13 febbraio 2012
Electa, 286 pp., 19,90 euro
Nei venti anni che chiudono il Quattrocento e avviano il Cinquecento, le energie utilizzate fino a quel momento “per padroneggiare il mondo esterno e ‘visibile’ si rivolgono all’interno e all’‘invisibile’, diventano una sonda puntata verso l’inconscio, in un’esplorazione che procederà” fino alla contemporaneità. Lo strumento privilegiato di cui il pensiero occidentale si serve nel suo viaggio secolare verso il profondo è “l’invenzione artistica (in primis, la pittura)”, la quale accompagna e talora anticipa le consapevolezze teoriche che si incarneranno nella psicologia, “asse portante della speculazione sull’uomo elaborata in occidente”. Caroli, che della linea introspettiva dell’arte occidentale ha fatto il suo campo elettivo di indagine, ha scelto come sottotitolo al suo saggio (in una nuova edizione dopo la prima uscita del 1995) “Arte e psicologia da Leonardo a Freud”. Da Leonardo da Vinci e dalla sua teoria dei “moti dell’animo”, passo dopo passo, Caroli ricostruisce la catena ininterrotta che ha fatto del “pensiero fisiognomico” il filo conduttore dell’espressione visiva occidentale. La prima trappola da evitare, avverte l’autore all’inizio del libro, è quella di proiettare a ritroso le teorie lombrosiane, “riducendo un glorioso cammino di idee, che coincide in larga misura con il sapere stesso dell’occidente, a un piccolo mondo di bizzarrie e di determinismi criminologici, che la nostra cultura ha dimostrato insostenibili”. Qui si tratta invece di individuare la peculiarità introspettiva dell’arte occidentale (e insieme “la sua originalità, il suo destino”), che la differenzia da tutte le altre. “Farai le figure in tale atto, il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell’animo; altrimenti la tua arte non sarà laudabile”: il “sereno comandamento” enunciato da Leonardo, padre della moderna fisiognomica, si trova nello stesso “Trattato della Pittura” che contiene al suo punto 105, scrive Caroli, “una formidabile, pregnante prefigurazione del continente sconosciuto che la cultura freudiana, quattro secoli dopo, definirà inconscio”. Sostiene Leonardo: “Quell’anima che regge e governa ciascun corpo si è quella che fa il nostro giudizio innanzi sia il proprio giudizio nostro”: i moti dell’animo precedono lo stato razionale, sembra dire il sommo genio rinascimentale. Dopo di lui ci saranno Giorgione, Lorenzo Lotto, Gerolamo Savoldo. Nel Cinquecento del trionfo della fisiognomica si moltiplicano i trattati, come quelli di Gerolamo Cardano e di Giovan Battista Della Porta, che influenzeranno l’intera cultura europea. Ci saranno poi le riflessioni secentesche di Montaigne, Cartesio e La Rochefoucauld – e l’arte di Fede Galizia, di Annibale Carracci, di Rubens, di Rembrandt, di Velázquez – fino ai “tempi nuovi” del Settecento, con William Hogarth massimo cultore di fisiognomica, e al positivismo ottocentesco. Siamo alle soglie di quel “riconoscimento” della follia già intuito da Leonardo. E’ il tempo in cui Théodore Géricault – che finirà in manicomio – dipinge i suoi “folli” monomaniaci (“rapitore di bambini”, “monomaniaco del comando militare”…); quello in cui Courbet coglie “La Sonnambula” nella sua aura stregata. Da quel momento in poi, da alleata “filosofica” dell’arte, la fisiognomica si depotenzierà in branca della criminologia o dell’antropologia, mentre il suo movente più profondo confluirà nella psicologia e nella psicoanalisi. Il pas à deux di fisiognomica e arte raccontato nel libro di Caroli, anche con l’aiuto di un ricco apparato di immagini, arriva alla dissoluzione: la “Figura umana ai piedi della croce” di Francis Bacon non è che “un cappottaccio afflosciato su se stesso” e “un cappello abbandonato, sul fondo aranciato e agro”: “Il cavaliere occidentale se n’è andato. Non c’è più”.
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