"Vittime" della crisi economica

L’ultimo articolo da me scritto s’intitolava “crisi economica e crisi psicologica” e focalizzava principalmente la sua attenzione sul peso che ha sulla società la crisi economica, appunto, che stiamo attraversando. Un punto che vorrei oggi riprendere e riconsiderare è come e se la crisi, la perdita di lavoro e l’instabilità economica dei singoli possa aumentare il rischio di suicidio, dato che recentemente, diversi sono stati i casi in cui il suicidio è stato attribuito alla perdita di lavoro o ancor più alle difficoltà economiche.

Abbiamo letto e ascoltato dai vari videogiornali storie di crisi individuali, casi di imprenditori disperati e schiacciati dai debiti e dalla improduttività, episodi di suicidi in cui forse l’unica reale e concreta soluzione del momento è apparsa quella di mettere una fine volontaria e scoraggiata al tutto. Può sussistere una relazione diretta tra crisi economica, debiti, disoccupazione e suicidi?

Studi specifici hanno messo in evidenza l’esistenza di un legame tra crisi economica e depressione, che può portare anche a tentativi di suicidio. Un filo diretto in grado di colpire sia le persone a basso reddito sia quelle a reddito medio alto, a causa delle perdite finanziarie. Ma è ovvio che si dovrebbe evitare la conclusione semplicistica che la (sola) perdita del lavoro ha portato al suicidio. Si dovrebbe invece far leva su situazioni precedenti che già mettevano in uno stato di vulnerabilità l’individuo. La maggior parte delle persone che perdono il posto di lavoro non si uccidono ma di fatto tale evento è uno dei fattori di rischio che deve essere tenuto in adeguata considerazione.

Quindi, cosa succede nel profondo di chi vive una crisi economica nell’affrontare la propria quotidianità? Come e dove si trova la “forza” per arrivare a porre fine alla propria vita? Convivere a lungo andare con disoccupazione, indebitamenti e crisi economica conduce ad un dolore psicologico insopportabile. C’è chi riesce, con le proprie risorse, a ridurre e tollerare questo dolore; chi trova la forza, il coraggio e l’umiltà di chiedere aiuto e chi vede nel suicidio non un movimento verso la morte ma un movimento di allontanamento da qualcosa che è sempre lo stesso: emozioni intollerabili, dolore insopportabile o angoscia inaccettabile. Viviamo in tempi duri, in società che mutano continuamente l’assetto sociale, economico, finanziario e di prospettive positive a discapito spesso dei nostri bisogni vitali che non sono solo fisici, ma anche psicologici. Ecco, dunque, che se questi bisogni psicologici vitali non vengono soddisfatti, un individuo può giungere a mettere in discussione la sua vita pur di alleviare il dolore derivante della frustrazione e non soddisfazione di questi bisogni.

Allora, quali soluzioni o quali provvedimenti per contrastare o prevenire tutto ciò? Diverse sono le modalità con cui potrebbe essere minimizzata la relazione tra crisi economi e suicidio. Prima fra tutte quella forse più importante, quella che viene dall’alto di quel pulpito che pare essere origine e causa di tale fenomeno: il governo che potrebbe o dovrebbe adottare misure di politica sociale per creare nuovi posti di lavoro, le prestazioni previdenziali adeguati per i disoccupati, e la fornitura di soluzioni alternative alla rapida entrata nel mercato del lavoro. E se questo pare un’utopia alimentata dalla nostra speranza ultima a morire quantomeno i datori di lavoro dovrebbero essere sensibili all’impatto della perdita di lavoro sulla salute mentale e sul rischio di suicidio. Così come, i sindacati dovrebbero essere sollecitati a compiere il loro dovere di tutela per i membri. Bisognerebbe rinforzare i servizi di salute mentale o creare dei veri e propri centri per la prevenzione del suicidio quando c’è crisi finanziaria piuttosto che sottoporli a tagli drastici, come purtroppo sta adesso accadendo in molti paesi compreso il nostro.

I mass media hanno un ruolo cruciale nella prevenzione. Questi dovrebbero trattare le notizie inerenti il suicidio in modo non melodrammatico ma invece dare messaggi di prevenzione ed incitare a chiedere aiuto. E per ultimo, ma non per importanza, l’attenzione di coloro che circondano un soggetto più “a rischio”, nel poter leggere ed accogliere quei segnali di cambiamento o di allarme e sostenerlo in primo luogo per poi richiedere l’aiuto professionale adeguato (cfr. Maurizio Pompili, M.D., Department of Psychiatry – Sant’Andrea Hospital, Sapienza University of Rome).

Dott.ssa Florinda Bruccoleri Psicologa,
psicooncologa ed esperta in psicologia forense
Per contatti: florinda.bruccoleri@agrigentonotizie.it

Leave a Reply