Un materasso che va a vapore – comune

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Laboratori alla Città dei ragazzi di Cosenza

 

di Massimo Celani*

Erano anni in cui studiavo Psicologia all’Università di Roma e pur avendo a che fare con quelli bravi come Mario Bertini, Giovanni Bollea, l’artista/architetto e percettologo Manfredo Massironi, Eraldo De Grada, Ezio Ponzo (quest’ultimo un indimenticabile studioso dell’età evolutiva che proprio in quegli anni pubblicava da Bulzoni “Il bambino semplificato o inesistente”), dell’interpretazione del disegno dei bambini cominciavo ad averne le scatole piene.

Quando Ida Travi nel 1976 diede alle stampe “Un materasso che va a vapore” (edito da La Scimmia Verde, poi ristampato da Tranchida nel 1983), fu una folgorazione. La Travi, rincontrata come raffinata poetessa a distanza di quarant’anni, raccontava una originale esperienza di comunicazione con i bambini della Scuola Materna Comunale di Via Pastrengo a Milano. Lo strambo titolo cifra benissimo di cosa si tratta: tu fai un segno, io un altro, cosa hai tracciato, un cane? No, è un materasso. Si aggiunge il segno del fumo: ecco il materasso che va a vapore. E si continua.

Il disegno è un work in progress, un divenire verbo-visivo che procede tête-à-tête, conversando e segnando su un cartoncino. Certo c’è dell’interpretazione, ma non è frutto – spesso avvelenato – delle striminzite visioni psicologiche del mondo. È quella di un adulto che disegna con un bimbo e che lesto ne riceve il feedback. E più che interpretare traduce, verbo utilizzato non a caso da Charles Sanders Peirce per avanzare la sua difficile teoria della significazione (il processo tramite cui è possibile ricavare significato da un segno), processo centrato su tre elementi: segno, oggetto e interpretante. Ecco, Ida Travi – forse senza saperlo – stava mettendo in scena teorie e prassi della semiosi peirceana, al riparo dallo psicologismo.

Non a caso quel materasso piacque a Elvio Fachinelli, forse il solo psicanalista italiano a godere della stima di Jacques Lacan, che prima ne diede anticipazione su l’Erba Voglio (n.23, 1975), poi scrisse una postfazione al libro.

Tutto ciò mi è tornato in mente pensando alla Città dei Ragazzi di Cosenza. Che è un materasso grandissimo (33.000 mq) e che va lento, a vapore, come il trenino di Silvana Mansio, forse con la stessa discontinuità. Tra climax e anticlimax, tra pendenze e risalite. Il concorso d’idee credo sia del 1995 (venni coinvolto insieme a Marcello Walter Bruno come “esperto” di incomunicazione e castigatore di pedagogismi, dall’architetto Stefano Ascente e da un gruppo di giovanissimi e agguerriti progettisti), la realizzazione resa possibile dai fondi Urban europei, l’inaugurazione del 2002. Ovviamente il progetto esecutivo se lo aggiudicò tutt’altro team, capoprogetto un architetto nelle grazie del sindaco, con la consulenza dello psicologo Francesco Tonucci (quello del Cnr e della città dei bambini) e di Claudio Gubitosi (giovane inventore del Giffoni Festival), con la mano grafica di Segno Associati di Salerno, all’epoca molto à la page. Tante sinapsi per niente, se si pensa alla somiglianza con l’Unical (soprattutto i tubi a vista e il dispendio energetico). Con la variante che quelli che correntemente si chiamerebbero cubi presero il nome di “scrigni”, un omaggio fattoci da chi di Cosenza nulla sapeva salvo il mitologema del re sepolto col suo tesoro. Dopo vent’anni sembra essere tornati allo stesso punto. Si gira in un cerchio, si luppa, ogni tanto si gioca a Monòpoli, qualcuno non passa dal Via. Non era tutto rosa e fiori prima e non lo è oggi. Con la dipendenza dell’ente comunale da quello regionale, con Scopelliti che ad un tratto dirottò altrove un cospicuo finanziamento per il potenziamento la riqualificazione della CdR, finanziamento oggi ricomparso: la politica è piena di Probabilità e di Imprevisti.

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Il materassone a vapore, che comunque ha formato nel corso degli anni operatori capaci, nella sua aperiodicità delle corse ogni tanto riparte. Con l’intrattenimento estivo, coi laboratori per le scuole, con il semplice doposcuola pomeridiano, con l’English for kids, col laboratorio di realtà aumentata, di fisica e ludoscienza, con una discoteca protetta, col recente seminario col ludomastro Carlo Carzan, è appena iniziato un corso di writing e graffiti (Street Art School Cosenza).

E ad aprile con il B-Book festival, “un mondo di arte e letteratura per bambini e ragazzi”. Il team che ne gestisce temporaneamente le attività ha voluto coinvolgere come direttori artistici due giovanissimi ma già navigati: l’illustratrice Jole Savino e Michele D’Ignazio, astro nascente della letteratura per ragazzi.

Ad animare la prima edizione ci saranno – tra gli altri – Daniela Palumbo, affermata autrice di “Le Valigie di Auschwitz” e Giorgio Scaramuzzino (autore, attore e regista che ha lavorato con Altan e che tra l’altro è la voce degli audiolibri di Harry Potter e di Armando, il “Papà” della Pimpa).

Il nome B-Book racconta uno scivolamento (da e-book) e un auspicio: che anche dalle nostre parti si arrivi a varare una collana di e-book per baby e boys ( girls). Il segmento del libro per ragazzi tira, quello degli e-book è interessante, anche se di recente registra una battuta d’arresto. La Città dei Ragazzi è una struttura di cui Cosenza può essere orgogliosa. Sono infatti poche le città che possono vantare strutture dedicate ai bambini di questa grandezza e importanza. La cremagliera degli enti comunali (al plurale, non è solo il capoluogo, l’utenza riguarda tutta l’area urbana), il sostegno in scala sovracomunale non guasterebbe. Sarebbe segno di un atto di consapevolezza e di civiltà. Stiamo a vedere se il materassone della Città dei Ragazzi, anche sganciata dalla fune di sicurezza, saprà trasformarsi in hovercraft.

 

* Docente presso l’Università della Calabria. Molti dei suoi articoli sono leggibili su questo blog. Tra i suoi libri Vendere paesaggi. Poesia e pubblicità (Librare).

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