… SI PARLA ANCORA DI LUTTO

Lo scorso articolo trattava di un tema oggi molto dibattuto: quello del lutto.
Anche la recente letteratura ha dedicato diverse pagine a un tema, quello della perdita, che non è nuovo nel mondo della psicologia.
A fianco a questo si apre la considerazione a una tipologia di lutto diversa, cui sono stati dati diversi nomi a rappresentanza di aspetti parzialmente differenti.
Mi riferisco a una relazione speciale, quella che lega uno o più familiari a un parente anziano, non più autosufficiente.
Quando interviene una malattia fortemente invalidante, come accade sempre di più con l'avanzare dell'età, la famiglia è chiamata a vivere un processo emotivo complesso: una forma di lutto legata alla perdita di parti identificative del malato, ovvero la sua capacità di relazionarsi, di gestirsi in autonomia, di manifestare affetti ed emozioni adeguate, perda funzioni cognitive essenziali alla vita di tutti i giorni. Questo processo è stato definito “lutto parziale”
Non è un mistero che la popolazione tenda a invecchiare e che i progressi scientifici abbiano favorito l'allungarsi dell'aspettativa di vita.
Attualmente non è certo più l'uscita dal mondo del lavoro a segnalare l'entrata nell'età anziana, quanto l'appartenere a classi di età ulteriormente più avanzate.
In particolare si è iniziato a considerare le specificità della categoria dei “grandi anziani”, una fascia “fragile” della popolazione, talvolta in condizione di totale o parziale mancanza di autonomia, almeno per una funzione essenziale della vita quotidiana e conseguentemente necessitava di assistenza.
L'aiuto arriva, nella maggior parte dei casi dalla famiglia. Da più parti il parente, che si occupa della cura dell'anziano non più autosufficiente, è stato definito “Caregiver” Caregiver: alcuni concetti, come questo peraltro, stanno divenendo molto frequenti nella letteratura contemporanea.
Ho fatto una prova: la parola caregiver inserita in un comune motore di ricerca su internet ha dato origine a 25.000.000 di risultati in 0,08 secondi. Una curiosità: quando ho inserito la parola “anziani” i risultati sono 16.200.000 e in 0,15 secondi.
Sembra quasi che la rete dia più attenzione al “Cargiver” che a coloro che necessitano del loro supporto. Incredibile?
Si, se si considerano i due bisogni, quello di chi le cure le da e di chi le riceve, come indipendenti, non legati tra di loro.
Ma così non pare essere. Anzi si è iniziato a considerare che il rapporto tra di loro concorre al benessere tanto di chi da attenzioni quanto di chi le riceve, nel bene e nel male.
Non è un mistero che quando una persona è nella condizione di dover ricevere aiuto dagli altri si è di fronte a un momento di importanza critica per tutta la famiglia.
Quando il membro della famiglia è una persona anziana entrano però in campo aspetti specifici: la malattia, la disabilità e quel concetto di “lutto parziale” di cui ho già parlato.
Di fronte a questa evenienza, l'intera famiglia si mobilita per affrontare un passaggio evolutivo chiave.
È un passaggio difficile, dove i bisogni, le emozioni e i confini psicologici e relazionali della famiglia stessa si modificano in modo importante, soprattutto quando chi necessita di cure è un genitore.
Allora la malattia diventa un'occasione per ogni membro di fare i conti con la propria vulnerabilità, con il rapporto con il proprio genitore e con la famiglia allargata.
È forse simbolo di questa difficoltà il fatto, per esempio, che di fronte a questa evenienza possano emergere contrasti tra i figli, o tra parenti allargati.
Il quotidiano si scontra con un evento critico familiare, la malattia invalidante dell'anziano, di fronte alla quale le abituali modalità di funzionamento sono inadeguate ed è necessario un nuovo adattamento.
Questo adattamento può esitare sostanzialmente in due modi: una riorganizzazione conseguente a una nuova ed efficace strategia di funzionamento, o al contrario, una disorganizzazione conseguente al fallimento dell'attivazione di nuovi processi adattivi.
In generale una strategia efficace richiede che le risorse siano riallocate, che i compiti e le responsabilità siano distribuiti, che i ruoli e funzioni siano ben definiti.
Prendiamo il caso in cui sia necessaria una nuova convivenza tra figli e genitore non più autosufficiente, potrebbe essere un esempio semplice di quanto sia complesso ma necessario riorganizzarsi per un nucleo familiare.
Finché ciò non accade può esserci l'impressione che le relazioni all'interno della famiglia siano più fragili, che ci sia più distanza tra i membri familiari, che ci sia più spazio per l'incomprensione.
In più si deve considerare che sempre più spesso chi si occupa della cura di un “grande anziano” è un “grande adulto” che deve contemporaneamente fare fronte a compiti di diversa natura. Questo ruolo è frequentemente ricoperto da una donna tra i 50 e i 60 anni e oltre che deve inventare modi sempre nuovi e diversi per agire su più fronti contemporaneamente e spesso in conflitto: figlia che si occupa dei genitori, moglie , lavoratrice, madre e spesso nonna a sua volta... frequentemente questo ruolo è coperto principalmente da solo uno dei membri della famiglia.
Accade quindi spesso che ricoprire il ruolo del caregiver esponga a una vulnerabilità individuale, che non è da considerarsi indice di una rottura del legame con il parente accudito, quanto della volontà di mantenerlo ad oltranza.
Vorrei sottolineare che è necessario che il caregiver tenga cura anche di sé, auto – tutelandosi e, in un certo senso, riconoscendo la propria vulnerabilità anche se ciò spesso viene avvertito come una contraddizione, apparente ma inevitabilmente sentita: “come faccio a prendermi cura dei miei sentimenti, dei miei bisogni, delle mie emozioni e di quelli del mio familiare?”
Questo può spingere il caregiver a scegliere solo uno dei due termini della cura (l'altro) e a negare gli aspetti legati al sé qualificandoli come, per esempio, necessari ma impossibili da perseguire, oppure contrari ai propri valori, oppure egoistici.
Lo spazio per sé non solo viene a mancare, perché assorbito dalla cura della malattia del familiare, ma, quello che resta, viene “assorbito nel vortice” e diventa non possibile, non opportuno, o peggio ingiusto: “come faccio a pensare a me quando papà / mamma sta così male?”.
Questo complesso di vissuti è di indubbia valenza sociale e psicologica e, in una certa parte, non evitabile.
Da un'altra parte, specie quando la cura si protrae nel tempo, se a ciò non si affianca anche l'attenzione verso di sé, possono emergere sentimenti di burn out.
In questo caso è difficile che la propria fatica venga riconosciuta dal caregiver come frutto della natura della malattia e della difficoltà di prendersene più o meno carico. Accade più spesso che ciò venga introiettato in forme di sofferenza più specifiche: il sentimento di non dare cure adeguate e sufficienti (o al limite massimo di sentire sé stessi inadeguati), la frattura insanabile tra la fantasia di poter dare cure illimitate e il senso del proprio limite, la frustrazione di fronte al non vedere quei miglioramenti che, anche se “la testa mi dice che non possono esserci”, “la pancia un po' se li aspetta” e perciò non mi do pace.
È spesso molto importante prendersi degli spazi per sé, anche se a volte pare proibitivo (o al limite mi spinge a sentirmi in colpa), così come negoziare una giusta distanza emotiva.
L'incedere della malattia e il conseguente carico di assistenza rende spesso necessario rivolgersi a terze persone o istituzioni.
È una scelta importante e assistere ai bisogni di un familiare contempla la possibilità di prendere delle decisioni importanti, a volte difficili.
Chi sceglie spesso sente viva la responsabilità della sua decisione, che pur buona che sia viene sempre vissuta con grossi carichi emotivi, ma segue la consapevolezza di avere difficoltà ad attendere da soli in modo pieno ai bisogni del familiare anziano; è una decisione finalizzata a proteggere in primo luogo l'anziano.
È bene sottolineare che il rapporto di cura, tra familiare e anziano, non si esaurisce quando a una parte di quella cura provvede un terzo agente: questo rapporto si modifica, includendo altri elementi cardine su cui si appoggia la relazione di aiuto; migliore è il rapporto tra di loro, più efficiente è, nella globalità, la cura fornita.

Recentemente sono sorti diversi gruppi di automutuo aiuto, con la finalità di accompagnare il caregiver nelle difficoltà che il suo ruolo comporta. Ritengo possano essere un supporto sempre valido e spesso essenziale.
Chiunque volesse avere maggiori informazioni in proposito, o condividere un parere, può scrivermi
o contattarmi.

STEFANO LANDONI

info@studio-landoni.it
www.studio-landoni.it

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