Psicologia, sugli autobus domina comportamento antisociale

Ha trascorso gli ultimi tre anni macinando migliaia e migliaia di chilometri in autobus, nel coast to coast americano più lungo, curioso e meno lineare di sempre. E' così che la dottoressa Esther Kim, ricercatrice accreditata presso la prestigiosa Università di Yale, ha condotto il più approfondito e diretto studio sul comportamento sociale tenuto dai passeggeri degli autobus. “Viviamo in un mondo di estranei – ha sottolineato la Kim sulla rivista scientifica Symbolic Interaction – dove la vita, negli spazi pubblici, ci rende ancora più anonimi”. “Tuttavia – prosegue la studiosa – per evitare gli estranei si fa molta fatica e ciò è particolarmente vero quando ci si trova in spazi ristretti, come i mezzi pubblici”. Dall'incredibile esperienza condotta per fini accademici la ricercatrice ha concluso che sugli autobus emerge un desolante quadro di solitudine suffragato da un cosiddetto comportamento non sociale transitorio: vige in pratica una regola non scritta per la quale se vi sono altri posti doppi disponibili non ci si deve sedere accanto a qualcun altro. “Chi lo fa passa per strano”, ha spiegato la ricercatrice. “Ho analizzato – prosegue - il comportamento dei passeggeri e tutti adottano strategie comportamentali col fine di evitare che qualcuno si sieda al proprio fianco. Spesso si finge di essere occupati controllando i telefoni, rovistando nelle borse o guardando le persone appena passate”. Lo sguardo è la chiave di tutto: evitare in tutti i modi il contatto visivo con gli altri è, infatti, in cima alla lista stilata dalla Kim sui comportamenti antisociali adottati dai passeggeri. Seguono il posizionare oggetti sul sedile di fianco, sedersi sul sedile vicino al corridoio e mettersi le cuffie fingendo di non sentire chi chiede del posto lato finestrino, guardare fuori con lo sguardo perso e far finta di dormire. C'è persino chi mente dicendo che il posto è occupato da altri quando non è assolutamente vero. Il lato positivo risiede nel fatto che caratteristiche come razza, genere o classe sociale non erano il problema centrale (tutti, fondamentalmente, vogliono evitare tutti), piuttosto si aveva maggior timore per chi appariva come potenzialmente fastidioso o molesto. Il comportamento non sociale transitorio, secondo la Kim, in particolare sarebbe dovuto alle mille frustrazioni di condividere un piccolo spazio pubblico per lungo tempo: “in un bar – conclude la ricercatrice -, dove la gente è più rilassata, capita spesso di chiedere a degli estranei di guardare le proprio cose per un momento. Ma nelle stazioni degli autobus ciò accade molto più raramente perché si è tutti più stressati per ragioni differenti”.

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