Ti combatto… con malizia!

Gli psicologi hanno definito “aggressività indiretta” la forma attraverso la quale le donne entrano in conflitto. Si tratta di comportamenti verbali e non, capaci di distruggere la reputazione della vittima, come il pettegolezzo e l’ostracismo, armi utilizzate per condurre il nemico in modo lento e poco visibile all’esclusione sociale e al malessere psicologico. A differenza della violenza maschile, che risulta visibile, spettacolare e spesso spietata, quella femminile è nascosta, strategica, ambigua nonostante possa arrivare a essere altrettanto pericolosa e temibile. Da un punto di vista culturale e storico, l’aggressività umana è identificata nel maschio, che detiene il primato della forza fisica, del dominio e del conflitto. La competizione femminile è ancor meno accettata dalla società rispetto a quella maschile (per esempio, se all’uscita di un bar avviene una rissa ci aspettiamo che essa avvenga tra uomini, ma non tra donne), per questo è soprattutto nascosta e si rivela attraverso attacchi laterali che utilizzano modalità verbali e strategie relazionali. Le donne, inoltre, per natura e cultura, hanno solitamente buone capacità relazionali e comunicative che possono utilizzare per raggiungere i propri obiettivi, siano essi di unione e aiuto reciproco oppure di svalutazione e subordinazione.

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