Come nasce la disobbedienza (che può anche essere positiva)


Henry David Thoreau, primo teorico della disobbedienza civile (Ap)

totale voti

La disobbedienza, spesso considerata negativa, ha in realtà numerosi lati positivi e si caratterizza, da un punto di vista psicologico, come un fondamentale processo di consapevole presa di decisione alla luce del contesto che nel quale si sviluppa. E’ la conclusione alla quale arriva una ricerca realizzata da un gruppo guidato dalla professoressa Maura Pozzi del Dipartimento di Psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, e pubblicata sulla rivista New Ideas in Psychology.

La ricerca

La ricerca è stata effettuata su 190 individui tra i 19 e i 35 anni, attraverso un questionario che esplorava le libere associazioni alle parole “obbedienza” e “disobbedienza”, al quale è stata associata anche una domanda aperta sul significato di queste parole. «Molti partecipanti all’indagine hanno affermato che il comportamento disobbediente di per sé non è né buono né cattivo», dicono gli autori dello studio, «ma dovrebbe piuttosto essere classificato tenendo conto delle regole che esso infrange all’interno del contesto nel quale si sviluppa. Uno degli intervistati ha detto molto chiaramente che “disobbedire può essere rischioso, utile o solo stupido, può avere un valore positivo o nuovo, oppure anche essere sbagliato, a seconda delle circostanze e del contesto”. Una componente critica per la valutazione del valore della disobbedienza è la consapevolezza. Un punto molto ben illustrato da altro intervistato il quale ha affermato che “quando disobbedisci devi essere adeguatamente informato e consapevole dell’esistenza di un limite che decidi di non rispettare”. Ma la disobbedienza è stata anche definita un diritto, la libertà di esprimersi, di essere attivi e coscienti, di prendere posizione, di combattere modalità ritenute in contrasto con le proprie idee».

Disobbedienza e protesta

Una delle possibili espressioni della disobbedienza è la protesta, che può essere definita un comportamento concreto, finalizzato a creare alternative allo status quo. La protesta può declinarsi in molte forme, alcune delle quali assumono talora carattere violento. «In certi casi la protesta è di tipo principalmente verbale, come quella dichiarata alcuni mesi fa dai governatori delle Regioni nei confronti dello Stato sui tagli alla Sanità», dice la professoressa Pozzi. «Finché però non vengono messi in atto comportamenti coerenti con tali dichiarazioni di opposizione, non potremo parlare di vera disobbedienza. Infatti, i fenomeni di disobbedienza non possono prescindere dalla componente comportamentale. Ad esempio, un celebre caso di disobbedienza (o resistenza) fiscale, al pari del Boston Tea Party che diede il via alla guerra civile americana e della Marcia del sale di Gandhi, è quella di Henry David Thoreau, primo teorico della disobbedienza civile, che nell’Ottocento si rifiutò di pagare le tasse che sarebbero servite al suo governo, statunitense, per finanziare spese militari».

I vari tipi di disobbedienza civile

In alcuni casi le proteste da parte dei cittadini nei confronti dello Stato possono assumere un carattere violento e quindi risulta difficile separare questa protesta dal comportamento antisociale, darle una valutazione positiva o negativa da parte della società. Dice in merito la professoressa Pozzi: «Per una valutazione positiva o negativa dell’azione disobbediente sono necessari due fattori. Uno è rappresentato dalle motivazioni per cui si attua disobbedienza; l’altro dalle conseguenze pratiche di tali azioni. Per agganciarsi a un esempio storico di disobbedienza positiva, o pro-sociale, che tutti sicuramente conoscono, possiamo fare riferimento al movimento per i diritti civili degli afroamericani di Martin Luther King negli Stati Uniti. Il suo movimento si batté affinché anche gli americani neri godessero degli stessi diritti civili dei bianchi, così da porre fine alla segregazione razziale. Allo stesso tempo, però, King non era intenzionato a sovvertire lo status quo togliendo i diritti ai bianchi per darli ai neri, ma puntava a un cambiamento sociale che portasse benefici all’intera società civile. Ritroviamo la stessa filosofia del cambiamento sociale in Nelson Mandela, i cui sforzi erano rivolti a un Sudafrica in cui bianchi e neri potessero godere di uguali diritti, senza sopraffazione di un gruppo sociale sull’altro. Entrambi gli esempi possono rientrare sotto la definizione di “disobbedienza pro-sociale”, messa a punto da due ricercatori italiani, Stefano Passini e Davide Morselli dell’Università di Bologna. Spesso la disobbedienza pro-sociale viene confusa, a livello di senso comune, con comportamenti devianti e anti-sociali. È importante distinguere tra questi due fenomeni. Siamo in presenza di comportamenti devianti quando il soggetto infrange la legge per un esclusivo tornaconto personale o del proprio gruppo, rifiuta a prescindere qualsiasi autorità e pertanto rifiuta totalmente l’obbedienza. Il disobbediente pro-sociale invece vuole portare beneficio alla società in generale, riconosce l’obbedienza come fondamento della civiltà, ma disobbedisce alle richieste dell’autorità nei casi che lo richiedono, ossia quando quest’ultima non rispetta la fiducia e il rispetto reciproco nei confronti del cittadino».

Lo strumento scientifico per misurare la disobbedienza

La disobbedienza può sembrare un fenomeno aleatorio, difficilmente quantificabile sul campo, ma in realtà oggi può anche essere misurata precisamente attraverso l’uso di appositi strumenti. Dice in proposito la professoressa Maura Pozzi: «Di recente, il nostro gruppo di ricerca ha sviluppato uno strumento psicometrico in grado di rilevare l’atteggiamento che una persona ha nei confronti della disobbedienza pro-sociale. Si tratta di un progetto al quale ha lavorato in particolare il dottor Francesco Fattori dottorando della Scuola di Psicologia dell’Università Cattolica di Milano. La disobbedienza pro-sociale è la risultante di due diverse componenti: la capacità riflessiva che si attiva quando si assiste a uno status quo iniquo, e la propensione a manifestare per una causa a favore di gruppi svantaggiati. Risultati preliminari dei primi studi realizzati con questo strumento indicano che nella disobbedienza pro-sociale possono esistere differenti pesi delle due componenti».

Leave a Reply