Una storia d’amore e di miseria umana

 

 

BIFORCO dicembre 1943

 

Una storia per non dimenticare

 

BIFORCO maggio 2012


Una settimana intensa quest’ultima per gli studenti  del corso di Psicologia dello Sviluppo della nostra facoltà aretina. Intensa emotivamente. Venerdì scorso, 27 Aprile, si è svolto l’ultimo di una serie di incontri che avevamo organizzato con alcuni Autori aretini alla Libreria Universitaria Leggere. L’incontro era con Enzo Gradassi e con il suo romanzo/documento “Sesto Senso” in cui è narrata la storia drammatica di Aldo, Alda e Bianca Maria Lusena. Una famiglia ebrea in fuga dallo spettro della deportazione e dall’umiliazione del razzismo che trova rifugio in un piccolo paese del Casentino: Biforco.

Fuggono i Lusena, ma è solo illusione di fuga. All’idiozia delle leggi raziali, all’orrore dell’antisemitismo nazista e fascista, al disumano e feroce sterminio, fa da controcanto la miserrima piccolezza umana dell’avidità, dell’invidia, del torpore mentale e dell’insensibilità emotiva. Fuggono dal razzismo per ritrovarsi vittime inconsapevoli del bisogno di riscatto materiale di individui che instillano in Aldo e Alda Lusena la sensazione che il futuro sia già finito mentre si fa sempre più invadente la paura dei rastrellamenti e della morte in un campo di sterminio privati definitivamente della propria dignità di “umani”. È il 17 Dicembre del 1943 quando la famiglia Lusena decide che la morte è senz’altro la scelta migliore; fu in una notte nevosa e fredda che i Lusena decisero che il razzismo non avrebbe tolto loro la dignità di “esistere” come uomini. Enzo Gradassi ci regala quei momenti come un prezioso dono della memoria. Ci restituisce, intatti, i sentimenti di questa straziante storia d’amore e di povertà morale. E ci narra i processi che seguirono a carico dei Ferrone e dei loro complici. Processi per istigazione al suicidio e per furto… e come andrà a finire spero vorrete scoprirlo da soli!

Di questo abbiamo parlato con i miei studenti venerdì scorso, godendoci la compagnia e la voce narrante di Carla Neppi Sadun (nella foto, con i fiori in mano, fra Enzo Gradassi ed Ilaria Gradassi della Libreria Universitaria Leggere), nipote di Aldo Lusena e scampata a sua volta alla deportazione. Ci ha commosso profondamente la sua storia, la sua indignazione, la sua rabbia, la sua voglia di vita. Ha ricordato ai ragazzi che l’ascoltavano emozionati che per ogni ebreo scampato allo sterminio c’è un uomo o una donna che ha deciso di “salvarli”. E ci ha raccontato con passione cosa significa perdere tutto e – a 70 anni di distanza – continuare a sentire nella pelle e nelle orecchie lo sprezzo per la propria appartenenza. Ci ha portato lontano la signora Carla e ci ha spinto nel futuro: ha ricordato che siamo parte di una generazione che è l’ultima a poter ascoltare dalla viva voce dei protagonisti cosa significa l’orrore e che è nostra la staffetta della memoria. A noi corre l’obbligo di “narrare” e di ricordare.

Il nostro viaggio della memoria, però, si è concluso solo ieri, in punta di piedi nell’ultima parte della vita della famiglia Lusena. L’aula universitaria si è trasferita a Biforco, un paese acchiocciolato in un angolo assolato della Valle Santa. Ci hanno accolto degli ospiti straordinari: Fiorella Marruchi, Ugo Ridolfi e il giovane Gabriele Matti che, insieme a Enzo Gradassi, ci hanno fatto vivere nei luoghi e negli spazi che la famiglia Lusena ha abitato nell’ultima parte della sua vita con racconti documentati e con la testimonianza di chi, quei giorni, li ha vissuti in prima persona.

Ci sono angoli che ti trascinano dentro le emozioni, che tu lo voglia o no! La stanza di casa Muti dove furono ritrovati i corpi è forse uno di questi. In quelle mura, in quella mobilia rimasta intatta, c’è ancora tutto il sapore del dramma e dell’amore estremo.

E sei costretto a fermarti a riflettere su un dato: i Lusena non sono morti di morte naturale, non sono morti precocemente per una tragica fatalità. Sono morti per loro stessa mano ed inutilmente. Nessun fascista stava venendo a prenderli quella notte, forse avrebbero passato indenni il pericolo della deportazione fino alla fine della guerra se le loro poche cose ed i loro soldi non avessero fatto perdere il senso del limite ad uno sparuto gruppo di avidi omuncoli.

Sono morti inutili; un inutile spreco di vita per una vergogna che pesa. E pesa anche su di me, mentre andiamo a visitare il cimitero della Pievina, dove i giovani hanno deposto pietre, come vuole la tradizione ebraica, nell’angolo sconsacrato del cimitero dove si suppone siano stati sepolti i corpi dei Lusena.

Pesa quel senso di spreco mentre percorriamo affaticati il “sentiero della paura”… quello che i Lusena calpestavano nel bosco, in pieno inverno, per nascondersi a possibili azioni di rastrellamento.

E pesano ancora di più le parole di Carla Neppi Sadun che chiude il nostro incontro chiedendo di leggere la poesia di Primo Levi (quella riportata a lato della foto) come se fosse una preghiera.

La memoria, il ricordo, la consapevolezza dell’orrore narrato e vissuto è forse l’unica arma per sperare che nessuno più debba sopportare la vergogna di non aver fatto abbastanza.

Grazie a Carla Neppi Sadun perché ci ha regalato la memoria e la sensazione di esserne degni.

A Enzo Gradassi perché è un narratore d’eccezione ed una guida preziosa (e per aver permesso ad una professoressa attempata di realizzare il sogno di suonare le campane).

A chi ieri ci ha ospitato alla sua tavola e ci ha raccontato altre storie, a quegli abitanti di Biforco che ci hanno accolto come ospiti speciali e ci hanno aperto le porte delle loro vite.


 

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