Comunicazione e marketing nello studio odontoiatrico

Presentato in occasione del 55° Congresso Amici di Brugg  lo studio  che si propone di verificare l’efficacia di una terapia farmacologica complessa (utilizzante antinfiammatori non steroidei, antidolorifici e miorilassanti) nel controllo del dolore acuto delle patie disfunzionali (Temporomandibular disorders – TMD), un gruppo di disordini dolorosi che interessano l’articolazione temporomandibolare e/o i muscoli facciali.

Si tratta di un problema che affligge una percentuale rilevante della popolazione: anche se i dati della letteratura non sono concordi, riportando percentuali che variano dall’1 al 75%, si stima che la prevalenza nella popolazione adulta sia compresa fra il 10-15% e che il 5% abbia un’assoluta necessità di trattamento.

“I TMD sono considerati fra le più comuni problematiche dolorose oro-facciali d’origine non dentale, ma le frequenti e concorrenti sintomatologie associate come dolore articolare, emicranie, neuralgie, e dolore dentale rendono la diagnosi di patia disfunzionale molto difficile – afferma il professore Giampietro Farronato Direttore Scuola di Specializzazione Ortognatodonzia, Presidente Corso di Laurea in Igiene Dentale, Università degli Studi di Milano e coordinatore dello studio. “la causa dei disordini temporo-mandibolari è multifattoriale e presenta spesso, oltre a una problematica fisica, componenti come stress, ansia, attacchi di panico etc. Spesso la complessità diagnostica ed eziologica della problematica disorienta il clinico su quale trattamento scegliere per gestire la problematica e la letteratura non aiuta: l’eterogeneità dei molti studi effettuati non consente di  trarre conclusioni definitive sul trattamento delle patie e, soprattutto, ad oggi, non sono stati   individuati terapie e protocollo da adottare negli eventi algici acuti”.

I primi sintomi compaiono in genere fra i 20 e i 40 anni di età. Recenti studi hanno dimostrato come nella popolazione si verifichino due picchi distinti, uno intorno ai 30 anni nei soggetti che presentano alterazioni a carico del disco articolare e l’altro intorno ai 50 anni a causa di disordini articolari di tipo infiammatorio-degenerativo.

Per il trattamento delle patie disfunzionali è possibile ricorrere a una serie di approcci differenti che vanno dall’uso dei farmaci all’impiego di dispositivi occlusali (bite), all’agopuntura, agli esercizi fisioterapici mandibolari, a quelli  di correzione posturale, alla  terapia cognitivo comportamentale. “La tensione temporo-mandibolare e l'elevata percezione del dolore sono uno dei possibili effetti comportamentali e psicologici di una eccessiva reazione fisiologica da stress, che influisce negativamente sull'operato del dentista – puntualizza Angelo Compare, Professore di Psicologia presso il corso di Laurea in Scienze e Tecniche Psicologiche dell’ Università degli Studi di Bergamo. Ciò spiega l’efficacia di specifiche tecniche mio-rilassanti, che possono essere usate dal dentista sul paziente e prescritte al paziente stesso dopo il trattamento, che riducono la tensione  temporo-mandibolare e la percezione del dolore”.

Un’arma fondamentale nelle mani dello specialista è rappresentata dai farmaci, a partire dagli anti-infiammatori non steroidei. Altri medicinali impiegati in questi pazienti includono i corticosteroidi, i miorilassanti, gli ansiolitici, gli antidepressivi triciclici e talvolta anche gli oppiacei. Il principale obiettivo per i pazienti con patie disfunzionali all’articolazione temporomandibolare è infatti quello di diminuire il dolore articolare, l’infiammazione e qualsiasi dolore muscolare associato (per esempio quello a carico dei muscoli masticatori), con conseguente aumento della funzione e limitazione alla progressione della malattia e della disfunzione e morbilità associate. 

L’efficacia dell’impiego combinato di un fans, un miorilassante e un antidolorifico durante l’evento acuto verrà validata nello studio dal titolo “Controllo farmacologico del dolore in pazienti affetti da patie disfunzionali” che prevede l’inserimento di 100 pazienti di età compresa fra 15 e 65 anni, sofferenti da almeno 6 mesi di patia disfunzionale e con una sintomatologia dolorosa di intensità almeno superiore a un punteggio di 50 sulla scala VAS di misurazione del dolore. 

Tra i fans impiegati nello studio vi è  l’ibuprofene (marchio commerciale Brufen®) di cui sono largamente note l’efficacia analgesica e la sicurezza. “L’ibuprofene è uno dei farmaci che ha dimostrato grande utilità in odontoiatria e ciò grazie alla sua ottimale cinetica ed al basso rischio di interazioni farmacologiche – conferma Luca Gallelli, della Cattedra di Farmacologia dell’Università di Catanzaro-. Inoltre il suo effetto antinfiammatorio e antidolorifico è dose dipendente ed è correlato sia alla inibizione delle ciclo-ossigenasi che alla modulazione della via dei cannabinoidi. Un altro effetto importante di ibuprofene, utile soprattutto  nel periodo post-operatorio degli interventi odontoiatrici, è rappresentato dalla riduzione dell'edema, che è un tipico segno di lesione dei tessuti indotta dall’infiammazione”. 

 

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