Psicologia dell’avarizia. Cosa si nasconde dietro l’ossessione del …

Avarizia, taccagneria, spilorceria, avidità, cupidigia, ingenerosità. Quando il vocabolario offre tanti sinonimi e sfumature per descrivere qualcosa, vuol dire che quel qualcosa è frequente ed è così complesso che abbisogna di più parole per essere indicato. In italiano l’avarizia è descritta anche da locuzioni come “avere il braccino corto” o “essere tirati” e, guardando al panorama dei dialetti incontra un’infinità di modi di dire, tanto da far pensare che l’attaccamento patologico al denaro sia un tratto più che comune dell’essere umani.

L’avarizia consiste nella tendenza, spesso irragionevole e ostinata, all’accumulo di denaro e di beni e nel rifiuto, più o meno esplicito, di condividere con gli altri ciò che si possiede, anche quando gli altri manifestano generosità verso l’avaro. Lo spilorcio arraffa e incamera tutto quel che può e, se le circostanze lo costringono a dare qualcosa, preferisce darsi malato, inventare scuse al limite del ridicolo o interrompere un’amicizia piuttosto che corrispondere, anche in minima parte, quanto ricevuto dagli altri. Un autentico taccagno non vi offrirà mai un caffè e tanto meno una cena, indipendentemente dal numero di volte che è stato vostro ospite. Vi farà costantemente i conti in tasca e biasimerà il vostro stile di vita poco accorto, credendosi più furbo e più intelligente di voi. Al massimo della generosità, riciclerà in malo modo un regalo, fingendo di averlo scelto con cura, ma riuscirà a dileguarsi accortamente per il vostro compleanno o dopo aver ricevuto un dono importante, per non correre il rischio di “dover” ricambiare.

L’eccessivo attaccamento al denaro si presenta di rado come una caratteristica isolata, ovvero non è da intendersi come un vezzo un po’ fastidioso della personalità, perché la taccagneria contiene in sé altre e più insidiose implicazioni psicologiche e interpersonali.
Spesso chi è avaro è anche iper-crontrollante nei confronti degli altri, è sospettoso, malizioso, machiavellico. Va in cerca di continue conferme circa l’altrui opportunismo, perché sembra essere amaramente persuaso che al mondo esistano due sole categorie di persone: i falsi e gli ingenui. Rifugge dai primi, commisera e sfrutta i secondi.
Questo fa degli spilorci persone affettivamente isolate, anche quando riescono a mantenere rapporti stabili, a sposarsi e ad avere figli. La sola forma di relazione che li rassicura è la dominanza, la possibilità di gestire gli affetti con la stessa rigida parsimonia con cui adoperano il denaro. Esigono di avere (letteralmente) sempre l’ultima parola e di prendere (letteralmente) ogni decisione.

Più che dall’aspirazione alla ricchezza, l’avaro è tormentato dallo spettro della scarsità. Non vuole, come comunemente si immagina, arricchirsi alle spalle degli altri ma, piuttosto, teme che il dare qualcosa a qualcuno possa rovinarlo, possa turbare il fragile equilibrio psicologico su cui basa la sua idea della realtà. Così, chi vive nell’avarizia vede il male dove non c’è alcun male, travisa la generosità con la stupidità, scambia la disponibilità con l’opportunismo e vede il successo altrui come il risultato di illeciti e di macchinazioni.

L’avarizia non va confusa con la parsimonia. Ci sono persone che per attitudine o per necessità amministrano con estrema attenzione le proprie finanze ma in nessun caso vengono meno a un principio di reciprocità. Chi è parsimonioso è in grado, secondo le risorse di cui dispone, di rispondere in modo appropriato all’invito di un amico e di ricambiare un regalo. Il taccagno, invece, viola costantemente la reciprocità, indipendentemente dalla propria capacità economica. Non si preoccupa che il proprio comportamento possa risultare inadeguato o offensivo, non empatizza coi bisogni altrui, probabilmente è incapace di riconoscerli perché troppo concentrato sulla necessità di proteggere la sua “roba”.

Oltre la maschera dell’avaro adulto, c’è spesso un bambino ferito, emotivamente deprivato e inibito che ha imparato ad aggrapparsi alla “sicurezza degli oggetti” per contrastare la convinzione frustante e profonda di non poter contare sull’amore degli altri, sulla condivisione, sulla reciprocità e sulla costante presenza degli altri.
L’avarizia è un tratto socialmente ben tollerato, eppure può avere conseguenze gravi e invalidanti sul benessere dell’individuo: solitudine, disadattamento, depressione, ansia, conflittualità interpersonali, separazioni, divorzi possono avvicendarsi attraverso intere esistenze e avvilirle, senza che l’avaro prenda mai coscienza che questa ossessione per i soldi, per il possesso, per l’accumulo siano alla base della sua infelicità.



 

 

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