Psicologia della paura: i nuovi terroristi, il ruolo dei media e l …

Tutto il mondo è sconcertato e spaventato dal terrorismo dell'Isis o meglio dell'IS: il gruppo radicale islamico che si definisce Stato Islamico, ha conquistato un territorio grande come il Belgio, e che a differenza di Al Quaeda intende creare un Califfato e dominare sul tutto il mondo islamico, a costo di uccidere e sterminare anche i musulmani che non sono d'accordo. L'uccisione del reporter Foley è stata diffusa nella sua crudezza raccapricciante da molti media, poi censurata per non alimentare la propaganda terrorista. Molti hanno ritenuto che questa fosse censura, altri hanno ritenuto che censurare le immagini cruente sia un metodo per impedire che il messaggio terrorizzante di propaganda dell'IS, sia un modo per contenerli, almeno al livello mediatico. Eppure in tutto questo c'è una contraddizione: se è vero che l'IS recluta adepti tra i giovanissimi tramite internet e tramite la celebrazione dell'omicidio dei nemici, è altrettanto vero, come afferma Robert Fisk, che usare un linguaggio apocalittico da parte di molti politici occidentali, non fa altro che aumentare a dismisura la paura e il terrore che poi è il fine ultimo di questo gruppo di invasati.

Le parole sono importanti quanto le immagini, poiché le parole stesse creano un'immagine mentale che si sedimenta dentro la psiche, spaventandola allo stesso modo, se non più subdolo, di una foto. Non a caso la propaganda nazista e di ogni regime totalitario, ha studiato gli slogan tanto quanto la scenografia dei comizi. Parlare di " Nuova apocalisse" è colpevole e aumenta il terrore e la paura. La paura psicologicamente è un sentimento che ci difende dal pericolo, all'invio è una pulsione dovuta all'attivarsi dei meccanismi di difesa.

Quando dalla paura, per via di una mancata elaborazione intellettuale, si passa al terrore, non riusciamo più psicologicamente ad attivare i meccanismi di difesa e rimaniamo paralizzati e sottomessi. Per questo chi vuole dominare totalmente l'altro usa strategie di paura e terrore, per impedire una reazione intellettuale autonoma, per far credere al soggetto soccombente di non avere più armi e per convincerlo ad aderire o per disperazione o per istinto di protezione, al suo regime o punto di vista. In ogni situazione in cui ci siano due blocchi contrapposti, una dicotomia, entrambi gli attori, volenti o nolenti, tendono ad attuare forme di propaganda atta a terrorizzare e spaventare, per convincere chi è indeciso o chi è in una zona terza, a schierarsi. In questo caso siamo tutti convinti e certi che che il nemico principale dell'umanità sia lo Stato Islamico e proprio per questo bisognerebbe dare informazioni il più possibili chiare, non terrorizzanti, non apocalittiche e il più possibile tendenti a sollecitare non paura ma mentalizzazione. Cosa voglio dire?

Concordo con Fisk quando afferma che parlare di Is in termini apocalittici sia non solo ridicolo ma anche contro producente, infatti, pur essendo molto ricchi e avendo già un vasto territorio, ricco di petrolio, militarmente non sono potentissimi, così come dimostrano le battaglie vinte dal Pkk e dai Pashmerga curdi. Proprio sul PKK, e il suo valore bellico, in Italia soprattutto, i media tacciono, tranne rari casi. Come mai in Italia si parla solo dell'esercito nazionalista curdo di Barzani e non delle altre fazioni, e soprattutto del PKK che combatte vittoriosamente contro i terroristi? Perché in Italia abbiamo estradato Ocalan, perché per l'Occidente il PKK che combatte sui monti curdi difendendo le minoranze oppresse, è ritenuto ancora un gruppo terrorista. Fortunatamente in America e all'estero in molti chiedono che i combattenti del PKK siano tolti dalle liste dei gruppi di terroristi, lo scrivono sul Washington Post e moti altri, così come su Vice, i cui reporter sono andati ad intervistare gli Yazidi massacrati nei campi profughi. Gli Yazidi, minoranza perseguitata tanto quanto i cristiani e d altri ( ma i media qui parlano solo di persecuzioni cristiane), affermano che nella battaglia nel Sinjar, i Peshmerga del filo occidentale Barzani, sono scappati, e che devono la vita ai " Terroristi" del PKK.

La notizia è rimbalzata su tutti i media stranieri, qui non lo sa quasi nessuno. Così come in pochi sanno ( in Olanda ci hanno fatto uno speciale al Tg) che esiste una regione, il Rojava, dove si sperimenta da tempo una democrazia dal basso di stampo socialista libertario. Quindi quando si parla di Curdi non ci si deve solo riferire al Pashmerga o a Barzani, ma anche alle altre fazioni in campo, senza le quali l'IS avrebbe già trionfato e che hanno la sola colpa di avere un'idea di democrazia diversa da quella nazionalista. Perché parlo di tutto questo? Perché se si vuole affrontare il discorso psicologico sulla paura, bisogna che i media si prendano delle forti responsabilità: dalla paura si passa al terrore quando manca la conoscenza.

Quando un paziente va dal dottore con la paura di avere un cancro ( temine usato da Obama nei confronti dell'IS), la prima cosa che il dottore deve fare è informare il paziente se il cancro esiste e se esiste, qual è la sua portata: quanto è grande, quanto è forte, quanto è esteso e soprattutto quali risorse si hanno per contrastarlo. Se il dottore si limita a dire al paziente: "sì hai il cancro ed è una malattia mortale", il paziente passa allo stato di terrore e la sua resilienza si abbassa. In questo caso la metafora medica ci aiuta: giusto che i media parlino dello Stato Islamico, della sua follia e pericolo, giusto sarebbe anche informare della portata delle forze in campo che lo contrastano, che sono forti e importanti e vanno conosciute, TUTTE. Forse però per i media nostrani è più comodo fare unicamente propaganda filo americana, misconoscendo che ci sono forze in campo che lottano per un tipo di democrazia non imperialista, non capitalista e dal basso.

Per approfondimenti :http://kurdishquestion.com e http://www.retekurdistan.it; i 30 punti dei Wu Ming sul caso Iraq; Califfato di Siria e Iraq e resistenza nel Rojava.

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