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Stato Islamico: possiamo capire la sua psicologia?

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Nell’ultimo anno il così detto Stato islamico (Is)  si è imposto all’attenzione dei mezzi di comunicazione. Pur trattandosi di un numero limitato di combattenti, stime apparse sui giornali parlano di cinquantamila, è riuscito ad imporsi sul piano mediatico inculcando terrore nei suoi avversari e attrazione da parte di giovani sostenitori. Recentemente la vicenda di tre giovani ragazze partite dall’Occidente per recarsi in questa zona di guerra ha destato scalpore. Soprattutto per noi, è difficile comprendere come una ragazza emancipata, secondo il modello occidentale, possa desiderare di recarsi in una zona ove c’è una guerra e le donne subiscono il potere maschile.

Il primo punto da analizzare è il rapporto fra individualismo e senso di appartenenza a una comunità. In Occidente si è dato, negli ultimi secoli, sempre più risalto all’individuo che risulta essere portatore di desideri propri e che si arroga il diritto di ricercare una sua personale felicità. L’uomo occidentale si sente solo marginalmente facente parte di una comunità religiosa, politica o territoriale e sempre più cittadino di un mondo globale in cui, da solo, deve cercare un suo spazio vitale. Il messaggio dell’ Is è, al contrario, un messaggio indistinto comunitario. E’ vero che c’è un califfo ma, come succede nelle realtà tribali, il capo è parte della massa che per altro appare indistinta e amalgamata. Avere i volti coperti da turbanti esprime plasticamente l’immagine del gruppo indistinto in cui tutti  si sentono facenti parte di un unicum omogeneo. E’ chiaro che, soprattutto in età adolescenziale, il messaggio dell’appartenenza ha un grande fascino. Anche in Occidente gli adolescenti cercano il senso di appartenenza;  a volte in modo fisiologico, vestendosi tutti alla stessa maniera o partecipando allo stesso concerto, e a volte in modo patologico frequentando gli hooligan o bande dedite alle droghe o ad ogni estremismo. La forza attrattiva dello Stato islamico è quella di fornire, in particolare all’adolescente, un punto di riferimento che offre sicurezza rispetto all’incertezza dell’individualismo e alle sfide che l’essere solo di fronte al mondo pone alla nostra vita.

Il secondo punto, che si ricollega al primo, riguarda le dinamiche di gruppo. Secondo il famoso psicoanalista W. Bion ogni individuo, quando viene a far parte di un gruppo, assume  alcuni “assunti di base” che corrispondono a una mentalità, impulsi irrazionali, pensieri e desideri.  Uno degli assunti di base più diffusi è quello di dover lottare contro un nemico. Delegare la complessità della nostra funzione desiderante a un desiderio collettivo che offra uno sfogo al disagio che, eventualmente, sentiamo dentro di noi permette di sentirci improvvisamente in pace con noi stessi. Il senso d’ansia, che prima ci attanagliava, improvvisamente si placa. Lo stesso meccanismo, d’altro canto, lo vediamo  anche nella nostra politica quando gruppi enormi di persone seguono un leader che riesce ad indicare  un avversario, come ad esempio i politici o  gli immigrati, e incanala in questo modo l’ansia collettiva verso un nemico. La dinamica di gruppo dell’ Is si avverte in modo emblematico nelle esecuzioni collettive in cui un “noi indistinto” sgozza un “loro altrettanto indistinto”. La ferocia è espressione e forza del gruppo che, al contrario del singolo, non si fa impietosire e non attua dei distinguo scacciando da sé il senso di colpa che, quindi, singolarmente non viene avvertito.

Il terzo elemento è forse il più subdolo e complesso. La società consumistica si basa sulla necessità che i consumi aumentino sempre. Il famoso Pil deve crescere costantemente per alimentare un processo produttivo verso beni che l’individuo deve desiderare. Ma come imporre a una persona che ha tutto di desiderare e comprare ancora qualcosa? Ponendolo in una condizione esistenziale di sofferenza perenne. Se qualcuno è felice non desidera e non compera. Neanche chi è disperato desidera. Bisogna, quindi, indurre miliardi di persone ad essere insoddisfatte tramite una pubblicità ossessiva e invadente in cui appare che c’è sempre un telefonino più performante del tuo, un’auto ultimo modello che ha qualcosa che la tua non ha, una modella che mostra una magrezza che tu non riuscirai mai a raggiungere. Questa insoddisfazione esistenziale è una componente essenziale del consumismo e pervade la nostra società. Il messaggio basico dello Stato islamico è invece quello della semplicità e della delega del desiderio a qualcosa che ti trascende come può essere l’immagine di Dio e del trionfo di un’idea del mondo. La forza che esprime si manifesta nella possibilità che un singolo, per il bene comune, decida di perdere la propria vita facendo il kamikaze. Di fronte alla mollezza del giovane occidentale che desidera l’iPhone 6, si staglia come un gigante  chi è disposto a mettere a rischio la vita per un bene comune superiore.

Questi tre elementi, che finora ho elencato, da un punto di vista psicoanalitico esprimono la ribellione dell’Es rispetto al Super Io. L’Es, in psicologia, rappresenta un amalgama inconscia di bisogni, desideri, spinte e pulsioni fra cui campeggia quello che Freud descriveva come istinto di morte e cioè il desiderio inconscio di un ritorno allo stato primitivo indifferenziato da cui proveniamo. Il Super-Io, in parte inconscio ma soprattutto cosciente, è quella componente psicologica che ci detta le regole morali e le proibizioni. Lo Stato Islamico libera i suoi militanti dalle proibizioni del Super-Io per permettere di dispiegare le pulsioni basiche dell’Es. Per questo motivo risulta attrattivo verso i giovani adolescenti occidentali.

Naturalmente, accanto a questi elementi psicologici del profondo, vi sono elementi di psicologia più superficiale legati al senso di emarginazione che gruppi di persone, per fede o per motivi economici, possono vivere, alla sensazione di non essere accolti e al sentimento di rifiuto contraccambiato. Non credo, al contrario di ciò che pensano alcuni commentatori,  che la fede religiosa sia importante ma piuttosto risulta un pretesto come successe nel caso di Hitler con gli ebrei.

Le persone occidentali che si arruolano nell’Is non sono, generalmente, malate mentalmente. Possono presentare tratti di personalità problematici. Possiamo ritenere che molti ragazzi avvertano il fascino di un messaggio così truce e netto come quello propagandato dallo Is, soprattutto se li coglie nelle fasi adolescenziali. Se si andasse a leggere su Facebook ciò che scrivono gli adolescenti scopriremmo molti messaggi estremisti e un rapporto di attrazione verso la violenza e la morte. Fortunatamente solo pochi avranno il coraggio o la convinzione per arruolarsi in queste milizie.

In questo scritto non affronto la domanda “cosa fare per contrastare, a livello psicologico, quest’idea del mondo?”. Prima di tutto occorre conoscere per poi poter mettere a punto delle strategie.Vorrei avere dai lettori suggerimenti e considerazioni che possano servire ad elaborare una risposta a questa fondamentale domanda.

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