Se ci sono degli esseri mitologici di cui non ho mai capito la consistenza psicologia, quelli sono gli elfi: dotati di una calma ed di un aplomb che neanche l’ultimo dei lord inglesi possiede, il loro savoir-faire da esseri perpetuamente in pace con loro stessi e con il mondo intero ha sempre alimentato in me un vago spirito da guerrafondaia. Avete presente quel vostro conoscente che riesce a mantenere la calma sempre e comunque, che ha sempre una buona parola per tutti ed un’espressione da beato perennemente stampata in faccia ma che ciò nonostante riesce a generare in voi solo un senso di intolleranza nei suoi confronti? Ecco, a me gli elfi fanno più o meno questo effetto. Per farvela breve se io fossi stata Tolkien li avrei sicuramente eliminati dopo poche pagine sostituendoli magari con gnomi beoni o nani del buon augurio. Il problema è che ascoltando l’ultimo lavoro dei sigur ros è impossibile non immaginarsi vaste tundre o luoghi incantati in cui gli elfi la fanno da padrona. Sì lo so, gli elfi nelle tundre probabilmente non ci starebbero mai ma nel mio di immaginario sono lì che si congelano nella speranza che la glaciazione li faccia in qualche modo estinguere.
Dopo tutto analizzare ed ascoltare razionalmente un disco dei sigur ros è un atto che a chiunque dovrebbe essere vietato quindi facciamo così: per i prossimi cinquantaquattro minuti mi tengo gli elfi, le foreste, il buio, le tundre, i laghi ed i luoghi incantati e mi lascio cullare dall’estremismo soave della voce di Jonsi. Cosa non si fa per la musica. Giunto a tre anni di distanza dal precedente “Með Suð � Eyrum Við Spilum Endalaust� (sia lodato Google!), “Valtari� è il sesto album della band islandese e, per la cronaca, se tra voi c’è qualcuno che andrà ad assistere al loro live il prossimo settembre a Verona, in questo preciso istante questo qualcuno gode della stessa simpatia che nutro per i nostri amici elfi. Trovarsi di fronte ad un’opera dei Sigur Ros è sempre un’impresa di non facile conto: bisogna essere emotivamente preparati all’impatto sonoro della band e psicologicamente pronti ai miagolii di Jonsi, bisogna essere soli (al buio possibilmente) e bisogna anche cercare di lasciare le proprie debolezze fuori dalla porta.
“Ég Andaâ€� apre il disco: immaginate di assistere all’alba più emozionante della vostra vita, seduti su uno scoglio in totale solitudine mentre il mondo inizia a fare il proprio corso lontano da voi. “Ekki Múkkâ€� segue a ruota questa solitudine e non fa altro che incrementarla: forte dei tipici suoni “sigur-rossianiâ€� è il classico brano che lascerà contenti i fan di vecchia data ed annoiati gli inossidabili odiatori della band. O cedi all’adorazione o cedi ai sbadigli, la scelta sta a te. Siamo alla terza traccia, “Varúðâ€� e se finora avete ascoltato quest’album solo come sottofondo musicale a qualche vostra azione, vi pregherei di metterla da parte e dedicare i prossimi sei minuti a voi stessi. Nostalgico e commuovente, si candida a brano migliore dell’intero album e se durante il crescendo non versate neanche una lacrima io credo che voi abbiate qualche problema con voi stessi. Siamo a metà album e la sensazione che questo sia l’ennesimo lavoro compiuto a dovere dalla band continua a persistere, in fondo i Sigur Ros o si amano o si odiano e quando decidi di schierarti dalla prima parte difficilmente riesci a rimanere cinico ed impassibile di fronte al viaggio intimista che i quattro propongono ad ogni loro lavoro.La voce di Jonsi è la protagonista assoluta di “Dauðalognâ€� e qui un solo pensiero mi viene in mente: quest’uomo in realtà è una creatura ultraterrena spacciata per comune mortale ma spero solo che non sia un elfo. “Valtariâ€� e “Fjögur pÃanó" chiudono l’album: entrambi strumentali, accompagnano l’ascoltatore al termine del proprio viaggio intimista lasciandolo fragile ma consapevole della bellezza che solo l’arte più pura riesce a donare. Ci sono album che non pretendono dall’ascoltatore di turno di sfoderare le proprie conoscenze tecniche per colpire a fondo e ci sono album che non pretendono neanche di essere ricordati domani: basta solo che abbiano avuto il loro giusto valore nel momento esatto in cui vengono ascoltati. In questo lavoro non c’è innovazione e non c’è tecnicismo raro, non ci sono parole di circostanza e non ci sono neanche slogan politici.
C’è solo la musica e noi stessi e se vi sembra poco, vi meritate proprio di stare in mezzo agli elfi.
C.M.