Il calcio italiano non allena la mente è assente lo psicologo …

L'INTERVISTA

Il presidente della società italiana di psicologia dello sport  prof. Cei denuncia l'arretratezza delle nostrre società: " Solo qualche richiesta dagli atleti che praticano sport individuali.  Non serve terapia, solo training per la mente durante il percorso di allenamento. Benefici anche per la classifica" 

di LAURA BONASERA

Il calcio italiano non allena la mente La psicologia è ancora un tabùIl portiere Gianluigi Buffon (agf)

ROMA - Riscaldano i muscoli ma non la mente. E non sempre sanno gestire l'ansia da prestazione, la concentrazione e lo stress durante una partita. Sono gli atleti professionisti dello sport di squadra più popolare d'Italia: il calcio. Nulla di patologico, per carità. Ma c'è da chiedersi se non sia arrivato il momento di fare largo ad una nuova figura nello staff tecnico di una società sportiva. Quella dello psicologo dello sport. In Germania, l'Assocalciatori ne ha fatto richiesta alle 36 società che formano i due maggiori campionati dopo i casi di suicidio e depressione di atleti. "Anche in Italia il rischio è sempre alle porte" - avverte Alberto Cei, presidente della società italiana di psicologia dello sport e autore del manuale edito da Il Mulino dal titolo 'Psicologia dello sport' . Nel calcio di serie A e negli sport di squadra l'argomento resta ancora tabù. "L'Italia è tre passi indietro rispetto al resto del mondo - spiega l'esperto - Il benessere dei giocatori? La carta vincente. Anche per scalare la classifica". 

Qualcosa non va. "La convinzione è tutto - spiega Cei - Per vincere la partita, sia in campo che con se stessi non serve altro. Per esserlo però, non basta allenare il fisico. E' come avere in mano una Ferrari. Se il pilota non la sa guidare anche una Fiat 500 la può superare. E il pilota del corpo è la psiche. Se una squadra, solo per fare un esempio, come quella rosanero segna solo

2 gol nelle gare in trasferta e ben 17 in casa, qualcosa non torna. E sicuramente non nell'allenamento fisico".    

Depressione dietro l'angolo. "Finora i corridoi della mente dei calciatori di serie A, afferma lo studioso, sono rimasti al buio. Non si conoscono casi di atleti italiani affetti da patologie della psiche tranne quello del portiere Buffon - che dichiarò nel 2008 di aver sofferto di depressione e di essersi fatto seguire da una psicologa - e quello del tentato suicidio di Pessotto che nel 2006 si gettò dal tetto della sede della Juve". Dopo lo scalpore, però, il silenzio. Eppure, la depressione, secondo l'esperto, è dietro l'angolo per gli atleti che devono affrontare un enorme carico di stress, duri allenamenti, relazioni competitive e di gruppo in continua evoluzione. Spesso poi anche l'ansia da prestazione. Non tutti riescono a sostenerne il peso. Elementi come il successo, i soldi, la popolarità, le pressioni e le aspettative di sponsor e manager creano il pericoloso mix che scatena il disagio perché le stelle del calcio "non possono concedersi debolezze, cedimenti o difficoltà - spiega Cei - E non ammettono nemmeno a se stessi che non sono di ferro. Non sono né supereroi né miti infallibili così come li dipingono i media o si aspettano che siano i loro manager e sponsor. Ecco perché gli atleti al top si sentono costretti a reprimere ciò che sentono. Alla fine, però si esplode".

Sacchi pioniere. "Lo psicologo dello sport nelle squadre di calcio di serie A è quasi inesistente" - denuncia il docente universitario di Roma Tor Vergata - Inizia ad arrivare qualche richiesta, ma solo dagli atleti che praticano discipline individuali". Poi puntualizza: "Lo psicologo non vuole sostituirsi all'allenatore ma affiancarlo. La cosa non deve stupire perché accade già da tempo nelle grandi aziende dove il professionista della mente è consulente dei manager. Le società sportive di Spagna, Gran Bretagna e Germania hanno già scelto di inglobare la figura nello staff tecnico, così come nel nord America". Negli sport di squadra in Italia si fa ancora fatica a riconoscere questa figura professionale: "Posso dire che l'unico a essersi interessato a questo approccio è stato Arrigo Sacchi - dice Alberto Cei - Era in preparazione dei mondiali di America 1994 quando mi chiese di studiare il profilo psicologico di ognuno degli atleti per indicargli, ad esempio, quali erano i calciatori ai quali poteva fornire più informazioni contemporaneamente senza che si confondessero e quelli, invece, per cui era più efficace fornire un numero minore d'indicazioni".

Negli sport individuali i primi passi. Nel quadro generale, dipinto dall'esperto con l'assenza di uno psicologo dello sport, appaiono incoraggianti le prime presenze richieste dagli atleti delle discipline individuali. Il motivo? "L'atleta si sente totalmente responsabile della sua prestazione - spiega Cei - Si prepara alla gara della sua vita, l'Olimpiade. Lo stress è enorme. Potrebbe anche non sopportarlo. Lo capisce e spesso di sua iniziativa ricorre ad uno psicologo dello sport che affianca l'atleta azzurro non solo durante la preparazione e la gara, ma anche dopo, quando dovrà mantenere i risultati di vertice raggiunti. Ma non ci sono solo gara e risultato a preoccupare l'atleta - conclude Cei - C'è anche il problema dell'uscita di scena, cioè dell'abbandono della carriera: dalle luci della ribalta alla vita di routine, da eroe a zero. E' un cambiamento difficile da gestire da soli e può essere pericoloso".

Marketing, sport, media.
Un pressing che ha analizzato lo psicologo dello sport Kuhl, sulla rivista tedesca Leistungssport. Quali ragioni hanno portato all'eliminazione ai quarti di finale dell'ultimo campionato del mondo della nazionale di calcio femminile tedesca, dopo avere vinto le due edizioni precedenti e essere considerata la grande favorita anche dell'edizione giocata in Germania nel 2011? "La spiegazione, basata sulle dichiarazione delle giocatrici e dell'allenatrice e sull'analisi della loro esposione mediatica, evidenzia come la competizione si sia tramutata in una minaccia anziché in una opportunità - racconta Cei -  L'opinione pubblica si aspettava grandi cose e le ragazze in campo anziché giocare come sapevano, hanno cercato di compiacere questa richiesta cercando di fare qualcosa di speciale, di stupire, senza esserci riuscite". 

I tre segreti della mente. Migliorare la concentrazione e l'attenzione, la gestione dello stress agonistico durante la gara, la preparazione psicologica prima di entrare in campo. E' questa la ricetta dello psicologo dello sport per l'atleta. "Non si tratta di una terapia - precisa l'esperto - Siamo ben lontani da lettino e taccuino. Quello che propone lo psicologo è un training della mente che inizia ancor prima che negli spogliatoi. Crediamo che l'allenamento dell'atleta debba essere doppio: psicologico e muscolare".

Germania, dopo l'allarme la richiesta. Il suicidio di Robert Henke, portiere dell'Hannover che si tolse la vita in seguito a una crisi depressiva. Poi, l'annuncio di Markus Miller, il suo successore, che dichiarò di soffrire di depressione. Così il tema psicologia dello sport e nello sport ha scosso il mondo del calcio tedesco ed è arrivato anche nel bel paese. All'allarme, l'immediata reazione dei giocatori del Bundesliga: chiesero ufficialmente alla Federcalcio che gli staff tecnici di ogni società fossero arricchiti da una presenza che potrebbe fare la differenza in situazioni così problematiche: uno psicologo, sempre pronto a correre in soccorso dei calciatori in difficoltà. E il commento del presidente dell'Assocalciatori tedesca fu chiaro: "Le squadre devono fare di più. Non si può avere soltanto un mental coach a disposizione per qualche settimana. Il problema deve essere affrontato in modo strutturale. I calciatori che soffrono di depressione sono parecchi, ma l'argomento è ancora un tabù". 

 

     

  

 

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