Imprenditoria comportamentale

a Può la psicologia aiutarci a salvare il mondo? Del cambiamento climatico sappiamo tutto: che c'è, che un ruolo centrale ce l'abbiamo noi, che dobbiamo essere noi a fare qualcosa. Quello che invece non è ancora chiaro è il motivo per cui i singoli individui e la società non facciano la cosa più logica, ossia tutelare l'ecosistema.

Entra in scena la "psicologia della conservazione", cioè lo studio dei rapporti reciproci tra esseri umani e natura. Piuttosto che una specialità interna alla psicologia, essa rappresenta uno sforzo interdisciplinare che, a partire dalla psicologia, mira a capire cosa fare per preservare la natura. È una disciplina molto giovane - il termine risale al 2003 - che esplora il modo di causare i cambiamenti psicologici necessari per la salvaguardia dell'ambiente e le modalità comunicative migliori per promuovere i dibattiti pubblici in materia; la psicologia della conservazione si suddivide in 4 aree d'intervento, le "quattro I": Informazione, Identità, Istituzioni, Incentivi.

Riguardo al primo ambito, una ricerca della psicologa Usa Carol Saunders ha evidenziato che i modi in cui le crisi ambientali vengono presentate al pubblico influenza il comportamento di quest'ultimo, per cui se si sottolinea che l'intervento personale può essere d'aiuto, la gente sarà più propensa a contribuire, mentre se si fa notare che gli altri tendono egoisticamente a sprecare risorse, anch'essa tenderà a consumare di più. Riguardo all'identità, da un punto di vista psicologico, la gente tende a identificarsi con il proprio gruppo locale, la propria famiglia e così via; proprio per questo una buona strategia per le campagne ambientaliste è utilizzare questo fattore per elaborare rinforzi positivi - tramite il riferimento ai "nostri figli" e alle "future generazioni" - e negativi - puntando i riflettori sulle aziende che inquinano e danneggiano la comunità. Secondo una meta-analisi del 2009 dello psicologo olandese Mark Van Vugt, la predisposizione a seguire raccomandazioni e restrizioni ambientali istituzionali dipende banalmente dal grado di fiducia della gente nei relativi governi. E non è un caso - aggiungiamo noi - se nel 2013 in Svezia si sia riciclato ben il 99% dei rifiuti prodotti. Per Van Vugt è inoltre possibile incentivare la conservazione mediante un sistema di multe e premi studiati con cura dal punto di vista psicologico. Per le grandi aziende gli incentivi economici le spingono a rendere le proprie attività e i propri edifici più ecocompatibili. Per i cittadini, offrire loro l'opportunità di vedere concretamente quanto stiano consumando - ad esempio installando in casa un contatore dell'acqua - può spingerli a risparmiare. Altre ricerche hanno evidenziato che, nel caso delle multe, è bene iniziare con somme basse, che verranno poi alzate per violazioni ripetute. Se infatti si parte subito con somme alte, la questione assumerà una connotazione troppo economica - un trucco per "fare cassa" - e la gente inizierà a non fidarsi delle autorità.

In un'analisi del 2005, le psicologhe Usa Susan Clayton e Amara Brook sostengono come sia semplicistico ritenere che alla gente non importi nulla dell'ambiente, quando in realtà spesso è vero il contrario. Il comportamento umano è però estremamente complesso, ed è funzione di molteplici cause, molte delle quali irrazionali o inconsce; al punto che uno studioso dell'Università di Washington, Peter Kahn, parla di "amnesia ambientale generazionale", a indicare che la gente è spesso inconsapevole del grado di danneggiamento ambientale a cui assiste, in quanto la propria percezione viene distorta da diversi filtri cognitivi. A livello individuale, ciò che conta è il grado di facilità con cui si possono compiere gesti ecologici come la raccolta differenziata. Se è molto facile, se ci sono appositi "promemoria" e sistemi di feedback comportamentale, la gente acquisirà più facilmente tali abitudini, a prescindere dal grado di coscienza ecologica.

Ma a livello collettivo, come mai la gente si disinteressa alle politiche ambientali di più ampio respiro? Le ragioni si radicano in due fenomeni psicologici, la paura e la negazione. Le persone comuni tenderebbero a percepire la crisi ambientale come "più grande di loro", sentirebbero di non avere alcuna capacità di fermarla o ritardarla, e la negherebbero, autogiustificando il proprio stile di vista consumistico. È quella che già nel 1957 lo psicologo Usa Leon Festinger ha chiamato "dissonanza cognitiva", in cui il soggetto ospita dentro di sé opinioni e comportamenti contrastanti, che causano disagio psicologico e lo spingono a modificare le proprie rappresentazioni cognitive tramite negazione e l'autoinganno. La Clayton ha lavorato a diversi progetti tesi a verificare le strategie psicologiche collettive più opportune per incoraggiare un comportamento ecologista: ad esempio, in una ricerca effettuata su 800 cittadini turchi la studiosa ha notato che la preoccupazione per l'ambiente era associata all'orgoglio nazionale - un fattore su cui si potrebbe dunque puntare.

Il punto della situazione lo fa lo psicologo Usa Raymond De Young, secondo cui gli strumenti analitici a nostra disposizione ci consentono di comprendere il passato e il presente; la salvaguardia dell'ambiente tramite gli strumenti della psicologia è però un territorio inesplorato, e richiede un approccio di "imprenditoria comportamentale", ossia la sperimentazione elastica e adattativa di nuove strategie psicologiche e di nuove combinazioni di quelle vecchie.

Clicca per Condividere

Leave a Reply