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Il conflitto tra Psicologi e Counselor un insegnamento per gli Infermieri

Il conflitto è compreso nel “Pacchetto” della Vita, l’esistenza è relazione e i diverbi, scontri, non necessariamente un male. I conflitti, sono eventi critici che possono indebolire o rafforzare una relazione. I conflitti sono un’opportunità, possono essere produttivi, creare una più profonda comprensione, vicinanza e rispetto, o possono essere distruttivi, causando il risentimento, l’ostilità, la fuga, la separazione, il divorzio.

 Che cosa sta accadendo tra Psicologi e Counselor?

Come mai questi professionisti, con peculiari competenze nel gestire con efficacia simili dissidi, stentano nel trovare un comune terreno di negoziazione? Ora la scaramuccia si svolge nelle aule giudiziarie, il contendere riguarda l’esercizio professionale del COUSELOR. I professionisti Psicologi affermano che, il titolo di Counselor, conseguito con corsi, master o altro, non sarebbero utili per l’esercizio professionale, se non si è psicologo. Così almeno dagli ultimi pronunciamenti giudiziari. Alcuni passi salienti di questa storia:

Nel 2010 l’Assocounseling (Associazione dei Counselor, non psicologi)inviò una segnalazione alla Commissione Antitrust, relativa a un documento prodotto dall’Ordine degli Psicologi del Piemonte. La pubblicazione esortava, “…..l’Ordine scrivente invita gli Enti/Aziende ad astenersi dall’affidare a figure professionali diverse dallo psicologo abilitato ed iscritto all’Albo lo svolgimento di incarichi che, per oggetto e strumenti utilizzati, siano riconducibili nell’ambito delle competenze riservate dalla L. 56/1989 Agli psicologi….”.

I Counselor, chiaramente contrari a questa esclusività, reclamavanola violazione delle regole per la concorrenza, l’abuso di posizione dominante e pubblicità ingannevole. Mal’Autorità Garante  della Concorrenza e del Mercato, non riscontrò nessuna irregolarità concorrenziale nelle affermazioni dell’Ordine degli Psicologi.

Nel 2011 il Tribunale di Milano (sentenza n. 10289), legittimava i provvedimenti disciplinari emanati dall’Ordine degli Psicologi della Lombardia nei confronti di alcuni colleghi, Psicologi Formatori di alcune Scuole di Counseling, rei, di aver trasgredito l’art. 21 del Codice Deontologico degli Psicologi, che asserisce: Lo psicologo, a salvaguardia dell’utenza e della professione, è tenuto a non insegnare l’uso di strumenti conoscitivi e di intervento riservati alla professione di psicologo, a soggetti estranei alla professione stessa, anche qualora insegni a tali soggetti discipline psicologiche.  

Nella sentenza: "…..l’insegnamento dell’uso degli strumenti a persone estranee equivale in tutto e per tutto a facilitare l’esercizio abusivo della professione, ciò che la legge e il codice deontologico (art. 9) tutelano direttamente prescrivendo comportamenti attivi per impedirlo...e continua . Sarebbe davvero grave se si  insegnasse ai terzi l’uso degli strumenti conoscitivi, in un ambito professionale come quello riservato allo Psicologo che richiede, se possibile, una sensibilità ancora maggiore, trattandosi della personalità di ciascun individuo e la necessità di un lavoro di ristrutturazione dell’intimo e di riorganizzazione del sistema cognitivo-emotivo."

Nella stessa sentenza, si puntualizza la necessità di mantenere uno "spartiacque tra atti tipici della professione ed atti riferibili a tutti….". 

L’Ordine degli Psicologi della Lombardia, plaudeva, declamando. “IL PENSIERO è LIBERO, MA NON L’ESERCIZIO DI UNA PROFESSIONE!  “VINTA UNA BATTAGLIA STORICA! IL COUNSELING TORNA IN MANO AGLI PSICOLOGI!”L’unica buona ragione per continuare a sostenere che esista un counseling fuori dalla psicologia non è filosofica, né epistemologica, è il fiorente mercato della formazione, di chi non ha potuto, o voluto, affrontare le fatiche (e i costi) di un percorso tradizionale per diventare psicologo o psicoterapeuta”.

Altri Professionisti non Psicologi sul web, commentavano, Maurizio Qualiano Consulente familiare: … se vi è una professione con riserva e regolamentazione di legge, nessun appartenente ad essa può insegnare gli atti della professione a chi non ha i titoli richiesti per far parte di quella professione. Come se un medico chirurgo insegnasse all’infermiere ferrista di sala operatoria a tagliare un’appendice, o l’ingegnere progettista istruisse il geometra a fare i calcoli del cemento armato per costruire ponti!”.

Lo scorso 17 novembre 2015, altra sentenza propizia agli Psicologi con il Tribunale Amministrativo del Lazio (n.13020/2015). Accolta la richiesta di annullamento dell’iscrizione dell’associazione Assocounseling nell’elenco delle “ASSOCIAZIONI NON REGOLAMENTATE AI SENSI DELLA L. 4/2013 .

In questa sentenza ci sono aspetti coincidenti e d’interesse anche per la nostra professione, ad esempio sancisce la liceità per gli Ordini professionali di tutelare la propria categoria: “….La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che “gli Ordini professionali, per la loro peculiare posizione esponenziale nell’ambito delle rispettive categorie e per le funzioni di autogoverno delle categorie stesse ad essi attribuite, sono legittimati ad impugnare in sede giurisdizionale gli atti lesivi non solo della propria sfera giuridica come soggetto di diritto, ma anche degli interessi di categoria dei soggetti appartenenti all’Ordine, di cui l’Ente ha la rappresentanza istituzionale” (v. CdS IV 50/2005).”

Nella vicenda trovo alcuni elementi d’interesse e similitudine con la questione infermieristica.  Nel nostro Codice Deontologico, non esiste una norma che vieti, l’insegnamento a “estranei” alla professione, anzi nel nostro profilo professionale all’art.2…….l’assistenza infermieristica……... è di natura tecnica, relazionale, educativa...., presuppone che si abbia anche l’obbligo d’intervenire con approcci formativi diversi, secondo i bisogni dell’assistito, quindi all’insegnamento di determinate procedure assistenziali, per favorire l’empowerment dell’individuo o gruppi di popolazione.

Consideriamo altresì, che  circa venti anni fa,  con il benestare della nostra Federazione IPASVI, Leggi dello Stato, hanno determinato la nascita degli Operatori Socio-Sanitari e di conseguenza una prima frammentazione dell’assistenza infermieristica, di base e non… (e ancora dobbiamo comprendere, per quale ragione, grava tutto sulle nostre spalle). Riferendomi a questa vicenda, ipotizzo che se il nostro Codice Deontologico, avesse previsto una norma similare, probabilmente il decorso della nostra storia, sarebbe stato diverso.

I professionisti psicologi, sono una professione ordinistica giovane, istituita con L.56/1989 e relativo Albo professionale nel 1990, la categoria si è dotata del Codice  Deontologico nel 1998 che è tuttora vigente. Certo in quel periodo, l’osservazione che le amministrazioni e governi politici, potesse riservare anche a loro analoga sorte, con rischio di un’estrema squalificazione e inflazione della loro professionalità, può aver generato un atteggiamento difensivo di tutto il loro ambito, censurando perfino l’insegnamento degli strumenti della propria disciplina scientifica, ad altri professionisti.

Rispetto alla formazione in “ambito psicologico” i professionisti infermieri, al pari di altre professionalità possiedono i requisiti specifici, richiesti dai vari regolamenti e ordinamenti, per partecipare a differenti corsi d’istruzione supplementari, di perfezionamento universitario, specializzazioni e master accademici che possono qualificarli come Couselor di attribuzione infermieristico, sanitario o con altre terminologie specifiche.

Nella disciplina infermieristica è fondamentale, la contaminazione con la psicologia, parimenti ad altre scienze, quali: medicina, farmacologia, biologia e altre, impossibile farne a meno. La psicologia nonostante l’ambiguo divieto posto dal famigerato articolo 21 del proprio Codice Deontologico, è una scienza atta a fecondare e trasmettere i propri saperi e conoscenze alle altre discipline, che così possono adempiere con maggiore qualità ed efficacia nel realizzare propri obiettivi.

Le scienze della salute, non possono certo rinunciare alla conoscenza e perfezionamento in ambiti psicologici, resta certo che un professionista non psicologo, che si definisca tale, commette un reato. Altrettanto legittimo appare che un professionista sanitario, sia esso infermiere, ostetrica, fisioterapista ecc., che consegue un titolo di specializzazione accademica in Counselig sanitario, non possa esercitare questa competenza acquisita.

La Psicologia è una scienza principe nella ricerca delle variabili psichiche degli individui, una scienza che in sanità ancora non gode di giusto credito sia in ambito formativo sia direttamente sui campi d'intervento sanitario. La definizione della salute dell’OMS come l’equilibrio tra le variabili psico-fisiche e sociali, resta ancora un manifesto delle buone intenzioni mai create. La psiche resta sempre ai margini, la medicina con la sua concezione meccanicistica e la sua “magica promessa” di pozione = guarigione, continua a fagocitare la psiche e l’ambiente.

Mi chiedo, quale vantaggio può avere una professione che vieta la trasmissione dei suoi saperi a “estranei”? Temo che quest’arroccamento corporativo con il baluardo del veto all’insegnamento delle proprie conoscenze ad altri che non siano psicologi, non sia una strada proficua alla stessa categoria.

Noi non siamo “estranei”, siamo professionisti connessi, in perpetua relazione, che insieme collaborano per scopi comuni.  Per definire peculiarità professionali, ambiti di ruolo, funzioni, dobbiamo comprendere e progettare insieme la nostra evoluzione professionale e ciò avviene nel reciproco riconoscimento e rispetto delle proprie competenze.

La storia di questo conflitto è destinata a non terminare, almeno fino a quando ci soffermeremo sui dettagli, e non sui contenuti. Nelle parole della mia amata conterranea, antesignana dell'educazione terapeutica e di un nuovo concetto di pedagogia, Dott.ssa Maria Montessori, un contributo nella gestione dei conflitti, dove bisogna focalizzare la nostra attenzione e contestualmente che è nella relazione il seme di ogni conoscenza  : Insegnare i dettagli significa portare confusione. Stabilire i rapporti tra le cose significa dare conoscenza.

Fonti:

Segnalazione all'antitrust da parte di AssoCounseling

Sentenza TAR Lazio Proposto dall'Ordine Nazionale degli Psicologi Contro -- AssoCounseling, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero della Salute

www.altrapsicologia.it

www.assocounseling.it

 

 

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