conoscere,riconoscere e prevenire i disturbi del comportamento …

“Rifiutare di mangiare fino a morire
in nome di una bellezza che si basa su falsi valori
come quello dell'essere magri
e su standard estetici impossibili da raggiungere“
Irene Capuani

In una società nella quale l'aspetto fisico diventa un “passepartout” attraverso il quale si può emergere, l'aumento dei casi di anoressia e bulimia negli ultimi anni va di pari passo con la diffusione di articoli e riviste rivolti a diete e programmi dimagranti. Un ideale, quello della magrezza, esaltato ed elogiato, come se fosse l'unica arma per poter avere successo: non più una donna capace ed intelligente, ma attraente e irreale come le protagoniste delle copertine.
Non è difficile pensare al potere che questi modelli culturali hanno sulle persone vulnerabili, con tendenze al perfezionismo, sugli adolescenti che dipendono dal parere altrui per la propria autostima. La bellezza intesa come presupposto implicito delle qualità della persona!
Prima di tutto bisogna tenere in considerazione che, pur essendoci dei profili psicologici, non è possibile individuare una causa unica; pare che la concordanza tra diversi fattori biologici, psicologici, individuali, familiari e socio-culturali vada a supportare il potenziale quadro sintomatologico.
Nel caso dell'anoressia e della bulimia è stato dimostrato che ragazze con sorelle o familiari con disturbo alimentare, tendano a manifestare loro stesse i sintomi tipici.
Ma come riconoscere, in una società occidentale ed industrializzata, quelle identità che potrebbero potenzialmente sviluppare un disturbo del comportamento alimentare cronico? Sono ragazze con bassa autostima ed insicurezza personale, che creano un'immagine di sé strettamente legata a fattori fisici che pongono la magrezza come segno di valore e di bellezza.
Tendenti al perfezionismo, ambiziose, con una carriera ricca di successi scolastici, tenaci e dedite al sacrificio: tutte queste caratteristiche nascono dall'esigenza di poter essere accettata solo a condizione di dare il massimo delle proprie possibilità senza smagliature minime. La paura di deludere e fallire è enorme, il giudizio altrui è l'unico metro di misura per stimare il proprio valore. Il corpo così diventa fonte di autonomia e sicurezza, e la magrezza è il requisito indispensabile per sentirsi bene ed accettate.
Per quanto concerne il “Binge Eating Disorder”, invece, sembrano essere presenti altre caratteristiche psicologiche ed individuali quali la scarsa autoconsapevolezza, bassa autostima, disprezzo di sé e delle proprie proporzioni corporee e ridotte capacità di autonomizzazione, ovvero di separazione dalle figure di riferimento (solitamente i genitori) e quindi di autonomia. L'alta proporzione di questi fenomeni, che colpiscono prevalentemente l'età adolescenziale, unita al fatto che il mancato o ritardato intervento spesso porta alla cronicizzazione del disturbo, ha supportato la necessità di apportare programmi di prevenzione rivolti a soggetti di età compresa tra i 10 e i 18 anni, ovvero la fascia di età più a rischio.
É utile che un'informazione corretta e dettagliata sui disturbi alimentari sia rivolta agli adulti che si trovano a contatto con il mondo giovanile come i familiari, gli educatori, gli insegnanti, i medici, gli allenatori sportivi ecc. perché possano prevenire l'insorgenza dei disturbi ove presenti, al fine di migliorarne la prognosi.  Abituare il bambino/adolescente ad un'opportuna educazione alimentare, stimolarlo attraverso uno sport al maggior consumo energetico, ridurre le ore in cui è seduto davanti ad uno schermo diminuendo la sedentarietà, evitare colpevolizzazioni e svalutazioni nei confronti del ragazzo: sono questi tutti piccoli accorgimenti efficaci per prevedere la manifestazione di disturbi del comportamento alimentare.
Spesso il ruolo della famiglia nell'insorgenza di un disturbo alimentare, che vede le madri iperprotettive, intrusive e padri assenti, è stato esacerbato a volte spropositatamente; innanzitutto perché è impossibile determinare se un fattore familiare sia causa oppure conseguenza di un determinato disturbo. E', infatti, assurdo immaginare che di fronte ad una figlia che deperisce giorno dopo giorno un genitore non diventi iperprotettivo, anche provocando tensione all'interno del clima familiare. In secondo luogo perché i disturbi del comportamento alimentare hanno una causa multifattoriale, ed è impossibile centrare una sola causa come eziopatogenica.
Diviene, insomma, controproducente colpevolizzare il comportamento dei genitori come fattori determinanti della malattia dei figli, ma va sottolineato che i disturbi del comportamento alimentare si sviluppano dall'incontro di una particolare base individuale con una determinata matrice relazionale e socio-culturale.
Complicato muoversi in uno spazio sintomatologico così ampio. Nonostante questo, la conoscenza-consapevolezza e la prevenzione sembrano essere i modi migliori per intervenire precocemente su tali disturbi e prevedere così la cronicizzazione dei quadri diagnostici.

Anna Eterno
30-12-2011

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