Tennis e psicologia: quanto conta la tensione per un giocatore?

Scendere in campo e giocare una partita non è sempre cosa facile da un punto di vista emotivo perchè il nervosismo e la tensione possono farsi sentire in determinate situazioni, specie in eventi tennistici importanti.

Ci sono momenti prima o durante il match in cui è necessario fronteggiare degli stati di tensione, consci o inconsci. Una situazione delicata da affrontare, nella quale si è consapevoli dei propri ostacoli, è il tie-break, ad esempio.
Nel tie-break perdere il servizio o vanificare eventuali occasioni offerte dall’avversario possono costare caro in quanto la posta in palio è un set (e non è poco…) ed il punteggio di quel parziale è fondamentale per l’economia del match.
In altre parole, è il tie-break a decretare se sarà uno dei due giocatori a perdere il set o l’incontro. E’ proprio per questo motivo che bisogna fare quello sforzo emotivo in più per provare a vincerlo. A differenza dei set che hanno una storia a sè in quanto si possono sempre capovolgere in proprio favore anche se si è sotto nel punteggio, nel tie-break il contesto è diverso. E’ il momento topico per eccellenza nel quale non ci sono molte alternative se non vincerlo o perderlo per cercare di confermare il set in proprio favore.

AngryMurray

Un’altra situazione potenzialmente delicata è rappresentata da un punto importante che potrebbe far pendere l’andamento del match in favore di uno dei due giocatori; ad esempio, una palla break in situazione di parità è fondamentale tanto per il giocatore al servizio quanto per quello in risposta ed è motivo di maggiore concentrazione per entrambi; è il momento di cogliere l’attimo perchè si è consapevoli che, qualora il giocatore in risposta strappi il servizio all’avversario, andrebbe a servire per prendere il largo nel set o addirittura nel match (aspetto positivo); nel caso in cui, però, egli non riesca a sfruttare il vantaggio o la palla break, rischierebbe di vanificare tutto allungando, così, la partita (aspetto negativo).

Prolungare la partita (non riuscire a vincerla malgrado il vantaggio) è un aspetto negativo nel gioco del tennis perchè sfavorisce il giocatore che ha avuto le chance di vincere il set, se non addirittura l’incontro ma che, a suo malgrado, non è riuscito a sfruttare. E’ una questione mentale, quasi come se si trattasse di un contraccolpo subito dal rientro in carreggiata da parte dell’avversario.

Nel tennis, non esser in grado di chiudere una partita alla propria portata, vuoi per calo fisiologico, vuoi per mancanza di grinta e concentrazione, vuol dire rimetterla in discussione e spesso può comportare una sconfitta cocente. E’ come una trappola, un blocco che cresce in proporzione agli errori commessi e, parallelamente, ai punti dell’avversario, il quale, a sua volta, acquista fiducia e rientra in partita.

Durante un incontro capita che, all’improvviso, si incappi ripetutamente nell’errore o si commettano ingenuità che in precedenza non si sarebbero mai compiute, i cosiddetti “blackout”.
Lo sport con la racchetta, da questo punto di vista, può essere molto crudele perchè quando si pensa di avere in pugno l’incontro solo perchè si è avanti nel punteggio, si possono vanificare tutti gli sforzi prodotti fino a perdere la partita, a causa di una mancanza di concentrazione, anche momentanea.

Oltre ai cali di concentrazione che si verificano, in particolar modo, nella psiche dei giocatori discontinui, le variabili a sfavore che subentrano sono molteplici: innanzitutto, la sopravvalutazione e la sottovalutazione dell’avversario.
Nel tennis, come in qualsiasi altro sport, non esiste errore più grave che partire prevenuti sulle condizioni di gioco, sulla superficie e sull’avversario.

Sopravvalutare l’avversario comporta maggiore insicurezza, un tennis difensivo, più remissivo. Si ha paura di affrontarlo per delle doti che pensiamo egli abbia ma che in realtà non ha o che comunque sono vulnerabili; sottovalutarlo, al contrario, vuol dire giocare con la presunzione di vincere, difetto che accomuna i giocatori che credono eccessivamente in loro stessi senza rendersi conto che hanno qualcuno da battere di fronte a sè.

Altre variabili che incidono negativamente sul rendimento sono la stanchezza fisica e mentale.
La stanchezza può essere causata dalle ore di sonno arretrate, da un’alimentazione scorretta o insufficiente, da quanto si è allenati, dal numero di partite giocate prima di scendere in campo. Sono tutti una serie di fattori che hanno un impatto notevole se non decisivo sul rendimento dell’atleta.

Tra gli ultimi fattori, non tra i meno importanti, c’è il “braccino”, un difetto piuttosto diffuso che accomuna i giocatori inesperti e poco allenati. Avere paura di osare nei momenti in cui è necessario, può determinare in un’altra direzione l’andamento dell’incontro.
La differenza tra un giocatore inesperto e uno esperto risiede proprio nella capacità di gestire i momenti chiave di una partita, osare nei momenti giusti ed essere più conservativi in altri.

A differenza dei giocatori mediocri, infatti, i campioni trasformano il negativo in positivo, non si lasciano impensierire dai dettagli, nè tantomeno da eventuali scuse (come può essere il vento, la palla non chiamata, il pubblico rumoroso ecc.) ma lottano game dopo game, punto dopo punto.
Al campione non basta vincere partite su partite e collezionare trofei; egli deve essere sempre pronto e disposto a contrastare efficacemente tutte le difficoltà che la vita pone davanti a sè: i giudizi, gli insulti, le critiche della gente, i cambi di allenatore, gli infortuni, le insicurezze.

In merito alla componente psicologica nel tennis, numerose sono le citazioni dei grandi di questo sport:
Il tennis è complicato, imprevedibile, magari piove e ti rimandano il match. Non è solo correre e colpire. È strategia, testa. E non c’è droga per migliorare l’intelligenza” (Boris Becker) ;
Il 1989, dal momento in cui ho vinto il Roland Garros, è stato l’anno più duro della mia vita. Ho scoperto che vincere nel tennis non porta gioia, porta pressione” (Michael Chang) ;
Nel tennis ti trovi mille volte indietro, 5-4, 6-5, ma devi lottare, diventare ancor più aggressivo, non avere paura” (Rafael Nadal) ;
Il tennis è mentale per il 50%, fisico per il 45% e tennistico per il 5%” (Juan Carlos Ferrero) ;
Il tennis non è solo una questione fisica, sono due cervelli che si scontrano” (Marat Safin).
Uno dei due cervelli rappresenta la parte razionale mentre l’altra è rappresentata dalla parte emotiva. Allenare e migliorarsi su entrambi i “cervelli” non può che giovare al giocatore in quanto se la parte emotiva prevalesse su quella razionale e cioè se l’ansia dominasse lo scenario, diventerebbe stressante, frustrante e di conseguenza impossibile giocare; al contrario, se quella razionale prevaricasse quella emotiva, probabilmente non saremmo essere umani con i nostri pregi e difetti ma solo macchine da scontro.
Imparare a gestire l’ansia prima o durante una partita è possibile. Se ciò verrà appreso ed applicato, la tensione diminuirà fino a scomparire e contemporaneamente le performance miglioreranno.

Commenti

commenti

Leave a Reply