ELOGIO DELLA PROPAGANDA E LE GIUSTE CAUSE

di ENZO TRENTIN

L’azione di propaganda tende a influire sull’opinione pubblica, orientandola verso determinati comportamenti collettivi. Essa si realizza con un insieme di mezzi di comunicazione.

Di per sé, quindi, la propaganda non avrebbe un’accezione negativa. Tuttavia, quando un complesso di notizie destituite di ogni fondamento, diffuse ad arte e per fini particolari si materializza, ciò è per noi inaccettabile.

Durante la prima guerra mondiale, per la prima volta intervenne una propaganda statale altamente organizzata. Gli inglesi disponevano di un ministero dell’Informazione e ne avevano un gran bisogno: dovevano indurre gli Stati Uniti a entrare in guerra, o si sarebbero trovati in guai seri. Il ministero dell’Informazione era studiato principalmente per la diffusione della propaganda, comprendente anche fantasiose invenzioni sulle atrocità commesse degli “Unni” (i tedeschi).

Il bersaglio prescelto furono gli intellettuali americani, in base alla ragionevole presunzione che fossero gli individui più influenzabili e, verosimilmente, i più inclini a credere alla propaganda. Gli intellettuali sono anche quelli che la diffondono nel loro stesso sistema. Così, la propaganda era mirata soprattutto agli intellettuali americani, e funzionò a meraviglia. I documenti del ministero dell’Informazione britannico (molti sono stati resi di pubblico dominio) dimostrano che lo scopo degli inglesi era, per dirla con le loro parole, controllare il pensiero del mondo, un obiettivo di trascurabile importanza, ma, soprattutto, il pensiero degli Stati Uniti. Il ministero non si curava granché di quello che pensavano in India. Ma riuscì in pieno a convincere i più eminenti intellettuali americani ad accettare le sue invenzioni. Gli inglesi ne erano molto orgogliosi, e con ragione, perché si salvarono la vita. Altrimenti avrebbero perso la prima guerra mondiale.

Ancor prima di questo, ci furono gli studi di Gustav Le Bon, nato in Francia nel 1841, che fu il primo psicologo a studiare scientificamente il comportamento delle folle, cercando di identificarne i caratteri peculiari e proponendo tecniche adatte per guidarle e controllarle. Per questa ragione le sue opere vennero lette e attentamente studiate dai dittatori totalitari del novecento, i quali basarono il proprio potere sulla capacità di controllare e manipolare le masse. Sia Lenin che Hitler lessero l’opera di Le Bon e l’uso di determinate tecniche di persuasione nella dittatura nazionalsocialista sembra ispirato direttamente dai suoi consigli, ma Mussolini fu certamente il più fervido ammiratore dell’opera dello psicologo francese. «Ho letto tutta l’opera di Le Bon – diceva Mussolini – e non so quante volte abbia riletto la sua Psicologia delle folle. È un opera capitale alla quale ancora oggi spesso ritorno».

In effetti gli scritti di Le Bon e in particolare la Psicologia delle Folle edita nel 1895 erano una vera e propria miniera d’oro per chi voleva comprendere il comportamento della massa, il nuovo soggetto che si affacciava sulla scena politica negli ultimi decenni dell’ottocento e che avrebbe dominato tale scena nel novecento. La nascita della massa, intesa come “grande quantità indistinta di persone che agisce in maniera uniforme” fu infatti il risultato di un processo storico a cui concorsero una pluralità di cause e che iniziò a prendere forma sul finire del XIX secolo.

Nella creazione di una società di massa un ruolo importante fu svolto dall’avanzare del progresso tecnologico, inteso sia come processo di standardizzazione del lavoro sia come modello di produzione di oggetti detti appunto “di massa“.

Ai giorni nostri possiamo trovare conferma di quanto sopra su documenti delle FF.AA. Italiane. Per esempio, una manovra addestrativa: «Si fonda sul paradigma internazionale che vede improbabile il ritorno a guerre di tipo classico e che invece attribuisce una valenza sempre più preponderante all’elemento umano, che negli attuali scenari geopolitici gioca un ruolo assolutamente prioritario. Su queste basi… [si] dovrà essere capaci di pianificare e successivamente condurre un’operazione che preveda l’impiego non convenzionale delle unità dipendenti (che per realismo esercitativo saranno schierate in Germania e collegate con i più moderni sistemi di comunicazione di cui dispone la forza armata), in un mix di attività volte prioritariamente a colpire il cuore e la mente della popolazione, allo scopo di isolare gli insurgents e conferire credibilità alla compagine governativa in supporto della quale è stato predisposto l’intervento militare.»1

Ciò premesso, è inevitabile constatare come senza aver approfondito i “sacri” testi della psicologia delle folle, molti politici (meglio sarebbe definirli: politicanti) hanno per osmosi ben assimilato la lezione propagandistica, e poco risultino affini alla semplice informazione.

D’altro canto uno degli esponenti più autorevoli del moderno giornalismo americano: Walter Lippmann2, assai rispettato come teorico democratico progressista, articolò le idee di fondo con la massima chiarezza. «Il grande pubblico deve essere messo al suo posto,»3 scriveva, così che noi possiamo «vivere liberi dal folle galoppo e dai muggiti di una mandria impazzita». Se non si può sottomettere con la forza, allora bisogna efficacemente controllare i suoi pensieri; in mancanza di una forza coercitiva, l’autorità, al fine di raggiungere i suoi scopi essenziali, può ricorrere solo all’indottrinamento.

I cosiddetti “conservatori” si spingono solo un po’ più in là nel loro impegno per domare la disprezzata canaglia. In un’ulteriore elaborazione, Lippmann distinse due ruoli politici in una democrazia moderna. In primo luogo, c’è il ruolo assegnato alle «classi specializzate», gli «addetti ai lavori», «gli uomini responsabili» che hanno accesso alle informazioni e alla comprensione razionale. Questi «uomini pubblici» sono responsabili per la «formazione di una solida pubblica opinione». Costoro «iniziano, amministrano, stabiliscono» e dovrebbero essere protetti da «estranei ignoranti e impiccioni», ovvero il vasto pubblico, privo della competenza necessaria ad affrontare «la sostanza del problema». La classe specializzata, protetta da estranei impiccioni, servirà quello che nelle ragnatele mistificanti tessute dalle scienze sociali accademiche e dai commenti politici viene definito come «l’interesse nazionale».

L’importanza di fare informazione anziché propaganda, ci pare oramai acclarata laddove i politicanti d’ogni specie ci hanno saturato delle loro ciance, e soprattutto prodotto quell’immane debito pubblico che soffoca interi popoli.

Caspita che «uomini responsabili» questi politicanti!

Avendo ben in mente tutto ciò, è importante per gli indipendentisti, tutti, approfondire il quadro legislativo internazionale che presiede alla formazione di nuove entità statali, o come vagheggiato da alcuni di restaurazione di antichi Stati. E qui, per non essere fraintesi, diciamo subito che i veneti hanno molte argomentazioni in più per proporre la “riedificazione” della Repubblica di San Marco.

Tuttavia, se per accettare l’autodeterminazione del popolo veneto la comunità internazionale deve riconoscere come principio fondante quello della sovranità e del rispetto dell’integrità territoriale degli Stati indipendenti già esistenti [= Italia], purché retti da un governo democratico rappresentativo di tutta la popolazione dello stato che garantisca i diritti delle persone e delle formazioni sociali esistenti nei suoi confini, [un concetto che altri hanno osservato essere piuttosto elastico e spesso interpretato a senso unico] noi dobbiamo sottolineare come lo Stato italiano non sia propriamente indipendente, né retto da un governo democratico.

Sulla democrazia, senza farla tanto lunga: quanti sono i referendum voluti e votati dal popolo “sovrano”, ed aggirati o elusi dalla partitocrazia? Innumerevoli!

Ne ricordiamo uno per tutti: Il referendum abrogativo promosso dai Radicali Italiani dell’aprile 1993 vede il 90,3% dei voti espressi a favore dell’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti. Nello stesso dicembre 1993 il Parlamento aggiorna, con la legge n. 515 del 10 dicembre 1993, la già esistente legge sui rimborsi elettorali, definiti “contributo per le spese elettorali”, subito applicata in occasione delle elezioni del 27 marzo 1994. Per l’intera legislatura vengono erogati in unica soluzione 47 milioni di euro.

Eppure il referendum è lo strumento di eccellenza per l’esercizio della sovranità popolare. E per coloro che si fossero distratti ribadiremo che il concetto di democrazia non è cristallizzato in una sola versione o in un’unica concreta traduzione, ma può trovare ed ha trovato la sua espressione storica in diverse espressioni ed applicazioni, tutte caratterizzate per altro dalla ricerca di una modalità capace di dare al popolo la potestà effettiva di governare.

Al popolo, non ai suoi ‘rappresentanti’.

Quanto all’indipendenza del governo italiano c’è da rilevare come esso sia sempre più esautorato o subordinato da organismi internazionali. Oramai circa l’80% delle leggi italiane sono l’accettazione di “direttive” dell’UE4. La moneta e conseguente politica è imposta dalla BCE5. Le guerre, pardon! Le missioni di pace si fanno in spregio all’art. 11 della Costituzione italiana, e su ‘ordine‘ della NATO6 che sarebbe un’organizzazione difensiva. Sigh!

Insomma, gli argomenti per richiedere la secessione o l’autodeterminazione o la restaurazione dell’antica Repubblica Serenissima non mancano. Deficitarie, semmai, sono le proposte circa il nuovo “contratto sociale” che dovrebbe reggere la predetta Repubblica indipendente. Ed è su questo fronte, a nostro modesto parere, che gli indipendentisti veneti (e non solo loro) dovrebbero impegnarsi, piuttosto che confrontarsi (a volte aspramente) per far emergere questa o quella visione personalistica.

NOTE

  1. Fonte: Comando Divisione Acqui: ttp://www.paginedidifesa.it/2008/pdd_081071.html
  2. Walter Lippmann (New York, 23 settembre 1889 – 14 dicembre 1974) è stato un giornalista statunitense. Per 32 anni (dal 1931 al 1963) ha analizzato i fatti internazionali nella rubrica Today and Tomorrow dell’Herald Tribune di New York. Vinse due premi Pulitzer (nel 1958 e nel 1962).
  3. Manifacturing Consent di Walter Lippmann.
  4. L’Unione europea (abbreviata in UE o Ue) è un’entità politica di carattere sovranazionale ed intergovernativo che, dal 1º gennaio 2007, comprende 27 paesi membri indipendenti e democratici.
  5. La Banca centrale europea (BCE o ECB – European Central Bank – in lingua inglese) è la Banca centrale privata incaricata dell’attuazione della politica monetaria per i paesi dell’Unione europea che hanno aderito all’euro e che formano la cosiddetta “Zona euro” o “area dell’euro”.
  6. L’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (in inglese North Atlantic Treaty Organization, in sigla NATO, in francese: Organisation du Traité de l’Atlantique du Nord, in sigla OTAN), è un’organizzazione internazionale per la collaborazione nella difesa.

 

 



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