TSO per l’anoressia: una valida proposta di Legge?

«Non è importante tanto il fatto che in futuro ci siano o meno manicomi e cliniche chiuse, è importante che noi adesso abbiamo provato che si può fare diversamente, ora sappiamo che c'è un altro modo di affrontare la questione; anche senza la costrizione.»

(Franco Basaglia)

Alla Camera dei Deputati di palazzo Montecitorio lo scorso 19 maggio 2015 è stata presentata la proposta di Legge in materia di “accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori per la cura di gravi disturbi del comportamento alimentare” da parte dell’On.le Sara Moretto.

La proposta anche per la diffusione mediatica successiva, come si sarebbe potuto immaginare data la delicatezza dei temi trattati, è rapidamente balzata all’attenzione di opinionisti e esperti di settore.

Il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) oggi

Il TSO in Italia sostituisce le precedenti norme sul “ricovero coatto” (1904) e viene istituito con famosa “Legge Basaglia” (legge n. 180, “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”) promulgata nel 1978, che prevedeva la chiusura degli ospedali psichiatrici e il decentramento territoriale delle cure attraverso i Dipartimenti di Salute Mentale (DSM). La regolamentazione del TSO, così come è oggi, si deve invece alla Legge n. 833 dello stesso anno, che istituiva al contempo i Servizi Sanitari Nazionali

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L’apparato legislativo del Trattamento Sanitario Obbligatorio è stato pensato per i casi in cui la volontà di cura del soggetto, tutelata in prima istanza dalla stessa Legge (“Gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono volontari” L. 180 art.1) viene in qualche modo a mancare.

Occorre far notare preliminarmente che la disciplina del TSO non riguarda solo le cure psichiatriche, ma qualunque causa sanitaria anche di natura non psichiatrica. Il Trattamento sanitario obbligatorio per pazienti psichiatrici (c.d. “malati mentali”), è nei fatti solo una specifica possibilità offerta dalla Legge e prevede nella sua procedura la “proposta motivata di un medico, convalida della proposta da parte di un medico della unità sanitaria locale, entro 48 ore dalla convalida provvedimento disposto dal sindaco, da notificare entro 48 ore al giudice tutelare, il quale, entro le successive 48 ore, provvede con decreto motivato a convalidare o meno il provvedimento.” (L. 180 art. 2).

Gravità clinica, rifiuto del trattamento e urgenza come criteri costitutivi della Legge che norma i TSO, devono dunque essere finalizzati alla tutela della salute e della sicurezza del paziente e non più, come nella disciplina del “ricovero coatto” a garantire una generica “incolumità pubblica”. In tal modo la norma si assicura, nella sua ispirazione, che le misure di contenimento non siano più suggerite da necessità terze, ma esclusivamente rivolte a garantire i bisogni del soggetto sofferente.

La proposta di legge “Moretto”

Nelle intenzioni del proponente, con questa proposta di Legge, vi è l’evidente volontà di colmare alcuni spazi di discrezionalità che l’attuale legislazione in materia di “Trattamento Sanitario Obbligatorio” lascia alla valutazione clinica dell’autorità sanitaria richiedente. La proposta di modifica alla vigente normativa (articolo 34 della legge 23 dicembre 1978, n.833) prevede, infatti, che “Limitatamente ai casi di disturbi del comportamento alimentare, il ricovero conseguente a trattamento sanitario obbligatorio di cui all’art. 34 può essere attuato per far fronte a necessità urgenti di trattamenti salvavita che il paziente, a causa della patologia psichica, rifiuta. Il trattamento sanitario obbligatorio, anche finalizzato al trattamento delle complicanze organiche o del rifiuto a nutrirsi (..)”.

Per la prima volta sarebbe specificata, infatti, una categoria psicopatologica “disturbi del comportamento alimentare” per la quale nella previsione legislativa vi sarebbe l’introduzione dell’obbligo di TSO come “salvavita”, includendo al contempo l’obbligatorietà della nutrizione forzata (nutrizione meccanica).

Dichiara a proposito l’On.le Moretto(1): «Molte persone affette da DCA rifiutano, stabilmente o periodicamente, i trattamenti. In modo particolare vi è spesso un rifiuto dei trattamenti nutrizionali anche quando essi rivestono caratteristiche di cure salva vita».

Considerazioni, critiche e osservazioni

I DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare) sono catalogate dal DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) tra i disturbi psichiatrici. Anoressia, bulimia, binge-eating, sono alcune delle forme più comuni con le quali si possono manifestare questi disturbi che colpiscono fasce di popolazione sempre più ampie specialmente tra i giovani. A differenza di ogni altra patologia psichiatrica, i DCA come esito diretto, possono condurre a numerose compromissioni organiche di carattere medico del corpo e anche alla morte del soggetto che nella maggior parte dei casi avviene per arresto cardiaco o per suicidio. Si tratta della prima causa di morte per malattia mentale nei paesi occidentali(4)

Quando parliamo di anoressia e bulimia o più in generale di DCA, ci riferiamo a patologie estremamente complesse, la cui eziopatogenesi è solitamente multifattoriale, ossia causata da un numero di variabili così fitto che non è quasi mai possibile enucleare una sola causa per l’origine e il mantenimento dei disturbi, che a seconda dei punti di vista e delle prospettive scientifiche possono riferirsi sia a caratteristiche psicologiche individuali, a traumi o abusi subiti, al sistema familiare, sino addirittura al sistema sociale.

Si deve anche ricordare che quando ci riferiamo a disturbi psichiatrici non si possono adottare le identiche categorie logiche utili per la medicina nel suo complesso. Il concetto di “malattia psichiatrica” è infatti differente da quello di malattia in senso strettamente medico o “malattia organica”: tant’è vero che lo stesso DSM li chiama “disturbi” psichiatrici e non “malattie” psichiatriche. Ciò vale specialmente per disturbi come le anoressie e le bulimie, quasi sempre accompagnati da altri disturbi psicologici: depressioni, disturbi d’ansia, disturbi di personalità.

In questa proposta di legge, infatti, manca il riferimento alla diagnosi, che è e resta un problema non secondario – tutt’oggi non adeguatamente risolto – per la clinica dei DCA. Chi pone la diagnosi? Secondo quali parametri? Sono sufficienti le categorie diagnostiche del solo DSM avulse da qualunque approfondimento differenziale? Sono in grado i medici di base e i pediatri di porre questo tipo di diagnosi? Che differenza c’è tra un’anoressia su base nevrotica e una su base psicotica del soggetto? Quali sono le differenze di prognosi e trattamento in questi casi?

Fabiola De Clercq, Presidente di ABA (Associazione per lo Studio e la Ricerca su anoressia, bulimia, obesità e disturbi alimentari) ha espresso le proprie preoccupazioni a nome dell’equipe scientifica di ABA, in una recente intervista(5) : «Che cosa potrebbe capitare se una famiglia con una figlia che non vuole mangiare si rivolgesse al sindaco del paese, magari un amico, per fargli firmare la richiesta di TSO? Anche perché molto spesso i veri pazienti sono i genitori. Anche loro devono seguire una terapia. E un sondino può essere perfino pericoloso». L’ABA da oltre venti anni svolge attività di ricerca, prevenzione e cura nell’ambito dei disturbi del comportamento alimentare e delle dipendenze patologiche e la sua equipe è formata da medici e psicologi altamente professionalizzati, che nei casi più gravi, sono già preparati anche a indirizzare il soggetto verso le principali strutture pubbliche affinché possa rimettersi nelle condizioni fisiche adeguate a poter affrontare successivamente un percorso di cura che si basa essenzialmente sulla psicoterapia e il coinvolgimento della famiglia.

Riccardo dalle Grave, medico psicoterapeuta presidente di ADA (Associazione Disturbi Alimentari) ha contribuito al dibattito con un intervento particolarmente strutturato che intende fare il punto sulla ricerca empirica del TSO nel trattamento dei DCA. Le conclusioni di questa pubblicazione(6) del Dr. Dalle Grave e della dott.ssa Simona Calugi, non evidenziano la sussistenza di prove circa l’efficacia del TSO come “salva vita” in caso di DCA. Il TSO in pratica non risulta salvare alcuna vita in caso di DCA, almeno non più delle tradizionali terapie. Se da una disamina della letteratura esistente cade l’unica ragione tecnica della proposta (procedura “salva vita”) effettuata dall’On.le Moretto, che necessità c’è di questa Legge? 

Conclusioni

L’evidenza della non ridotta mortalità per mezzo del TSO nei casi di DCA (argomentato dal Dr. Dalle Grave) per quanto importante, non è però a mio avviso l’unico aspetto che può orientare il dibattito su temi come quello dell’opportunità di TSO per l’anoressia. Al di là delle prove di efficacia, rimangono irrisolte gravi implicazioni di natura etica, che non possono essere avulse al dibattito scientifico. Quando si parla di argomenti sensibili come la privazione dei diritti fondamentali, la ragione tecnica o l’efficienza non possono e non devono essere l’unico parametro di riferimento.

L’elettroshock (“terapia” elettroconvulsivante) si è dimostrato efficace in alcune forme gravi e particolarmente resistenti di depressione, ma a molti questo continua a non sembrare un valido motivo per sottoporre le persone questa pratica. Utilizzare forme di coercizione fisica sui bambini affetti da ADHD li rende spesso abbastanza docili nell’immediato, ma questa modalità così “efficace” rimane pur sempre sempre un abuso e una violenza.

TSO e nutrizione forzata possono diventare, se legate da una ferrea logica causale ad una data condizione patologica, un abuso e una violenza: questo è il punto chiave.

L’utilizzo del TSO nelle forme di anoressia più estreme è peraltro già contemplato dalla vigente normativa ed è già utilizzato.

Ricordiamo oltretutto che il soggetto con grave anoressia per il quale si dispone un TSO, è già in una fase molto avanzata della patologia, avremmo necessità piuttosto di capire in quali modi si possa arrivare sempre meno sino a queste condizioni. Dovremmo dunque chiederci in che modo poter ridurre al minimo indispensabile il ricorso al TSO nei casi di anoressia e questo dovrebbe, al contrario, essere attuato solo dopo che tutte le strade sono state davvero percorse, non ultima quella di un profondo coinvolgimento della famiglia nelle cure e nella terapia. 

L’On.le Moretto ha dichiarato: «Rendiamo obbligatorio il TSO, per salvare da morte certa chi rifiuta un aiuto» (7); si è però visto che sia dal punto di vista tecnico che in una prospettiva clinica, etica e legislativa, non sembra che la soluzione così come ipotizzata, possa in alcun modo incidere favorevolmente sulla cura dei disturbi del comportamento alimentare, né tantomeno configurarsi come utile strumento per salvare da morte certa un paziente. Attualmente, infatti, il TSO non solo può già essere attivato in casi estremi, ma resta comunque la mancanza di evidenze empiriche circa la migliorata sopravvivenza dei soggetti con DCA sottoposti a questi trattamenti.

A chi servirebbe, dunque, una misura come il TSO specifico per l’anoressia se non è utile al paziente? Nei casi in cui la famiglia non riesca o non abbia la volontà di affrontare un disagio psicologico esistente al suo interno che frantumando l'equilibrio familiare, si preferisce rimuovere o estinguere attraverso l’occultamento, o la contenzione, non diverrebbe oltretutto questo un ulteriore possibile strumento di emarginazione?

È possibile che nell’ideazione e formulazione di questa proposta di Legge non si sia dato il giusto spazio alle riflessioni di carattere clinico e scientifico. Sembra infatti, che sia gli orientamenti psicodinamici e relazionali che quelli cognitivo-comportamentali, seppur da prospettive differenti, siano entrambi giunti alle medesime conclusioni circa l’inadeguatezza di questo progetto.

La politica può, altresì, fare moltissimo per la lotta ai DCA e incentrare i propri sforzi negli investimenti in prevenzione, attraverso la formazione e preparazione del personale sanitario oltre che di tutti i soggetti istituzionali che possono incidere sulla prevenzione di anoressie e bulimie: famiglie e genitori, insegnanti, pediatri, istruttori di ginnastica.

 

Riferimenti

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