Travaglio ‘giudice’ di Lucio Magri. Lo psicologo: pensa di avere …

Finalmente Marco Travaglio viene allo scoperto. Qualche sospetto sulla sua psicologia lo avevo avuto. Troppo sicuro nel modo talvolta tagliente, talora umoristico, spesso spietato con cui tratta le malefatte degli uomini di potere.

Ora lo sappiamo. Si considera il nostro giudice e non risparmia neanche i deboli; sa, codice alla mano, ciò che è buono e ciò che non è buono. Lo fa con aria saccente, da primo della classe che ha studiato da credente e da laico. Si siede sulla sua pila di codici e ci spiega un sacco di cose.

Ma il suo tono diventa veramente greve, irritante, quando si mette a parlare di cose che probabilmente non conosce. Non intendo i gravi problemi di coscienza che la sofferenza delle persone crea nei medici, imponendo loro riflessioni e discussioni nella quotidianità della loro etica clinica. No, Travaglio dimostra di non avere sufficiente spazio nel suo archivio per i problemi umani, che davvero non possono essere trattati come i casi di corruzione o di inciviltà politica.

Il modo con cui esordisce nel suo pezzo e le parole che usa sono il primo chiaro segnale, i tre squilli di tromba che annunciano la carica della polizia. Dopo sono manganellate. Vi avevo avvisato. Dice che non vuole giudicare, ma cosa crede di fare quando definisce "festicciola" la riunione degli amici di Lucio Magri. Non si accorge che sta svilendo un loro diritto di organizzare come credono il loro ineffabile dolore?

Assolto il compito di gettare nel ridicolo qualcosa di umano, troppo umano, passa al suo campo preferito. Lezioni di codice.
Tutti sappiamo cos'è l'omicidio del consenziente. Qualcuno che chiede a qualcun altro, con il quale ha un rapporto di fiducia e di amicizia, di risparmiargli l'oltraggio di una morte violenta.

Lo sa Travaglio cosa provano molti giovani medici quando sono chiamati a raccogliere i resti umani di qualcuno che in preda alla disperazione, nella più totale solitudine, ha deciso di finire la propria vita gettandosi dall'alto?
Grazie, comunque, grazie di cuore, per la generosità con la quale riconosce ad ognuno la libertà di metter fine alla propria vita. Basta che lo faccia da solo. Perché il medico salva, non uccide. Che belle parole.
Cosa vuol dire salvare? Vuol dire ascoltare, dare sostegno, cercare una soluzione quando il dolore dell'anima, della cultura non trovano rimedio nei pochi farmaci che abbiamo, quando la fatica  di vivere si fa intollerabile.

In un romanzo di Philip Roth, "Il fantasma esce di scena", l'amico irlandese del protagonista organizza perfettamente il suo suicidio. Fa in modo che coincida con il matrimonio dell'ultima figlia. Prima delle nozze, quando tutti i parenti sono arrivati in America dalla lontana Irlanda, si ricovera per un controllo di cui conosce l'esito. Ha un tumore alla prostata. L'infermiera gli offre un tavor per garantirgli una notte di riposo. Lui accetta sorridente. Appena uscita l'infermiera apre la sua borsetta e ne trae una bella manciata di tavor che ha prudentemente messo da parte. Ma che bravo, direbbe Travaglio. E' così che si fa.

E che dire del fatto che molti di noi non sono medici e quindi non possono fare da soli. Zenone, medico e filosofo, dopo aver girato inutilmente per tutta la cella, in cui alla fine il potere è riuscito a rinchiuderlo, alla ricerca di una soluzione che non riesce più a trovare, sa come fare per interrompere una vita che non ha più significato. Ce lo racconta M. Yourcenar nell'"Opera al nero".

"Nel corridoio risuonarono passi precipitosi: era il carceriere che aveva notato sul pavimento una chiazza nerastra. Un momento prima il terrore avrebbe afferrato l'agonizzante all'idea di essere ripreso e costretto a vivere e a morire qualche ora di più. Ma l'angoscia era cessata: era libero; l'uomo che veniva verso di lui poteva essere solo un amico."

Ecco Travaglio, ci sono situazioni nelle quali il codice non può nulla. Sono situazioni che riguardano i sentimenti, la libertà, la compassione, l'amicizia.

Non credo siano situazioni facili, come tutte quelle che mettono in dissonanza le emozioni. Ma non possono essere svilite o banalizzate con osservazioni superficiali da azzeccagarbugli.

La comunanza del destino, l'immedesimazione con la sofferenza dell'altro, l'intimità del dolore non richiedono che il suicidio assistito sia passato dal Servizio Sanitario Nazionale. Non siamo diventati tutti matti. La libertà di coscienza che permette, dopo molte riflessioni e discussioni, di non lasciare solo un uomo di fronte alla disperazione che lo conduce ad uccidere il proprio corpo, perché la sua mente non gli concede nessuna possibilità di sperare, richiede solo rispetto e silenzio. In attesa che molti altri diritti vengano rispettati, almeno si lasci ad ognuno la possibilità di non trovarsi solo di fronte a scelte nelle quali la presenza di un altro essere umano può aiutare a cambiare o a rinviare decisioni terribilmente definitive.
Come per molte altre situazioni, caro Travaglio, insieme è sempre meglio che da soli.

Di Renato Palma
 

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