Mille emozioni in 11 metri: numeri (e psicologia) del calcio di rigore

C’è un giocatore, unico nella storia del calcio, che è riuscito nell’impresa di sbagliare 5 rigori di fila. Prima di iniziare a farvi beffe di lui, aspettate di sentire come si chiamava: Diego Armando Maradona.

 

Aveva ragione Cornejo - Successe tra il 13 aprile e il 7 agosto del 1996, quando il Pibe era tornato a indossare la maglia del suo amato Boca. A lato contro il Newell’s Old Boys, parato contro il Belgrano e il Rosario Central. A questo punto, i portieri si fanno coraggio e iniziano persino a sfidarlo. Prima della partita contro i rivali storici del River Plate, Burgos disse che avrebbe voluto che Maradona calciasse un rigore. Il trucchetto psicologico funzionò. Maradona ci cascò in pieno e quando venne assegnato un rigore al Boca, se ne incaricò. Palo. Contro il Velez l’ultimo della serie, una maledizione che in un certo senso diede ragione a Francisco Cornejo, il primo allenatore del Pibe, che attorno al suo bambino-prodigio costruì una squadra leggendaria, ma non gli permise mai di calciare un rigore. Anni dopo, motivò così la sua scelta: semplicemente, non ci era portato.

Sono solo 11 metri? - Record, statistiche e storie del genere sono raccolti in Undici metri, probabilmente l’opera più completa sull’argomento, scritto dal giornalista inglese Ben Lyttleton e in uscita il 28 novembre in Italia tradotto da Tea. Undici metri: quelli che separano il dischetto da quell’obiettivo di 7.32 m per 2.44, difeso da un avversario, grande e grosso quanto vuoi ma pur sempre uno solo. Si misura in chilometri, invece, la distanza tra il cerchio di centrocampo e il dischetto (parole del francese Giresse al ricordo della semifinale del Mondiale ‘82 contro la Germania), quando le partite terminano in parità anche dopo i supplementari e i giocatori aspettano il loro destino abbracciati a metacampo, recandosi uno alla volta a pescare il biglietto della lotteria.

Una memoria da Cech - Così la si chiama, sbagliando di grosso, nel gergo calcistico: perché a leggere ricerche, studi e testimonianze contenuti nel libro ci si rende conto di quanto la fortuna c’entri ben poco. Tutto è studiato nei minimi dettagli, ad alto livello: da Lehmann, che come uno studente all’esame si portò dei bigliettini nascosti nei calzettoni con scritto l’angolo di tiro preferito dai calciatori argentini, a Cech, un vero computer, dato che prima di ogni gara immagazzina statistiche relative ai giocatori che potrebbe incrociare nel duello finale. Il capolavoro dell’ex portiere del Chelsea, in questo senso, è la finale di Champions del 2012 contro il Bayern, vinta proprio ai rigori. Per sei volte su sei si tuffò dalla parte giusta (compreso uno assegnato durante i tempi regolamentari), parandone tre. Un premio ad anni di studio.

Lo strano casi degli inglesi - L’angolo di tiro resta comunque solo una delle mille variabili che concorrono, ben sintetizzate dalle percentuali di Lyttleton. In una partita che finisce ai rigori, ad esempio, la squadra che calcia per prima vince nel 61% dei casi; i calciatori che giocano in casa segnano all’82% (in trasferta al 75%); calciare subito dopo il fischio dell’arbitro significa fare gol al 90% (se l’attesa dura più di 4 secondi si scende al 61%).

Piuttosto chiaro, dunque, che sia il fattore mentale quello che può trasformare un anonimo difensore dai piedi di ghisa (ma dai nervi d’acciaio) in un eroe o far sciogliere un campione che normalmente, da 11 metri, saprebbe infilare il pallone anche in uno spiraglio, e pure bendato. Lo ammette anche Shad Forsythe, professione preparatore atletico: “Il 90% è psicologia”. E memoria storica, aggiunge Lyttleton: chi tira si porta sulle spalle il peso di tutti i rigori che ha calciato in passato e persino di quelli tirati dal suo Paese. Sarebbe questo il motivo per cui gli inglesi, quando giocano nei rispettivi club, segnano nell’82% dei casi, mentre in Nazionale scendono al 66%, la più bassa del mondo. E che dire dei tedeschi, che da sempre si reputano praticamente imbattibili in questa specialità, e con questa credenza alimentano la propria autostima ogni volta che si ripresenta l’occasione. Risultato: percentuale di realizzazione del 93%.

Scienziati sul dischetto - Poche ma molto precise le “regole” con cui gli scienziati del pallone riassumono le loro tonnellate di ricerche: non voltare mai le spalle al portiere, rincorsa entro 4 secondi dal fischio dell’arbitro, non cambiare mai idea, esultare a braccia alte per demoralizzare l’avversario. Dite che Maradona lo sapeva?

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