Psicologia e videogiochi, AESVI e psicologi italiani analizzano il …

I videogiochi invadono, in maniera pacifica ma giusta, la Casa della Psicologia, la struttura che fa da centro nevralgico del ritrovo degli psicologi a Milano, con la suggestiva vista su Piazza Castello. A guidare la giornata c’è, chiaramente, Thalita Malagò, segretario generale di AESVI, accompagnata da psicologi o docenti di psicologia, tutti ben informati sul medium videoludico e intenzionati, in un incontro con stampa e con addetti al lavoro, a sensibilizzare l’attenzione della categoria al mondo che evolve.

Chi spiega la necessità di adattarsi a quello che il mondo offre adesso è Luca Mazzucchelli, tra l’altro pioniere dei colloqui con Skype, dell’incontro con il paziente via internet: «Innanzitutto un dato diffuso da Repubblica ha portato a una previsione di traffico del 2018 di cosa accadrà online: la condivisione di email si assesta, ma aumenterà la visione di video e anche il gioco online. Una previsione decisamente realistica, inficiata soprattutto dal grande successo che il video sta avendo in questi anni. Lo psicologo deve prendere atto di questo aspetto e deve capire come utilizzare il gioco per far stare bene le persone. La forma del mondo interroga la forma delle nostre prestazioni, non viceversa: siamo chiamati a fare attenzione a quello che ci circonda e non cercare di plasmarlo. Se il mondo va verso una certa direzione dobbiamo capire come entrare nel sistema e prendere noi la forma che il mondo ci dà. Il videogioco è uno degli strumenti educativi più forti che abbiamo adesso tra le nostre mani. Sfruttiamolo».

Immediatamente dopo prende la parola Thalita Malagò, segretario generale di AESVI, che forte del suo ruolo porta i dati dell’industria videoludica a tutta la platea, dimostrando quanta importanza abbia oramai raggiunto e acquisito il medium a noi più caro: «Il tema principale è quello della rappresentazione, di come immaginiamo le persone: sicuramente c’è un errore di partenza proprio da questo tema, perché ci immaginiamo sempre il videogiocatore come una persona dissociata, con difficoltà di integrazione, ma non è assolutamente vero. I videogiochi si considerano solitamente come un aspetto negativo, tenendo presente gli aspetti negativi che rappresentano e non quelli positivi. Guardiamo, però, i dati del mercato dei videogiochi in Italia vale circa 900 milioni di euro, stando ai risultati del 2014: questo numero significa che il mercato videoludico non è più un mercato di nicchia, ma di massa. A pieno titolo si inserisce in quella che è l’offerta culturale e creativa, che spazia dai libri ai film fino alla musica. I titoli più venduti in Italia nel 2014, tenendo presente un solo segmento, quello del pacchettizzato, vedono titoli diversificati nelle prime venti posizioni: lo zoccolo duro è sicuramente quello destinato a un panorama adulto, ma c’è anche un buon livello di titoli per tutti. Questo è il lato della medaglia che ne ha anche un altro, ovvero il pubblico di questi prodotti: in Italia nel 2011 c’erano 22,2 milioni di persone che giocano ai videogiochi, mentre nel 2015 sono 29,3 milioni. Non solo console e PC, ma anche smartphone e tablet, che chiaramente hanno contribuito a far aumentare il numero di videogiocatori. Anche la percentuale di uomini e donne è sempre più equilibrata: le donne che giocano ai videogiochi sono aumentate, tenendo sempre presente quali sono le preferenze di generi. Anche l’età dimostra che il pubblico è sempre più adulto».

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Si continua a parlare anche di famiglia, perché è inevitabile pensare, dopo aver visto l’aumentare del numero di adulti fruire del videogioco, ai genitori che passano del tempo con i propri figli: «Per quanto riguarda la famiglia, il 39% dei genitori gioca con i propri figli: ci sono tanti genitori che sono cresciuti con i videogiochi, che sono stati videogiocatori, e che quindi possono aver un ruolo attivo e non solo passivo. Il 50% li ritiene un modo per apprendere nuove capacità, il 58% pensa sia un modo per passare del tempo insieme. L’industria è da tempo impegnata sul tema dell’informazione al consumatore e alle famiglie: sono molti i bambini e i ragazzini che accedono ai videogiochi e per noi è importante avere delle determinate informazioni. Ci poniamo l’obiettivo di far arrivare ai ragazzini un prodotto adeguato». Ecco quindi che nasce il PEGI: «All’inizio degli anni 2000 è stato istituito il PEGI, un sistema di classificazione dei videogiochi che è diventato standard in oltre 30 Paesi europei. I criteri sulla base dei quali i videogiochi vengono catalogati sono pubblici, con un questionario che è distribuito e disponibile per tutti. È un sistema solido, perché la classificazione non è frutto di una scelta del publisher o dello sviluppatore, ma ha una prima valutazione da queste due figure che poi viene rivista successivamente, senza lasciare libero arbitrio a chi crea il prodotto: il PEGI, inoltre, è riconosciuto dalle istituzioni europee e nazionali. Si basa su due diversi tipi di classificazione, quella base per età (3, 7, 12, 16, 18) che non indica la difficoltà, ma l’età per cui è consigliato il videogioco in base ai suoi contenuti, con una classificazione in negativo e non in positivo. La seconda classificazione si basa sul contenuto, indicando violenza, linguaggio scurrile e tutti gli elementi che possono infastidire l’utilizzo del videogioco per i bambini».

Con il PEGI che però resta una classificazione esclusivamente europea, è emersa la necessità, di recente, di equiparare ed eguagliare tali etichette sotto un unico ente: nasce così lo IARC. Il mercato dei videogiochi ha subito e sta subendo una profonda evoluzione per la presenza di molti canali di distribuzione, soprattutto quella digitale che va sempre più forte, anche in Italia oramai, tutti che lavorano per una contemporaneità di lancio sul mercato, che quindi richiede un intervento rapido e tempestivo nell’etichettare i prodotti. Quando si parlava solo di retail il mercato era dominato da pochi fattori internazionali, che rappresentavano il mercato nella sua totalità. Grazie alla distribuzione digitale sono moltissimi ora i distributori indie che si auto-pubblicano, anche in Italia, di nuovo. L’anno scorso, quindi, è nato lo IARC che provvede a dare un’etichetta generica e valida internazionalmente. IARC segnala, nel suo etichettare un videogioco, potenziali interazioni con altre persone tramite la rete, l’acquisto in-app, che può essere tanto per i titoli mobile che per quelli per console, la condivisione del luogo dove ci si trova, quindi la geolocalizzazione, tutti elementi sensibili quando si parla di videogiocatori più giovani. Firefox Marketplace, Google Play, Microsoft Store, PSN e Xbox Live sono i servizi che hanno deciso di adottare lo IARC, che dopo un anno è già diventato un grande punto di riferimento».

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Dopo Thalita Malagò la chiusura è nelle mani di Giuseppe Riva, professore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano che si fa portabandiera del concetto di Psicologia del benessere e del concetto di Positive Play, il lato buono del videogioco: «Il videogioco non genera aggressività di per sé, il tema della violenza è un tema discusso, ma che probabilmente è discusso in maniera eccessiva, è più significativo il tema della dipendenza. La dipendenza da videogiochi online, un elemento critico, una parte che ha un certo peso, ma c’è anche un elemento positivo, perché i videogiochi fanno bene. Leggendo un po’ di più e informandosi c’è la possibilità di rendersene conto. Questo studio ci dice che i videogiochi migliorano il benessere e potenziano le capacità cognitive, l’attenzione per esempio, o anche il problem solving per avanzare nell’esperienza. Tutte situazioni positive non utilizzate a pieno e non sempre ben comprese: basti pensare anche all’innesto sociale, a questa situazione che va a favorire l’integrazione. La situazione pro sociale, che permettono di aumentare l’integrazione. Certo, i videogiochi fanno bene e fanno male, in egual misura, dipende come li utilizziamo, bisogna farne un utilizzo più razionale. Se però dovessi sottolineare un aspetto incredibile positivo dei videogiochi io punterei il dito allo storytelling, che è un elemento sul quale dobbiamo lavorare ancora molto, così da poter trasmettere determinati elementi, aspetti fondamentali, che possano dare delle morali: lo storytelling è sicuramente un aspetto fondamentale. Il videogioco deve generare un senso».

Il videogioco, insomma, si presenta anche all’Ordine degli Psicologi, alla presenza non tanto della stampa, quanto di addetti ai lavori che iniziano a omologarsi a quello che è l’avanzare del mercato. Fatto sta che del videogioco come grande potenza, della sua industria come indubbia forza di intrattenimento, se ne parla da tanti anni, sin da quando lo si fece all’attenzione dell’allora ministro Meloni nel 2010 a Palazzo Chigi. La situazione sarà anche cambiata, ma la stampa generalista continua a puntare il dito contro questo medium, che si tratti di stampa italiana o internazionale: la speranza è che tra e dalle mani di AESVI il cambiamento possa arrivare nell’immediato, continuando su questa strada, con questi incontri e con questi seminari, sia per la stampa per gli addetti ai lavori. Perché il videogioco permane un mezzo incredibilmente forte.

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