Educare alla prosocialità

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Educare alla prosocialità

“Le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell’uomo”, sosteneva don Giussani. E il cuore e la mente dell’uomo possono orientarsi verso i comportamenti prosociali o viceversa, intraprendere il sentiero dei comportamenti antisociali. Se è abbastanza semplice definire cos’è la devianza sociale, gli esempi sono sotto gli occhi di tutti - bullismo, abusi sessuali e psicologici, mancanza di senso civico e solidarietà - più difficile appare una definizione univoca di cosa debba intendersi per prosocialità, termine utilizzato comunemente dagli psicologi per indicare qualsiasi comportamento volontario diretto primariamente a portare beneficio ad altre persone, senza ricerca immediata di ricompensa.

Va oltre Gian Vittorio Caprara, professore ordinario di Psicologia della Personalità all’Università La Sapienza di Roma, autore del saggio “Il comportamento prosociale” (edizioni Erickson) quando afferma che per comprendere cos’è la prosocialità bisogna partire dal presupposto che si tratta di una fondamentale modalità di interazione sociale, spesso sottovalutata o confusa o sovrapposta con un generico senso di altruismo, e che prevede l’organizzazione di diverse strutture psicologiche operanti di concerto, includendo predisposizioni personali, valori individuali e convinzioni di autoefficacia.

Si può educare alla prosocialità? Ovvero, più modestamente, possono essere intrapresi dei programmi che mirino a promuovere le competenze prosociali nei bambini e negli adolescenti? Diversi studi indicano che il comportamento prosociale può essere considerato un buon predittore dell’adattamento: i bambini ed adolescenti pro sociali si adattano meglio nel corso del tempo e sono meno a rischio di avere problemi di tipo internalizzante (ansia, depressione) ed esternalizzante (aggressività, bullismo, iperattività).

Il professore Caprara, già direttore e attuale membro del Consiglio scientifico del Centro Interuniversitario per la Ricerca sulla Genesi e sullo Sviluppo delle Motivazioni Prosociali e Antisociali (CIRMPA), ha presentato recentemente durante il convegno “Promuovere la salute mentale nell’età evolutiva” i primi risultati di una linea di ricerca (il progetto CEPIDEA, di cui è responsabile scientifico) svolta nell’ambito del Primo Programma nazionale di Ricerca Strategica in età evolutiva, guidato dall’IRCCS Medea - La Nostra Famiglia.

Il progetto CEPIDEA, promosso dalla Regione Lombardia, ha realizzato due studi: il primo, teso a valutare l’efficacia di un intervento rivolto alla prevenzione dei problemi comportamentali degli adolescenti, condotto da ricercatori del Centro Interuniversitario per la Ricerca sulla Genesi e sullo Sviluppo delle Motivazioni Prosociali e Antisociali dell’Università La Sapienza; il secondo, sviluppato sul territorio lombardo dall’Azienda Ospedaliera San Paolo di Milano, dall’IRCSS Fatebenefratelli di Brescia (in collaborazione con le Aziende Ospedaliere Spedali Civili di Brescia, Niguarda di Milano, Manzoni di Lecco, della Valtellina e Valchiavenna di Sondrio e l’Istituto Mondino di Pavia) su più di 100 adolescenti afferenti ai servizi di Neuropsichiatria per problemi comportamentali esternalizzanti, voleva verificare in che misura le competenze prosociali possano contribuire ad esiti clinici più favorevoli.

L’intervento nelle scuole, che il prossimo anno scolastico sarà esteso alla Colombia (dove verrà svolto dalla Universidad San Buenaventura a Medellin), ha visto coinvolti 150 studenti dell’età di circa 12 anni in alcune scuole dell’area dei Castelli Romani. Ha comportato sessioni di lavoro congiunto tra psicologi e insegnanti per la realizzazione di attività scolastiche (laboratori e lezioni prosociali) mirate a promuovere i valori e i comportamenti di aiuto, rispetto e impegno civico. Un esempio? Scrivere una lettera ad un amico nei guai. L’efficacia dell'intervento (diminuzione dell’aggressività, minore senso di isolamento nel gruppo-classe) - ottenuta soprattutto mediante il rafforzamento dell’empatia, della capacità di assumere la prospettiva dell’altro - è stata confermata a distanza di un anno.

La ricerca presso i servizi di Neuropsichiatria ha coinvolto gli operatori dei servizi, gli adolescenti e i loro genitori. Lo studio clinico prevedeva una valutazione iniziale e a distanza di sei mesi dei problemi e delle risorse degli adolescenti. I risultati incoraggianti nel ridurre i comportamenti esternalizzanti ottenuti a distanza di 6 mesi, suggeriscono l’utilità di integrare i trattamenti dei servizi con azioni mirate a potenziare le competenze prosociali e le capacità di autoregolazione (in particolare saper gestire le relazioni con i coetanei e resistere alle pressioni trasgressive dei pari).

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