Disagio psicologico: come prevenirlo?

Disagio psicologico e terapie

A Roma un convegno annuale dedicato alla riflessione sulla psicologia nella vita religiosa

FABRIZIO MASTROFINI

Roma

 

La psicologia che «funziona» con i frati e le suore è quella dell’approccio relazionale, particolarmente adeguata ad affrontare le tensioni di chi vive nelle comunità religiose. La psicologia insomma deve fare ingresso a pieno titolo nel mondo della vita consacrata, più di quanto ci sia oggi, perché le tipologie di «confratelli» o di suore con problemi non si dissolvono da sé, specie di fronte ai problemi dell’invecchiamento, delle comunità che diventano sempre più ristrette, col divario crescente tra i pochi giovani e i tanti anziani.

 

 

A tratteggiare i confini di questa psicologia che «funziona» è stato padre Giuseppe Crea, comboniano, psicoterapeuta, prendendo la parola a Roma nel corso del tradizionale appuntamento annuale di riflessione sulla vita consacrata organizzato dal Pontificio Istituto «Claretianum». Padre Crea ha prima di tutto elencato alcuni «tipi»: chi è «affetto da mutismo», chi critica tutto e tutti ed ha sempre ragione, chi «va avanti come il carro armato dell’attivismo più sfrenato».

 

 

I negativisti del «non c’è niente da fare», ha spiegato il religioso, «lasciano chiari segnali di una presenza fastidiosa e sgradevole che pervade l’intero clima del gruppo, ogniqualvolta rimarcano l’inutilità di ogni sforzo. In fondo sono persone che avvertono di non avere potere sulla loro vita, si lasciano trasportare dagli eventi e dalle situazioni che a parer loro hanno rovinato la loro esistenza. Se non vengono confrontati in modo adeguato, possono trasformare il loro negativismo in vissuti patologici pervasivi, come la dipendenza dall’alcol, da internet, da psicofarmaci». Ma – ha aggiunto subito dopo – «guai a dire che chi soffre di un disturbo psichico “non lascia segnali”, o “non ci eravamo accorti di niente”… Questo vale anche per i religiosi e i presbiteri che vivono in gruppi (fraternità sacerdotali, comunità religiose) dove il clima interpersonale dovrebbe essere il più adeguato a riconoscere la sofferenza del fratello che vive accanto. Purtroppo però non sempre è così».

 

 

Che fare allora? Far crescere dovunque, nella Chiesa, una sensibilità verso un approccio relazionale. La psicologia di Irvin Yalom, di Thomas Millon, di Viktor Frankl, cioè la psicologia umanista, esistenziale, permeata di strumenti clinici e da una visione positiva delle capacità della persona, aiuta ad uscire dalle secche dei drammi. «Non dobbiamo più dire, o peggio, pensare, ‘aiutati che Dio ti aiuta’, perché i problemi non si risolvono da soli. Occorrono invece competenze molteplici, in seminario, nella formazione, negli anni successivi. Non più sospetto verso la psicologia ma «pluralità degli approcci, affinché ogni intervento sia fatto a partire dalla totalità della persona piuttosto che dall’esigenza di etichette o deleghe rassicuranti».

 

 

 

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