Stanchi, insonni e senza fame? Forse è depressione

TUMORI/STUDIO

Stanchi, insonni e senza fame?
Forse è depressione

Alcuni sintomi fisici possono essere una spia del disagio psicologico. Quando preoccuparsi e a chi chiedere aiuto

MILANO – Alcuni sintomi fisici, come il senso di stanchezza cronica, l’insonnia e la mancanza d’appetito, possono essere un utile campanello d’allarme per individuare quei malati di tumore che soffrono anche di disagio psicologico e sono a rischio di depressione. I ricercatori britannici del Dipartimento di Studi sul cancro dell’Università di Leicester hanno esaminato le avvisaglie percepite da 279 pazienti oncologici e riportante durante i controlli e hanno scoperto che i segnali fisici (quali, in particolare, problemi di sonno o dormire troppo; sentirsi stanchi o avere poca energia; carenza d’appetito o mangiare troppo; disturbi di concentrazione) sono la spia più precisa di un malessere spesso confinante con la depressione. «Se si sospetta che i sentimenti vissuti (dal paziente in prima persona o da un familiare o amico malato) siano gravi e prolungati nel tempo al punto tale da pensare che si tratti di una sindrome depressiva la prima cosa da fare è parlarne – dice Maria Antonietta Annunziata, responsabile del Servizio di Psicologia al Centro di Riferimento Oncologico di Aviano (Pn) e membro del Consiglio direttivo della Società italiana di psico-oncologia -. Parlarne in famiglia (sia che la situazione sia vissuta dal paziente o che sia notata dai familiari), con gli operatori sanitari di riferimento (infermieri, oncologi o il proprio medico di famiglia) che conoscono gli specialisti più adatti e possono indicare a chi rivolgersi per chiedere aiuto, cioè a uno psico-oncologo, che ha una formazione specifica».

LE SPIE DEL MALESSERE – La diagnosi di tumore è sempre un duro colpo emotivo, spiegano gli esperti, perché si configura come «un’esperienza di perdite»: dello stato di salute e di parti o funzioni importanti del proprio corpo; di ruoli familiari e lavorativi, delle relazioni fino, in alcuni casi, al progetto di vita. Dal punto di vista psicologico, è poi molto importante anche la perdita di «illusioni», quali l’invulnerabilità e l’immortalità. «E le perdite generalmente comportano un vissuto depressivo derivante dal bisogno di introspezione e di raccoglimento che richiede l’elaborazione di quella perdita» precisa Annunziata. Quindi è più che normale, durante la fase di adattamento alla nuova condizione di malati, un periodo di «depressione fisiologica» con sentimenti di tristezza e di abbattimento transitori. Tutt’altra faccenda è se si sospetta una sindrome depressiva vera e propria. Quali sono i segnali che devono destare sospetti? Risponde l’esperta: «Tristezza, pianto, disperazione, perdita o diminuzione di interessi e nel provare piacere; sentimenti di inutilità, di colpa, di inaiutabilità; perdita di speranza o ansia. E ancora: disturbi dell’appetito, del sonno, della sfera sessuale, astenia, dolore, cefalea, perdita di peso (sintomi che richiedono particolare valutazione perché potrebbero essere imputabili alla malattia e ai trattamenti piuttosto che legati alla depressione), ma anche disturbi cognitivi (dell’attenzione, della concentrazione, della memoria)».

CHIEDERE AIUTO DOPO TRE MESI - «Sia ben chiaro però - prosegue la psiconcologa -: se questi sintomi sono passeggeri non c’è nulla da temere. Bisogna preoccuparsi se persistono nel tempo (oltre due o tre mesi dalla diagnosi, dall’intervento o dall’inizio delle terapie) con la stessa intensità. E in ogni caso, le situazioni vanno valutate all’interno delle singole storie personali, dei singoli nuclei familiari e in base al significato, in termini di minaccia o perdita, che la malattia assume per quella persona». Per esempio, la privazione di un organo genitale che compromette la genitorialità per un giovane adulto che non ha ancora realizzato il proprio progetto di famiglia a cui teneva molto può già essere una fonte di preoccupazione anche se i sintomi non sembrano molto intensi.
Secondo gli esperti, la cosa migliore se si è preoccupati per lo stato emotivo in cui il malato si trova, la cosa migliore è parlarne con uno specialista, che possa valutare la sua salute mentale e consigliare la strada da seguire. Quasi in ogni centro oncologico ci sono figure psicologiche a cui infermieri e oncologi fanno solitamente riferimento e che propongono trattamenti di supporto o psicoterapici efficaci.

Vera Martinella
(Fondazione Veronesi)
16 aprile 2012 | 12:15© RIPRODUZIONE RISERVATA

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