"Lo psicologo mi curava col sesso"

Reggio Emilia, 10 marzo 2012 - Lo psicoterapeuta e la paziente. Lui sul banco degli imputati a rispondere di violenza sessuale, lei che lo accusa di averla sedotta e portata a letto dopo averla plagiata, approfittando della sua inferiorità. Una «cura col sesso» per battere la frigidità, spiegava la donna alla madre e poi rivelò anche al marito, entrambi increduli perchè convinti che non debba essere questo il rapporto medico-paziente. Tutto frutto di fantasia, invece, per la difesa dello psicologo. Dove sta la verità? Compito arduo, per il tribunale, perchè tra il bianco e il nero non c’è zona grigia. Due i casi: il terapeuta e la cliente si ritorvarono abbracciati in infuocati amplessi, oppure la donna si è inventata tutto. Caso giudiziario appassionante, per chi assiste da spettatore. Vicenda drammatica, comunque vada a finire, per i protagonisti.

Ieri la prima udienza davanti al presidente Cristina Beretti - a latere Andrea Rat e Silvia Semprini - dopo che la pm coordinatrice dell’inchiesta, Maria Rita Pantani, ha ottenuto il rinvio a giudizio di Emanuele De Vietro, psicologo molto noto, tra i suoi clienti, a quanto si dice, vari vip reggiani. I due si ritrovano in aula a pochi metri e non si guardano. Lui è impassibile, non lascia trasparire emozioni. Lei è ammaliante oggi come ieri, quando «non aveva bisogno di farsi bella, era già bella di suo» commenta a un tratto il suo legale, l’avvocato Domenico Noris Bucchi che la assiste come parte civile. Gira e rigira un elastico tra le dita e affronta l’interrogatorio con cipiglio, sgranando gli occhi neri quando il difensore, l’avvocato Enrico Della Capanna, le pone domande meno comode. Autoritaria, la voce squillante che trasmette un linguaggio infarcito di vocaboli specialistici, tipici di chi, con la psicologia (o con lo psicologo), deve avere avuto confidenza. Ride anche. Solo una volta, quando le vengono chiesti dettagli sul rapporto non facile con la figlia, tace a lungo.
 

Il processo si svolge a porte aperte. La donna ricorda l’inizio della terapia a metà anni Novanta, l’evoluzione negli anni (o involuzione?) del rapporto con lei in condizione di «transfert», gli incontri in un mini cinque volte la settimana («Lì parlavamo, facevamo l’amore»), i pranzi con pasta ai quattro formaggi, le cene con salsicce al sugo, le pizze «portate su» o mangiate fuori ma via da Reggio, con qualche capitanina al cinema. Poi rallenta la frequenza, infine lui dice «che tra loro non può funzionare». E lei - sue parole ieri - gli risponde: «Mi sono lasciata morire per te». Fino alla denuncia, nel 2004. Ieri l’ex paziente ha rivelato: «Eravamo come Adamo ed Eva. Ma non ho mai fatto pressioni perchè mi sposasse. Come uomo ho grande rispetto, il mio risentimento era verso di lui come terapeuta».  E’ rimasta nell’aria una domanda, posta poi dalla pm alla sorella (e non ammessa per opposizione della difesa) per approfondire le variabili possibili della denuncia: «C’è stato il tentativo di vendicarsi di De Vietro perchè non l’ha sposata?»

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