoica del bambino”. Il senso di colpa “buono”, quindi, è dato dalla progressiva acquisizione delle regole morali che consentono all’individuo di sviluppare un atteggiamento etico. D’altra parte, continua Lowen, “una società priva di un codice di comportamento, accettato da tutti e basato su princìpi morali, degenera nell’anarchia o nella dittatura”. Ecco, quindi, la funzione regolatrice del senso di colpa condiviso.

Prodotto del senso di colpa è il disagio della civiltà di cui parlò per primo Freud nel suo saggio omonimo: il progresso sociale passa attraverso la perdita dello stato naturale di assoluta libertà, con la transazione dal principio del piacere a quello di realtà.
L’analisi del senso di colpa individuale – l’emozione che forse più di ogni altra caratterizza l’essere umano – conduce ai suoi elementi costitutivi: da una parte, l’esistenza di una norma da infrangere; dall’altra, la capacità psichica di riconoscere tale norma e di ritenerla giusta; e ancora, la capacità di provare rimorso e desiderio di espiazione per averla infranta. Quando avviene tutto questo, nel corso della crescita psicologica infantile? Freud ci ha insegnato a considerare il complesso edipico (l’ambivalenza affettiva verso padre e madre) come lo spartiacque del pensiero morale.
Ma la psicologia non si ferma alla lezione di Sigmund Freud. Altri autori hanno sottolineato la presenza di un abbozzo di coscienza assai prima della fase edipica. E questo perché l’emozione della colpa è un’emozione “sociale”, che si sperimenta nel rapporto con l’altro.

E il bambino ha già la capacità di stabilire rapporti interpersonali assai prima del periodo in cui si innamora del genitore di sesso opposto
Nel bambino piccolo, il nucleo primordiale della coscienza è dato dalla paura: la paura del castigo, della punizione. Successivamente, però, ecco svilupparsi la capacità di empatia (sapersi porre nei panni dell’altro), per cui un’azione diventa riprovevole perché da essa scaturisce un danno. La sofferenza altrui è vissuta e sperimentata per identificazione con chi ne è vittima, e questo vieterà al bambino di esserne ancora artefice. “Ho rotto un vaso, la mamma è dispiaciuta, e io soffro per lei. In futuro, non vorrò arrecare lo stesso dispiacere alla mamma”, si dice il piccolo, sinceramente pentito.
Dal senso di colpa infantile deriva il più maturo senso di responsabilità, una tappa dolorosa ma obbligata nell’evoluzione della personalità e nello sviluppo del pensiero morale. Al pensiero, poi, corrisponde un’etica, un comportamento che si attiene ai valori condivisi in senso culturale e che inserisce l’individuo a pieno titolo nel contesto integrato della società.
Quando, allora, il senso di colpa degenera sino a diventare causa e sintomo di disagio e di sofferenza, di alterato funzionamento psichico e relazionale? Sappiamo, infatti, che il bisogno compulsivo di espiare colpe non sempre reali può costringere alla nevrosi o alla psicosi. Disturbi quali la nevrosi ossessivo-compulsiva e la depressione hanno un’origine auto-punitiva.

Anche in certi tipi di personalità inibita – che non sconfinano nella psicopatologia, ma che di certo risentono di uno sviluppo emotivo problematico – è possibile leggere in filigrana la presenza incombente del perverso meccanismo dell’auto-colpevolizzazione. Dice Anna Oliverio Ferrarsi: “C’è chi si tormenta per colpe immaginarie o non sue: o perché fin da bambino è stato abituato a considerarsi colpevole di tutto ciò che accadeva di negativo intorno a lui (dei propri errori, ma anche di quelli degli altri); o perché non attribuisce nessun ruolo al caso o agli altri nella determinazione degli eventi; o perché è intimamente convinto (per troppa paura?) che ogni aspetto della realtà possa o debba essere tenuto sotto controllo; o perché la dinamica di un lutto (gli eventi passati sono stati interpretati alla luce del doloroso presente) lo porta a vedere colpe che non esistono”.

Nel bene e nel male, il senso di colpa scaturisce dal potere educativo dei genitori. Il ricatto affettivo è sempre stata l’arma più efficace per inculcare nel bambino il senso del dovere e del rimorso. “Se non mi ubbidisci, io non ti voglio bene”: ecco il messaggio più o meno esplicito che va a colpire lo strato più indifeso della psiche infantile, quello votato alla totale dipendenza affettiva dal genitore. E la paura di perdere l’affetto è un deterrente emozionale potentissimo, in grado di scatenare il panico. A volte, purtroppo, l’uso sproporzionato e continuo di tale strumento determina un surplus di angoscia che poi si trasforma in senso di insicurezza e si cristallizza in patologie affettive. “Il primordiale senso di colpa nasce dalla sensazione di non essere amati” dice Lowen. “L’unica spiegazione che il bambino può dare di questo stato di cose è quella di non meritare l’amore”.

Che cosa spinge un genitore a utilizzare il ricatto? La paura che spesso avverte nello scoprire il mondo istintuale del figlio. Dinanzi alle pulsioni infantile sessuali e aggressive, l’adulto prova sgomento, e teme (ecco il senso di colpa generativo, che si tramanda di genitore in figlio!) di non riuscire nel suo compito educativo. Invece di accettare la realtà pulsionale infantile – distinguendo saggiamente fra desiderio e comportamento – il padre e la madre non trovano altra soluzione che quella di frustrare e di etichettare come “colpa” il normale emergere delle spinte pulsionali.

La condanna genitoriale diventa auto-condanna. E questo sentimento persecutorio si manifesta sotto varie forme: idee ossessive, ansia, depressione, ricerca dell’espiazione, inibizione e così via. Rimane sommersa la colpa che, come il peccato originale, non può essere cancellata se non da chi se n’è sentito offeso.
Connesso al concetto di colpa inconfessabile è quello del “segreto patogeno”: la persona custodisce un orribile segreto a cui è legato il sentimento di auto-condanna. La letteratura di ogni tempo è ricca di “segreti patogeni”: basti pensare a personaggi della drammaturgia come lady Macbeth o Edipo, perseguitati da un tormentoso rimorso.

Una conseguenza deleteria del desiderio compulsivo di autopunirsi è la proiezione all’esterno dei propri impulsi aggressivi, quasi a voler ricercare e giustificare un castigo. “E’ il caso” dice Anna Oliverio Ferraris “di colui che maltratta gli altri perché in tal modo ha la possibilità di sviluppare dei sensi di colpa realistici, laddove ha necessità di trovare una giustificazione a dei sensi di colpa incomprensibili che si porta dentro: il maltrattamento ha l’effetto di provocare delle reazioni ostili negli altri, consentendo così al persecutore-colpevole di espiare”. Questa dinamica (senso di colpa – comportamento deviante – punizione esterna – appagamento del bisogno di espiazione) è indicata come la più plausibile interpretazione psicologica degli atti criminosi tipici della personalità antisociale.
E’ questo il grande disagio del nostro tempo: la ribellione, lo “sfogo” aggressivo, la scaltrezza che si disinteressa del bene comune ma che agisce unicamente al servizio dell’ego narcisistico a scapito degli altri. Ed ecco l’altra faccia del problema psicopatologico legato al senso di colpa: la sua spaventosa, desolante assenza.
Si dice a volte che il crollo dei valori è determinato dalla mancanza della capacità di sentirsi in colpa. In realtà, i termini vanno capovolti: è la mancanza di senso di colpa – e il conseguente comportamento amorale – che scaturisce da un vuoto; specificamente, dall’assenza di un vero e proprio contenimento emozionale.

Deformazione o mancanza del senso di colpa: ecco la patologia emergente del nuovo millennio. L’allarme sociale relativo ad avvenimenti tanto violenti quanto inspiegabili perché gratuiti, si fa sempre più intenso. Questo brancolare nel buio alla ricerca di un contenimento e di un limite implica un grave pericolo di frammentazione sociale, oltre che psichica. Qual è la possibile soluzione? Un rinforzo del controllo esterno? Un’ elevazione della soglia di repressione?

Dal punto di vista psicopedagogico, l’unica strada percorribile è quella di favorire – nelle fasi fondamentali dello sviluppo individuale – la strutturazione del senso di colpa “buono”, costruttivo. Ma anche quella di offrire al bambino e all’adolescente un sufficiente ancoraggio affettivo. Come? Accettando le sue contraddizioni, assicurandogli amore e sostegno, e insegnandogli che tutto è reversibile: il danno può essere riparato e, se la richiesta è sincera, il perdono è assicurato. Trasmettendogli il messaggio che la vita non è un videogame in cui conta accumulare punti per vincere, ma neanche un luogo di espiazione e di patimento senza fine. 

Dott Giuseppe Sampognaro

Psicoterapeuta della Gestalt
 

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