Gli sfiorati di Matteo Rovere (2011)

Intanto il cast di attori tutti molto bravi: Andrea Brasca fa Mète il protagonista, giovane grafologo, pensieroso, dislocato e dipendente dagli altri eppure intoccabile nel suo rapporto con la vita di tutti i giorni.

Ha accanto il collega Bruno, l’unico pronto ad approfondire - il bravo Claudio Santamaria - e un amico senz’anima e con poca etica, Damiano, una vera macchietta di questi tempi, interpretata da Michele Riondino: il ragazzo che naviga a vista e cerca di approfittare di ogni occasione a proprio vantaggio, campione assoluto di relazioni instabili e precarie.

C’è poi il padre, Massimo Popolizio, allegro, vitale, finalmente obsoleto nella sua passione per il calcio; e due donne prototipiche anch’esse: la giovane molto controllante che vuole apparire splendida e splendente (un cammeo di Asia Argento) e la sorellastra Belinda (Miriam Giovannelli) che seduce facendo finta di non farlo, ma sembra avere questo come unico scopo nel qui e ora, un contatto con lui.
Chi sono gli sfiorati? Individui sempre lontani, distratti, frastornati, dislocati appunto, single e autarchici che non si assumono la responsabilità di quello che accade e si muovono come foglie trasportate dal vento.

Non si sa se ascoltano, se hanno capito, se amano e chi. Le cose capitano per caso e credono di avere poca presa sulla realtà; non sembrano connessi agli altri da legami definiti, prendono quello che la vita offre, senza scegliere, sempre tesi a includere quello che proviene da un mondo difficile, dal futuro incerto, al fine di vivere una vita decente e una felicità momentanea. Come nel film dice Bruno, che ne studia la grafia non stabile, “a loro possono capitare cose meravigliose oppure terribili, cose che gli altri neppure vedono.”

Un po’ di psicologia sui personaggi. Mète - orfano di madre ha da poco recuperato il padre che si sta per sposare - appare come riflessivo e tormentato, ma non abbastanza per assumersi la responsabilità della sua passione per la sorellastra: si lascia sedurre, non è capace di chiedere aiuto agli amici, sembra non fermarsi a definire neppure a se stesso quello che gli sta succedendo, non decide ma lascia che gli eventi accadono facendo finta di cercare di evitarli.

Belinda, evaporata, sensuale, ironica nella sua inconsistenza, conta sul fisico e sulla gratificazione degli incontri che la vita le propone. Sembra usare l’acume di cui è dotata non per se stessa ma allo scopo di segnare un punto nei giochi relazionali in cui apparentemente casualmente si trova implicata.

La figura femminile più definita e che mi è proprio piaciuta, seppur anch’essa una sfiorata, è Beatrice Plana (Asia Argento) il cui scopo nella vita sembra essere quello di confermarsi la necessità di rimanere affettivamente sola, malgrado la promiscuità determinata.

Ottiene il suo scopo attraverso la necessità psicologica di mettere alla prova gli altri e di ricevere solo plausi e conferme, incapace di dialogo, assolutamente autarchica. Interessante e frequente questo gioco psicologico nelle giovani donne contemporanee, quello di volere una cosa e di cercare di ottenerla o prendendo il controllo assoluto sull’altro (donne attente!!!) oppure mettendolo alla prova attraverso una costante e rocambolesca ridefinizione della situazione in maniere contraddittorie e teatrali.

Ma non voglio dire di più, vi consiglio di vedere il film!

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