Una terza età più …sostenibile
Tostato da Fabio Buffa
Terza età, salute, famiglia, rete di rapporti sociali, economia: tutte parole che in questi ultimi anni hanno visto mutare il filo che le tiene unite da sempre. Una mutazione culturale, socioeconomica, demografica, che ha determinato una maggiore complessità nell’affrontare la vecchiaia, intesa come ultima fase della vita. Ormai diventare anziani significa un sovraccarico psicologico e pratico da parte del diretto interessato e del sistema familiare, in particolare il così detto «caregiver», ovvero chi si occupa di assistere la persona anziana che ha perso in parte o totalmente la propria autosufficienza.
Di tutto questo si è parlato nel convegno dal titolo «L’anziano e la sua famiglia – idee ed azioni per un approccio sistemico alla cura», che si è tenuto giovedì scorso, 17 maggio presso la sala congressi della Provincia di Milano.
Si è cercato di dare una risposta chiara e praticabile su come rendere la condizione dell’anziano la più possibile «sostenibile» da parte della persona stessa e dei propri familiari. Tra gli altri sono intervenuti il professore di psicologia Vittorio Cigoli, il geriatra Antonio Guaita. Poi ancora, Carla Gaddi, Valeria, Fassi Pietro Vigorelli e lo psichiatra di scuola basagliana Camillo Valgimigli, che ha parlato della necessità di rendere più «umane» le case di riposo per anziani. «Purtroppo le strutture che accolgono le persone anziane spesso sono carenti di personale, in quanto, sia quelle totalmente pubbliche, che quelle private o convenzionate, devono sempre più fare i conti con la carenza di denaro,” ha sottolineato Vagimigli, “e quindi appena un anziano entra in struttura troppo spesso gli viene messo subito il catetere e il pannolone, con la somministrazione di farmaci eccessiva. Tutte operazioni che, oltre a aumentare la non autosufficienza della persona, hanno costi elevatissimi, ben oltre l’assumere personale in più, che garantirebbe la dovuta assistenza agli anziani».
Quando la cura della persona anziana non può più avere una risposta a domicilio, molte famiglie sono costrette all’inserimento del parente in struttura: anziani, familiari ed operatori psicologici, socio-assistenziali e sanitari si trovano così a creare un’ampia trama di relazioni in cui sentimenti ed emozioni connotano le azioni dei differenti attori.
Il convegno ha voluto dare una lettura sistemica per aiutare i famigliari e gli operatori a riflettere su quali strumenti e metodi possono valorizzare le potenzialità dell’anziano, preservare il ruolo della famiglia e creare un sistema di cura condivisa.
Per arrivare a ciò è necessaria la piena consapevolezza del valore e delle necessità della «comunicazione» tra le parti: comunicare significa avere una visione la più possibile chiara di quello che è il giusto aiuto e la risposta più opportuna al bisogno dell’anziano.
Un’altra parola chiave è il «rispetto» della persona che si trova in una condizione di non autosufficienza e ragionare con lei circa le soluzioni assistenziali più idonee.
Inoltre occorre considerare la vecchiaia non come una privazione di qualcosa, bensì come una mutazione: solo con questa consapevolezza si potranno strutturare e organizzare le strutture di accoglienza delle persone anziane nel modo più consono alle loro esigenze.
Altro termine chiave è «risorse» del territorio, quindi non solo quelle familiari ma anche quelle eterofamiliari, che siano pubbliche o private, formali od informali non importa. Conoscere ed adoperare le risorse attorno alla persona anziana significa cercare di mantenerla il più possibile nel proprio domicilio, per il bene suo, delle persone che lo circondano e della collettività a livello di spesa pubblica.
Occorre lavorare affinché il futuro ci proponga alternative sempre più varie ed efficaci all’istituzionalizzazione della persona anziana che perde la propria autosufficienza, anche perchè gli studi ci dicono che la società sarà sempre più «anziana».
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