Medio Oriente, come funziona lo spionaggio

Medio Oriente, come funziona lo spionaggio

Tostato da Domenico Romeo

Sun Tzu, nel suo libro  ‘L’arte della guerra’, lo aveva specificato senza alcuna remora: “La guerra va vinta prima che si decida di combatterla”. Questo testo, difatti, nell’insieme dei suoi contenuti, rimane il primo grande lavoro che concretizza il primo testo di intelligence ed il suo autore come l’inventore di tale scienza investigativa.

In linea a tale principio, l’intelligence israeliana si sta muovendo ormai da anni affinando le sue tecniche e modellandole alle nuove esigenze tecnologiche. La vorticosa rete di spionaggio sotterranea che brulica fra il territorio israeliano e la Striscia di Gaza è qualcosa di così forte da fare invidia alle migliori strategie di James Bond. Da quanto emerge da una ricerca messa in atto dal giornalista Giulio Meotti, l’omicidio mirato nei riguardi dell’ex leader di Hamas, Ahmed, prima ancora di essere annoverato fra le più sopraffine tecniche di innovazione tecnologica degli investigatori israeliani, non è altro che l’ennesima azione di delazione invisibile partita da informatori palestinesi prezzolati  da Israele.

Da quanto emerge dall’inchiesta resa nota da Meotti, l’informatore segreto palestinese, in pari data dell’omicidio, pare abbia usato una sim card israeliana avvisando degli spostamenti oggetto di quadratura, la sede dello Shin Bet israeliano, il servizio segreto d’eccellenza dello Stato ebraico. La password usata, per comunicare con l’agente preposto alla ricezione della fonte, sarebbe stata la terminologia ‘Yousef Ward’ (sakum in ebraico, che vuol dire omicidio mirato). Pertanto, sulla base di tale fonte confidenziale, l’aereonautica israeliana non ha avuto difficoltà ad individuare il bersaglio scomodo e farlo fuori.

Una guerra di spie e delatori dunque, in quei territori di guerra che si consuma ogni giorno. Il profilo sociale del delatore è delineato e differenziato in base ad una struttura gerarchica vera e propria. Lo Shin Bet classifica gli “amil palestinesi” (ossia i collaborazionisti veri e propri), successivamente vengono schedati i “madsus” (gli impiantati, i radicati da tempo, i fidati), ed infine gli Jesous (le autentiche spie prive di scrupoli). L’età massima di questo logorio psicologico arriva fino ai 45 anni d’età: oltre questa fascia d’età l’agente viene considerato consumato dal tempo e dagli eventi. Secondo le consolidate ed universali tecniche di intelligence, su cui si muovono gli organi investigativi di tutto il mondo, le notizie messe al vaglio vengono classificate ed inquadrate per fascia e categoria. Esempio tipico l’omicidio mirato sopra descritto che, secondo la classificazione tradizionale, viene inquadrato nella tipologia A/1 ( la correlazione fra numero e lettera stabilisce il grado di attendibilità della fonte che in questo caso specifico arriva al massimo).

Una guerra di spie e traditori che, secondo il rapporto Miotto,  sulla scia ha lasciato in quei territori del Medio Oriente oltre 300 terroristi palestinesi uccisi. Sotto l’aspetto dell’assetto tattico- psicologico, lo Shin Bet addestrerebbe la rete di informatori in zone quasi al confine con Gaza per poi farli rientrare con visti di coperture, per non destare sospetti fra gli stessi gazawi. L’unità preposta all’addestramento sia fisico che psicologico per i delatori arabi, sarebbe la nr. 504 posta all’interno del servizio israeliano (una strategia di difesa/attacco insegnata dalle intelligence d’israeliani sarebbe anche l’arte del Kraw Maga).

L’aspetto psicologico è anche molto curato dalle intelligence perché reso indispensabile durante le fasi che precedono, abbracciano e susseguono le tecniche d’interrogatorio al prigioniero/detenuto. La strategia psico-investigativa, sarebbe il ‘titul’, ossia lo scuotimento, che si basa su forme di intimidazione psicologica che vengono considerate necessarie per lo scardinamento di molte cellule del terrore. Tali fasi d’interrogatorio consistono in : ammorbidire il prigioniero con pressioni,  rendere una messa in scena isolandolo in luoghi scarni, ed infine, attraverso l’umiliazione ( la privazione dell’identità e le minacce sui suoi familiari costituiscono le forme peggiori di ‘titul’ che garantiscono anche da parte dei peggiori terroristi un minino di collaborazione).

Particolari molto significativi sono anche desumibili dalla memorie rese dall’ex capo dello Shin Bet, Per-ri, il quale ha stabilito non solo la tipologia di stress, del condizionamento psicologico della spia, ma descrive i particolari che definiscono come i servizi seguono il percorso mentale e personale del delatore. Un lavoro di autentica psicologia ancora prima che di strategia di guerra. Il  Per-ri descrive il rischio quotidiano che corre la spia con il quale è bene mantenere rapporti distanti, avvertire le loro pressioni, sbalzi d’umore, ripensamenti improvvisi dettati da crisi di coscienza. Da quanto asserisce l’ex leader delle intelligence ebraica, capita sovente che all’informatore, una volta scovato, viene chiesto di eliminare fisicamente i suoi referenti sionisti, al fine di espiare tale colpa e per salvaguardare la vita dei familiari (spesso all’oscuro del proprio parente collaborazionista).

Una tensione psicologica anche all’interno della stessa Hamas che, protesa non solo alla guerra contro lo Stato ebraico, attua internamente una ferra dottrina di ‘intrafada’, ossia la caccia ai delatori e spie arabe. Secondo Amensty International, sono tantissimi i palestinesi che collaborano contro Hamas e secondo Toameh, giornalista arabo, questo può avvenire per differenti ragioni.

Una ragione è la molla ideologica (avversione ai dettami islamici imposti da Hamas), la seconda è la ragione economica, la terza è insita alle human rights (trattasi di soggetti a cui sono stati negati diritti civili o strettamente personali). In tale guerra subdola di delatori anche Hamas, comunque, annovera numerosi schedati fedeli alla sua organizzazione. Famosa fu, ad esempio, l’operazione ‘Puntura al Cuore’ nella quale fu ammazzato un agente dei servizi israeliani Oded Sharon, un criminologo che viveva nei campi profughi: gli informatori insospettabili verso i quali lo studioso si fidava, lo fecero fuori con addosso ‘mutande esplosive’.

Un territorio in cui la sindrome dello spionaggio, tipica di una psicologia maccartista o veterostalinista, non risparmia nessuno e tutti diffidano di tutti. Lo scrivente è stato testimone in prima persona di un episodio assolutamente inverosimile nell’ Agosto del 2009 all’aeroporto di Tel Aviv in quanto scambiato per una spia solo per avere in mano un giornale arabo. Alla richiesta precisa su chi fosse il soggetto consegnatario del giornale ed a quale persona e a quale cellula araba in Italia avrei dovuto consegnare il ‘messaggio criptato contenuto all’interno del giornale’ , la mia naturale, fragorosa, impertinente risata (figlia della costernazione), non fece altro che irreggimentare l’atteggiamento nei miei confronti da parte della sorveglianza. Ne susseguì un terzo grado da siparietto, dove dissi tante verità su me, ma non dissi tutte le verità sulla mia persona e fui volutamente reticente.

Tale reticenza necessaria fu giustificata dal fatto che se avessi reso pubbliche delle informazioni personali e banali sul conto della mia persona (notizie che nella cultura sociale di una democrazia occidentale rientrano nella consuetudine e normalità), il rischio di incappare in un grosso equivoco all’estero si sarebbe seriamente concretizzato (il solo sospetto di spionaggio comporta in Israele l’arresto e l’isolamento in carcere al fine di rendere interrogatorio privo di quei diritti tipici di una democrazia che in Israele esiste solo sulla carta ma non nei fatti). Anche l’Iran ha strutturato una rete di collegamento di spionaggio di alta qualità, la cui cabina di regia è affidata al Vevek che esercita una presenza totalizzante ed invisibile nel territorio persiano.

Chi si reca nella nazione il cui leader nega follemente l’olocausto, non solo è schedato preventivamente mediante analisi deduttive espletate nei date base delle intelligence, ma qualora si trovasse su un aereo diretto in Iran e decidesse di scendere in una città diversa da quella contemplata nel biglietto,  sarà sottoposto ad interrogatorio per ipotesi di spionaggio internazionale. Le tecnologie del Vevek iraniano consentono altresì che qualsiasi sito cittadino, straniero e non, sia monitorato da circuiti radaristici che permettono di individuare chi effettua fotografie in luoghi inconsueti ( gallerie, luoghi al chiuso, viali) ed individuare a vista il soggetto che subirà un fermo ed una cancellazione dati di quanto fotografato, tramite un sistema di captazione in automatico. Capita anche a molti agenti segreti esteri, o giornalisti, di ritornare nel proprio luogo d’origine e ravvisare la cancellazione automatica di dati custoditi nella memoria di un pc (siano file word, fotografie, supporti informatici), senza che i diretti interessati se ne siano resi conto né siano stati sottoposti a fermi preliminari. Tali file, difatti, vengono prelevati dal Vevek mediante un’operazione di teletrasporto (che tanto rievoca le serie fantascientifica di Star Trek), finalizzati allo studio sul profilo soggettivo psicologico dello straniero presente in Iran e valutare le eventuali pericolosità sociali e politiche.

Si ribadiscono tali testimonianze dirette per illustrare una struttura sociale inimmaginabile a noi i cui racconti appaiono paradossali, ma non sconosciuti in epoca passata. Specie quando in Italia imperversava l’OVRA in epoca fascista (la Polizia segreta del Duce) ed in Europa imperversava la STASI bolscevica, la quale rappresentava qualcosa di più di una struttura di spionaggio segreto fungendo un opera di psicopolizia segreta. Il capolavoro di Orwell, 1984, e  film come ‘ Le vite degli altri’, testimoniano come il Vecchio Continente, a differenza del tormentato Medio Oriente, sia uscito almeno in buona parte, da quella psicosi dello spionaggio come forma estrema di sopravvivenza e da quei canali di controllo di uomini su altri uomini, mediante sistemi illegali, disumani, giustificati dall’autorità e dalla segretezza.

Israele, Hamas, l’Iran,  le spie eterne, la battaglia a chi arriva prima alla fonte giusta, in luoghi sia di pertinenza israeliana che in territori arabi e persiani dove l’arresto ed il fermo illegale, il prelievo abusivo dell’uomo tenuto sotto sequestro, la riduzione dell’autodeterminazione degli sconosciuti, sono pratiche ordinarie legalizzate (in Israele sono risultanza di una guerra fraticida ormai in atto dal 1948, in Iran uno scudo militare che si tramuta in offensiva all’onda verde ribelle in cui morì Neda Soltani).

Sembrano storie di fiction che rievocano cult cinematografici la cui regia viene affidata a Ronald Donaldson  autore del celebre ‘ La regola del sospetto’, ma, come sopra evidenziato, purtroppo non è così. Sono storie, queste, che rimarcano antiche radici di odio biblico e secolare.

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