Psicologia e Politica, su cosa si basano fiducia, consensi e voti?

Si potrebbe rimanere stupiti nel sapere che i consensi elettorali, il successo di alcuni leader e quindi la loro influenza su folle molto numerose, non dipendono in realtà dai programmi politici; è infatti su molto altro che gli elettori si basano per compiere le loro scelte elettorali. Le ricerche psicosociali rivelano che ciò che resta più impresso nella mente di un votante è la personalità del politico e non tanto il suo programma.

Questo accade non perché la maggior parte di noi sia “superficiale” ma perché la maggior parte delle decisioni, e quindi anche la scelta del voto, non passa attraverso percorsi razionali ma più “istintivi”.

Dietro ad una campagna elettorale importante vi è spesso un lavoro strategico che si basa, ad esempio, sulla gestione delle impressioni, della personalità percepita dai votanti del politico, sulle sue capacità argomentative, sulla sua simpatia, attrazione fisica e gradevolezza e, soprattutto, sulla sua “somiglianza” all’uomo comune. Così come le relazioni più significative si stringono con persone più simili ed uguali a noi perché rassicuranti e rinforzanti, ugualmente accade in politica: più il politico si mostra simile ai suoi ascoltatori ed impegnato in attività comuni, più questi riporranno fiducia in lui; ciò avviene grazie alla facilità del rispecchiamento: il suo modo di presentarsi, di parlare, di vestirsi più sarà vicino a quello della gente comune più rimanderà l’idea di poter essere la persona migliore per rappresentarla.

E’ una tecnica tipica della democrazia, a differenza di quella dell’ “autorità” (vedi imperatori, sovrani, dittatori che si sono invece sempre distinti dalla massa) usata in regimi assolutistici. Si tratta di scelte basate su scorciatoie di pensiero (euristiche), valutazioni istintive che se azzeccate permettono di guadagnare influenza sociale, anche in presenza di un programma politico sterile. La fiducia in un politico dipende almeno anche da un altro paio di fattori: il modo in cui comunica, con il linguaggio verbale e non verbale, il suo messaggio.

Nel linguaggio verbale una delle tecniche più utilizzate per cambiare la percezione di un fenomeno è quella del Reframing o Ristrutturazione. Fra le “ristrutturazioni” più utilizzate dai leader politici c’è quella degli “Sleight of Mouth”, ovvero schemi di “destrezza” linguistica il cui scopo è spostare su un altro livello l’attenzione del proprio interlocutore, utilissima quindi per eliminare obiezioni e giudizi. Nascono attraverso l’analisi del linguaggio di grandi comunicatori moderni come Watzlawik, Erikson e figure storiche come Hitler, Gandhi, Socrate, Gesù, riconosciuti trascinatori di folle.

Con questa tecnica è possibile rispondere in modo creativo e ristrutturante alla definizione che l’interlocutore da di sé e della realtà. Ad esempio, Berlusconi nel caso “ Ruby” è stato accusato di vari scandali di natura sessuale, lui in proposito ha ristrutturato l’accusa in modo creativo e con assonanza positiva, dicendo di aver aiutato una ragazza che versava in gravi difficoltà esistenziali e di non partecipare a feste con travestiti ma a serate di “burlesque”.

Le tecniche usate dai politici nei loro discorsi sarebbero ancora tante da descrivere, mi soffermo ancora su qualcuna, ad esempio quella delle “nomilizzazioni” e dell’uso dei verbi senza specificare il significato, in modo che chi ascolta possa interpretare il messaggio nella maniera che più gli si allinea e che preferisce; oppure il “responsabilizzare” chiamando in causa l’impegno dell’interlocutore: “Deciderò con voi come portare avanti questo progetto…”; “E’ con voi che dovrò discutere prima di decidere come realizzare questo programma…” .

Consapevoli, dunque, che dietro ad un grande leader ci stanno quindi non solo i fatti ma anche le “parole”.

 

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