Ugo Morelli protagonista dell’ultimo salotto letterario

di Delia Lorenzi

Ultimo appuntamento per il Salotto letterario di Comano che oggi alle 17 ospita Ugo Morelli con il suo ultimo lavoro “Erba Cedra e segreti amori” (Zandonai, editore). Titolo e argomento decisamente inconsueto per un autore che, da trent’anni, approda in libreria con testi e saggi su argomenti inerenti i suoi studi e ricerche. Morelli, studioso e docente di Psicologia della creatività e dell’innovazione, oltrecchè di Psicologia del lavoro e organizzazione presso le Università di Venezia e Bergamo, con questo suo libro rivela, più che mai, sé stesso in una sorta di autobiografia intensa sull’Irpinia, sua terra di nascita. Non aspettatevi però i canoni propri dell’autobiografia, tutt’altro. Non sono racconti, non è un romanzo, sono “immagini”, “colori”, “profumi” e “suoni” di un mondo che c’è ma non vuol essere visto o, forse, che c’era e si è dissolto insieme alla memoria di chi è rimasto a guardare muto. Un mondo che trabocca di vita e, allo stesso tempo, “spiaggiato” dall’irresponsabilità, resta, immobile, a lasciarsi morire.

Quelle di “Erba cedra e segreti amori”, sono pagine che riempiono gli occhi, l’anima e il cuore con la forza prorompente della passione. Morelli, forte dell’esperienza dei tanti saggi con cui ha anteposto scienza a narrativa, solleva il “suo” sipario con sapienza, spalanca lo sguardo su una terra strepitosa e calda, disperata e sfruttata, seviziata e svenduta, scossa nelle viscere da terremoti che han fatto man bassa persin della memoria degli Irpini. Fluida l’immaginazione corre a dipingere un paesaggio culturale dove la forza di autodeterminazione di una donna, Giovannina, con la sola arma a cui l’uomo mai rinuncerebbe, spacca le “regole” di un Sud martoriato di immobilità e contraddizioni. E’ lei a diventare icona di vita, è il suo profumo di donna dispensatrice d’amore e di sesso a sapersi amalgamare con la miseria contadina del dopoguerra. Sue le urla mute della ribellione, di fronte ai potenti cafoni o ai “belli” vestiti di semplice ignoranza. E’ lei il centro di quella terra che esalta la bellezza ma ne ha paura, che ne cancella le tracce per non disturbarsi a guardarla. Nasce lì Morelli, in quella terra tormentata di bellezza. E’ l’Irpinia ad avergli trasferito questo “supplizio”e non basta il titolo di un suo fortunato saggio, “Mente e Bellezza”, a con-tenere un’ “ossessione” che lo scuote dentro fino a dipingere, col pennello della levità dolce di malinconia, quel raro sapere antico di un mondo che sta sull’orlo dell’oblio.

“Ci vogliono l’inquietudine e il tormento della musica, quella vera, per accogliere gli strati più densi dell’infinito, dove le parole non servono a niente. Bisogna vivere alla frontiera di quello che siamo capaci di cercare e voi non cercate niente, maltrattate gli strumenti e ammorbate la sera”, è il revuoto di Olimpio (il musicista raffinato che tutti considerano matto), in risposta all’assessore e al chiacchiericcio dei suoi adulatori nel giorno dell’inaugurazione della strada nuova.

Termini dialettali come apprucundìa, ‘nfanfaluto, accocchiare, sponneva o imbrillocato, evocano mondi dimenticati, forse, dagli stessi Irpini. La loro forza evocativa, comunque, non sfugge al lettore di qualsiasi latitudine.

Ugo Morelli non si smentisce: abituato a cogliere le sfide anche su crinali pericolosi, a tratti dipana la narrazione con un io narrante femminile e - non pago - decide per l’impresa più ardua: raccontare il sesso, passionale e carnale, desiderato e non declamato, sospirato o quasi soffocato dentro una faticosa attesa. Quasi sempre “illegale”, segreto, appunto. Un sesso che diventa complicità e resistenza ai ruoli e alle vite ma, anche, necessaria sopravvivenza in un mondo povero di ambizioni e conoscenza.

Si alternano, nella narrazione di Morelli, sguardi lunghi su un passato che non ha saputo far tesoro della sua ricchezza, e piccoli pertugi su un futuro asfissiato da un presente che non ha ancora trasformato la vergogna in orgoglio. Perché la vergogna, “che è già una rivoluzione” scriveva “un tale” di nome Karl Marx, condanna il passato e inizia il cammino verso un futuro più degno. E chissà che “l’erba cedra che cresceva tra le pietre dei muri intorno ai pozzi”, divenuta ormai secca, non torni a rivivere alimentata dall’acqua fresca e gorgoliante.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Leave a Reply