Legami a quattro zampe

“[...] Che cosa vuol dire ‘addomesticare’?” 
“[...] Vuol dire ‘creare legami’[...]”, disse la volpe. “Tu, 
fino ad ora, per me non sei che un ragazzino uguale a 
centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure 
tu hai bisogno di me. Io non sono che una volpe uguale 
a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi 
avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico 
al mondo e io sarò per te unica al mondo”. 

(Antoine de Saint-Exupéry, Il piccolo principe)

L’articolo di oggi nasce dalla richiesta di una lettrice in merito al tema che sto per trattare. Attraverso una mail mi viene chiesta la possibilità di approfondire, da un punto di vista psicologico, la relazione uomo/animale domestico. E così ho accolto la richiesta pensando che probabilmente l’interesse per tale argomento potesse estendersi anche a tantissimi altri lettori che vivono o hanno vissuto esperienze di legame diretto con un animale.

È proprio di questi giorni l’indagine statistica dell’Eurispes che afferma che in Italia 4 italiani su 10 vivono con un animale, primo fra tutti il cane. Infatti, il 53,7 percento degli italiani ammette di avere almeno un “Fido” in famiglia, contro il 45,8 percento che preferisce il gatto.

Ma cosa stimola ad adottare un amico a quattro zampe? Esistono dei significati psicologici rispetto al legame che si crea? Le motivazioni sembrano essere svariate e assolutamente soggettive, tra queste per esempio la noia, la solitudine o comunque anche un interesse concreto e reale verso il mondo animale che spinge a volersi prendere cura di “qualcuno”, col vantaggio di accrescere e stimolare il proprio senso di responsabilità nei confronti di un’altra vita seppur “diversa”. 

È dimostrato, appunto, che un animale domestico rappresenta un antidoto potente contro solitudine e isolamento soprattutto in una società come la nostra oggi a volte qualitativamente scarsa da un punto di vista relazionale. E il poter tornare a casa sapendo di essere accolti festosamente da un cagnolino scodinzolante o teneramente da un gatto che ci fa le fusa allieta, rilassa, affievolisce probabilmente problematiche umane quotidiane, riesce a richiamare emozioni autentiche e semplici.

Ci si ritrova così a dividere la propria vita con un essere vivente che dipende totalmente da noi, che ha esigenze primarie simili alle nostre, che in alcune situazioni pare manifestare comportamenti tipici dei neonati e dei bambini. Ci si ritrova ad avere la massima libertà nella sua educazione, scegliendo anche in base a processi mentali inconsci che sembrano richiamare esperienze vissute su di sé nell’infanzia, con il “rischio” a volte di arrivare a vedere nei nostri animali una personificazione umana. Questo, però, potrebbe comportare confusione e inconsapevolezza delle esigenze dell’animale che si ritrova magari a sostituire una referenzialità umana, per qualche ragione assente, portando ad un carico di aspettative che invece non può assolvere (Marchesini, 2000).

Ecco perché non è da sottovalutare il risvolto della medaglia. Cioè: avere un animale, parlargli troppo spesso, vestirlo e trattarlo come un figlio, dal un punto di vista psicologico potrebbe nascondere qualche disagio. Il rapporto ossessivo con un animale rappresenterebbe una fuga dalla realtà, un’esclusione dal confronto, dal mondo vero, quello fatto principalmente di comunicazione verbale.

Pertanto, dedicare ai nostri amici a quattro zampe cure quasi “umane” risponde a volte più ad un nostro bisogno inconsapevole di prenderci cura di quella parte interna di noi più vulnerabile e indifesa. Accudire un animale spesso è un modo per accudire e fornire conforto a noi stessi. Questo può rappresentare certamente un fattore benefico e in certi casi “terapeutico” (pet-therapy) a patto, però, di non caricare gli animali domestici di ansie eccessive o antropomorfizzazioni grottesche (crescita-personale.it).

Dott.ssa Florinda Bruccoleri
Psicologa, Psicoterapeuta analista transazionale,
Psicooncologa ed esperta in psicologia forense.
Sito web: www.florindabruccoleri.it

Leave a Reply