Robin Dunbar: "Con i nuovi media l’etica non cambia"

"Il nostro problema è che
non siamo fatti per vivere in comunità così grandi. È un mistero come l’uomo abbia finito per scegliere di vivere in città così grosse
”, sarà su queste idee e su come la vita in comunità ristrette - tipiche dell’origine dell’umanità - sia portatrice di
valori etici e operi un
controllo sociale che sfugge all’età moderna, l’intervento di
Robin Dunbar al prossimo

TEDx Transmedia 
che si terrà a
Roma il
27 settembre, con la media partnership di Wired.

Docente di psicologia evoluzionistica a Oxford,
Dunbar è autore, tra le molte pubblicazioni e teorie, anche del
numero di Dunbar, la legge che determina il
numero massimo di persone con le quali un essere umano può stringere relazioni sociali stabili (spoiler: è 150).

All’evento TED organizzato in maniera indipendente, e tutto centrato sull’etica nei nuovi media,
Dunbar porterà la sua esperienza di antropologo e di studioso dei meccanismi attraverso i quali il
cervello umano stabilisce
relazioni, per raccontare da quel punto di vista sfide e legami che l’etica si trova ad affrontare oggi.

Dopo aver
incontrato
Simon Cohen
, adesso è a Dunbar che abbiamo chiesto se realmente i
nuovi media abbiano
regole etiche diverse dai vecchi.
“Il concetto e i presupposti dell’etica sono sempre gli stessi o almeno lo è la maniera con cui interagiamo con essa, non cambia con i nuovi media”.

Dunque è sempre più conveniente non attuare un comportamento etico?

“Sì, e questo è ancora più vero oggi perchè si è potetti dall’
interazione indiretta. Nella vita vera quello che agevola l’onestà è anche la compresenza, l’essere faccia a faccia, quindi il tono della voce, le espressioni del viso... In Rete al momento questo non è possibile, perchè la maggior parte delle interazioni sono basate sul testo, dunque è più semplice per le persone
presentarsi per quello che non sono”.

Quindi è la mancanza di compresenza fisica il problema?

“No, non è solo quello. Il problema è più grande e riguarda i luoghi in cui viviamo. All’essere umano fa bene vivere in comunità e per farlo stringiamo un contratto sociale, diamo via alcuni dei nostri interessi nel breve termine perchè sappiamo che
vivere in comunità ci darà benefici più grandi nel lungo periodo. Solo che in comunità grandi è facile barare e quindi prendere i benefici nel lungo periodo e anche quelli nel breve, comportandosi in maniere poco etiche”.

Dunque su cosa sarà il suo speech?

“Non ci ho ancora pensato”. (ride)

Ma nemmeno a grandi linee?

“È che faccio due speech a settimana. Dunque a quello della settimana prossima ci penso la prossima settimana ! A ogni modo già so che sarà sul modo in cui Internet riporta in primo piano il discorso della
reputazione. In piccole realtà, come i villaggetti rurali, tutto funziona grazie alla reputazione, è come una sorta di polizia.

"In comunità piccole c’è un forte controllo sociale e il tuo comportamento ti può perseguitare, perchè sai che gli altri vedono quello che fai e ne parlano. Penso che il problema della società moderna sia che è diventata così grande che
abbiamo perso il senso della piccola comunità. Se ora pensi a come Twitter o altri social media consentano di commentare il comportamento altrui capisci che il concetto di controllo sociale attraverso la reputazione può rientrare dalla finestra.

"Ma a questo punto la questione è tutta se le persone tengano o meno a quello che gli altri dicono online (perchè nelle piccole comunità tutti si conoscono e tengono alle opinioni altrui)”.

Su cosa sta lavorando adesso?

“Su progetto che studia la psicologia degli abitanti di comunità molto piccole per capire come mai avendo questa psicologia abbiamo creato comunità così grandi. Il punto è che questo sistema di avere grandi comunità non funziona. Perché le banche sono fallite? Perchè erano troppo grandi ed era possibile, per le persone che operavano nella finanza, comportarsi in maniere in cui il board non aveva controllo.

"Questo ha fatto sì che chi stava nella finanza non avesse più interesse a lavorare per il bene della comnuità o del paese ma solo per il proprio beneficio nel breve termine, e come sappiamo questo non è buono nè per la banca nè per il mondo. Intendiamoci, si tratta del modo naturale in cui si comporta l’uomo, ma se ci uniamo in comunità su scala globale
ci sono troppi posti in cui la gente può nascondersi e rompere il contratto sociale.

"E tutto questo non fa che peggiorare perchè le città si ingradiscono, nel 2025 l’80% delle persone nel mondo vivrà in una grande città, se unisci il dato alla globalizzazione (cioè al fatto che eventi accaduti dall’altra parte del mondo influiscono sulla tua vita) capisci come si arrivi a una perdita di fiducia e uno
sgancio delle persone comuni dalla vita politica. Questo deve finire, altrimenti l’Armageddon arriverà ben prima del cambiamento climatico”.

(Credit per la foto: )

 

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