La malattia invisibile che ci accompagna

La depressione è la malattia invisibile che ci accompagna per tutta la vita. È una malattia che ha una grave ricaduta dal punto di vista sociale oltre che personale: basti pensare che in Italia ne soffrono intorno ai 7,5 milioni di persone, il 12,5% della popolazione. Nel mondo le morti dovute al disagio depressivo sono 850mila ogni anno, la gran parte per suicidio. Ma se ne può uscire.

Per saperne di più e sviluppare i temi oggetto della Conferenza che il dottor Loris Pinzani ha tenuto nello storico Caffè delle Giubbe Rosse a Firenze, l’ho incontrato per una conversazione che non avesse un carattere strettamente tecnico-scientifico.

Loris Pinzani è un terapeuta noto anche al pubblico televisivo: nato a Firenze 52 anni fa, laureato in Psicologia Clinica, autore di saggi e testi di psicologia e  sociologia,  attività di ricerca e terapeutiche a Firenze, Roma e Milano,  è anche autore di testi di narrativa.

 

Dottor Pinzani, i dati che hai fornito mi sembrano abbastanza allarmanti, almeno per chi non segue troppo da vicino simili problematiche che invece, a quanto pare, interessano moltissime persone. E anche il nostro sistema sanitario. O mi sbaglio? 

È un fenomeno individuale e sociale di notevoli proporzioni. Solo il 35% della popolazione che ne è affetta si cura. Il fatto è che questa è una malattia invisibile che ci accompagna senza che ce ne rendiamo conto, e divenirne preda è sempre possibile. Una malattia invisibile direi, con conseguenze più o meno gravi per chi ne è affetto, per le persone con le quali è in relazione e anche per la sua ricaduta sociale ed economica: basti pensare che per la sola Italia il danno economico è pari a 4 miliardi di euro l’anno in termini di ore lavorative perdute, tuttavia queste stime sono destinate a variazioni, collegate a stile di vita e pressione sociale in aumento. Nel mondo le morti dovute al disagio depressivo sono 850mila ogni anno, la gran parte per suicidio. Le stime divulgate dall’Organizzazione mondiale della sanità basate su un campione di 89mila soggetti intervistati confermano che mediamente il 15% della popolazione dei Paesi industrializzati ha sofferto di depressione almeno una volta nella vita, contro l’11% del resto del mondo. La percentuale sale al 28% per gli abitanti dei Paesi con elevato reddito pro capite. Dato rilevante, le donne hanno il doppio della probabilità di ammalarsi, spesso a causa della perdita del partner per morte, divorzio o separazione in genere.

 

Malattia invisibile. Perche la definisci così?

Perché è sempre vicina a noi, in ogni momento della nostra vita, senza che ce ne accorgiamo, e il passo per entrare in uno stato di disagio incomprensibile, che il soggetto non sa spiegarsi né descrivere, è breve.

 

Come si manifesta e quali ne sono le cause?

Con un intenso malessere non percepito dalla persona che ne è affetta, nella perdita di interessi, nel chiudersi in sé stessa, nel sentirsi incompresa, prigioniera dentro una gabbia indefinibile, nella perdita di fiducia, non riuscire a prestare attenzioni alle proprie emozioni, insomma quando una persona si trova in quello stato che in psicologia e psichiatria si chiama anedonia, termine derivato dal greco che descriver l’incapacità di un paziente a provare piacere anche nelle circostante più normali. L’anedonia è uno dei sintomi più evidenti dei disturbi dell’umore e delle malattie mentali. Ovviamente ci sono diversi gradi di disagio, gravi e meno gravi ma non meno trascurabili.

 

Perché le donne ne soffrono di più secondo, le statistiche?

Ciò è dovuto al loro particolare impianto emotivo, più vulnerabile, dato dalla maternità. Ma ripeto, dalla depressione si esce attraverso la remissione dei sintomi, anche da quelle forme depressive resistenti ai farmaci e ai trattamenti terapeutici. Quanto alle cause, queste vanno ricercate nella sfera delle emozioni. L’uomo vive di pensieri e di  emozioni, che sono il fondamento su cui agisce la psicologia: da 7  sfere emotive ma secondo alcune scuole di pensiero da 9, è composto il fronte dell’universo emotivo su cui psicologici e terapeuti agiscono.

 

Sette come i peccati capitali? Strana coincidenza, no? E quali sono?

Paura, sofferenza, gioia, tristezza, repulsione, sorpresa, felicità. La depressione segna la vittoria della paura. Paura di non esistere, che è poi la paura della morte: sai bene che è un tema caro alla psicoanalisi. Eros e Thanatos. Paura dell’inadeguatezza di vivere. Riguarda tutti, indipendentemente dalla condizione economica.

 

A proposito, mi stupisce sapere che l’11% della popolazione dei Paesi che non appartengono all’area del benessere soffre di depressione. È un fenomeno che ritenevo frutto dell’affluent society, legato alla corsa alla competizione, all’affannosa e disperata ricerca di un diverso status sociale che miete vittime:  quelle che non riescono ad adattarsi a questa dura lotta, che produce anche la drammatica  categoria dello scarto ( i poveri  abbandonati a sé stessi), così definita da Papa Francesco.

In effetti, la competitività per ragioni sociali, è presente anche nei paesi in via di sviluppo. Da un punto di vista psicoanalitico il desiderio di classi e ceti sociali di accaparramento e di ricchezza di cui spesso fanno grande ostentazione, è un tentativo di allontanare la paura della morte. La sovrabbondanza è un ottimo motivo per darsi i tempi di vedere il disagio.

 

Questo spiegherebbe anche perché persone di successo cadano vittima della depressione e della droga, fino al suicidio?

La ricerca del successo può essere un modo per sconfiggere l’aspetto depressivo. La paura del non essere, della morte. Che però ci sta sempre a fianco. È la condizione dell’uomo.

 

Mi ricordi Cesare Pavese e i suoi tanti aforismi del ‘Mestiere di vivere‘: «Nulla può consolare della morte». Tu sei anche un letterato con studi in campo filosofico e antropologico.

Penso invece che contro la depressione, che è anche un fenomeno sociale, si siano fatti passi in avanti. Innanzitutto prendendo coscienza del nostro limite di esseri umani. Di individui dotati di componenti consce e inconsce, che operano nella realtà percepita su base affettiva, emozionale. Alla Conferenza cui hai fatto riferimento sono stati presentati i risultati di una psicoterapia mirata al trattamento delle depressioni non risolte, il cui numero è di notevole rilevanza e si aggira intorno al 20% del totale. Durante l’incontro sono stati esposti casi reali trattati e proiettate interviste a soggetti usciti dal dramma depressivo attraverso  il metodo in questione denominato il Processo Anevrotico. Dall’esame dei diversi casi si è visto, attraverso le proiezioni degli encefalogrammi dei pazienti soggetti alla somministrazione terapeutica attraverso il metodo Anevrotico, una diversa attività cerebrale. Segno che la terapia era ed è verificabile anche da un punto di vista clinico.  Proprio per una agevole lettura dei dati encefalografici che ci interessano ho fatto costruire una speciale macchina, ma a chi li sa leggere non occorre.

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