“I grandi miti della psicologia popolare”, un saggio contro le …


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I grandi miti della psicologia popolare, un saggio contro le psicoscemenze

di Daniela Mattalia

I luoghi comuni fanno comodo. Il che spiega perché siano così diffusi, oltre che resistenti a ogni tentativo di smontarli. Sono lì, pronti per essere esibiti, e regalano l’illusione di comprendere la realtà nche quando non ne abbiamo un’esperienza diretta. La psicologia, in particolare, è il loro regno elettivo, perché in fondo ci sentiamo tutti un po’ psicologi. Eppure, molte delle nostre convinzioni in questo campo sono sbagliate: falsi miti, ipotesi infondate o, semplicemente, emerite stupidaggini. Quattro psicologi americani si sono divertiti a sfatare i luoghi comuni sulla mente e il cervello, e ne hanno trovati così tanti che ci hanno scritto un libro: I grandi miti della psicologia popolare, pubblicato da poco dalla Cortina editori.

Usiamo il 10 per cento del cervello
Almeno una volta nella vita, probabilmente, lo abbiamo sentito dire da qualcuno: «Lo sai che usiamo solo il 10 per cento del nostro cervello?». Affermazione piacevole perché suggerisce l’idea che le nostre potenzialità siano inimmaginabili, se solo sapessimo come utilizzarle. Un mito diffuso persino fra gli studenti di psicologia. E tenacemente sfruttato dai numerosi programmi di training cerebrale.

Peccato che non sia vero. In effetti, non c’è ragione per cui il 90 per cento dei nostri neuroni siano degli scioperati. «Il cervello è stato modellato dalla selezione naturale e il tessuto cerebrale consuma oltre il 20 per cento dell’ossigeno che respiriamo» scrivono gli autori del saggio. «È poco plausibile che l’evoluzione abbia sprecato tante risorse per creare e mantenere un organo così sottoutilizzato. Difficile credere che un qualsiasi aumento di capacità di elaborazione non verrebbe colto al volo dagli apparati presenti nel cervello per incrementare le possibilità di successo nella continua lotta per la vita». Insomma, il cervello lo usiamo tutto. Magari male, ma questa è un’altra storia.

Mozart fa diventare più intelligenti
L’effetto Mozart indica l’aumento dell’intelligenza dopo l’ascolto di musica classica. Ad alimentare l’ipotesi fu, nel 1993, un celebre studio (su Nature) condotto su studenti: il gruppo di coloro che aveva prima ascoltato brani classici aveva poi mostrato prestazioni più brillanti in compiti di ragionamento spaziale: piegare e tagliare carta. Risultati non eccezionali, a dire il vero. Ma tanto bastò per diffondere l’idea che la musica dei grandi compositori fosse cibo per la mente.

L’effetto Mozart esiste sul serio? Studi successivi, sempre su Nature, rilevarono effetti nulli o comunque ridotti (al massimo due punti del quoziente intellettivo) e di durata limitata (fino a un’ora). E dunque? «C’è una spiegazione alternativa per l’effetto Mozart» sostengono gli psicologi americani. «È probabile che qualunque cosa aumenti lo stato di attenzione e vigilanza porti a un miglioramento delle prestazioni in compiti impegnativi. Ma è poco probabile che produca effetti a lungo termine. E a questo fine potrebbe bastare anche una tazza di caffè».

L’ipnosi porta a galla ricordi rimossi
Lo si vede nei film, e comunque sembra plausibile: sotto ipnosi ricordiamo eventi rimossi. Aggirando il controllo del super Io (freudianamente parlando), liberiamo memorie perdute nel tempo. Addirittura, si dice, le primissime esperienze di vita. Nel primo dopoguerra la convinzione era così salda che molti medici ricorrevano all’ipnosi per portare alla luce, nei reduci, traumi dimenticati che causavano nevrosi.

Ma così non è. Nonostante venga utiliz zata, e con qualche successo, nel trattamento di fobie, ansia, dipendenze, dolore, nel campo della memoria contribuisce piuttosto a creare falsi ricordi, che sembrano però veri a chi si sottopone al trattamento.

«L’ipnosi può portare a un maggior numero di errori di memoria rispetto al normale tentativo di ricordare» si legge nel libro I grandi miti della psicologia popolare. «Questo perché esagera la fiducia nei ricordi anche quando appare ingiustificata». Non a caso gli psicologi forensi riconoscono che l’ipnosi può distorcere la memoria, con conseguenze pericolose.

La rabbia non va tenuta dentro
Meglio andare su tutte le furie che rosicare e stare zitti. Altrimenti viene l’ulcera o si rischia l’infarto. Una scenata liberatoria è tutta salute. Giusto, no?

Che dopo avere litigato furiosamente con il collega di scrivania o con il partner ci si senta meglio, può essere. Se non altro, ci si è tolti una soddisfazione. Ma che sfogare la rabbia sia salutare è una leggenda. Sigmund Freud, sostenitore del concetto di catarsi, era convinto che la rabbia repressa potesse accumularsi fino a causare i sintomi dell’isteria. E ancora oggi la tesi ha una solida popolarità. Nel libro si racconta che nella città spagnola di Castejon è di moda la «distruggiterapia» contro lo stress da ufficio: fracassare vecchi elettrodomestici servendosi di mazze.

Gli studi degli ultimi 40 anni però suggeriscono altre conclusioni: incoraggiare l’espressione della rabbia infiamma ancora di più gli animi. Praticare sport aggressivi, per esempio, intensifica l’aggressività anziché incanalarla. E in test di laboratorio si è visto che i videogiochi violenti producono spesso lo stesso effetto. «Manifestare la rabbia» concludono gli autori del saggio «non solo non serve da valvola di sfogo, ma soffia sul fuoco della violenza». Anche perché la rabbia in genere si placa da sola dopo un certo intervallo di tempo.

Luna piena, più reati
Nel corso degli anni, il plenilunio è stato collegato a ricoveri psichiatrici, atti di violenza, incidenti stradali, morsi di cani, chiamate al pronto soccorso… Idea radicata anche nella cultura moderna: un sondaggio tra gli infermieri nei reparti di chirurgia di Pittsburgh (Pennsylvania) dice che quasi il 70 per cento pensa che la luna piena sia legata a un aumento dei ricoveri. E uno studio recente su studenti universitari canadesi indica che il 45 per cento di loro crede davvero nell’effetto lunare.

Se è vero che la Luna influisce sulle maree (è il ragionamento alla base di questa credenza), perché non dovrebbe agire anche sul cervello, visto che il corpo è composto per quattro quinti di acqua? Ma, come ha osservato l’astronomo George Abell, «una zanzara appoggiata sul nostro braccio esercita sul corpo una forza di gravità maggiore di quella esercitata dalla Luna».

Due psicologi, Kames Rotton e Ivan Kelley, utilizzando tecniche di metaanalisi sono giunti alla conclusione che i pleniluni non sono associati ad alcun evento particolare. Un solo episodio, tra quelli esaminati, pareva strano: in base a uno studio, nelle notti di luna piena si verificava effettivamente un aumento di incidenti stradali; ma Rotton e Kelley hanno scoperto che, nell’arco di tempo preso in esame, i pleniluni cadevano nei fine settimana. Quando si beve di più e si fa più tardi. La Luna piena c’entrava davvero poco.

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