Quel verissimo Pignolo friulano

Sembra un sollevatore di pesi Fulvio Bressan. Forte, deciso, taglia extra large. Con il sigaro penzolante parla schietto contro gli affaristi del vino e contro le mode del biologico chic. Ha 47 anni, alle spalle una laurea in Psicologia, studi a Bordeaux e soprattutto 8 generazioni di lavoro tra le vigne.

La sua famiglia iniziò nel Settecento a fare il vino. E lui è tornato alle origini, in 20 ettari di Farra d’Isonzo, in provincia di Gorizia, tra le Alpi e il mare che assicura brezza e tepori mediterranei. È convinto che la maggior parte dei vini del mondo siano «appiattiti nei caratteri e incapaci di sfidare il tempo a causa dell’uso indiscriminato della chimica». Lo scrive e lo ripete con veemenza, per questo si fa tanti nemici, al punto da essere escluso dalla manifestazione Super Whites 2011 a Milano per volere del Consorzio del Collio (il padre fu tra i fondatori), dopo un’intervista particolarmente corrosiva. Il ritorno alle origini è nelle regole che si è dato: una linea naturale che accompagna e non stravolge il vino nella sua evoluzione. Sicuro del suo credo enologico, Bressan ha cercato il vitigno più elegante del Friuli in via di estinzione. Si chiama Pignol. «Un vino da grandi occasioni», lo definisce il maître triestino Marco Andronico, campione mondiale alla Lampada, che lo ha voluto nella carta dell’Acquacotta, alle Terme di Saturnia, ristorante fresco di stella Michelin. Sembra misterioso all’inizio, anche per il lungo affinamento. Ma dopo qualche minuto muta nel bicchiere e diventa una esplosione di spezie, soprattutto pepe e mirtilli. Il Pignol di Bressan, di cui si trova ora sulle tavole l’annata 2000, è un vino vero, come il suo creatore.


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