Psicologia e Omofobia: che fare con l’omofobia interiorizzata

Finalmente un importante Ordine professionale parla apertamente di omosessualità ed omofobia. Lo scorso 21 settembre, presso la sede dell’Ordine degli Psicologi del Lazio, sono state presentate le “linee guida per la consulenza psicologica e la psicoterapia con persone lesbiche, gay e bisessuali (Lgb)”. Gli psicologi si sono cioè interrogati su che fare con il mondo LBG (T no).

psicologia e omofobia

Ma che ne pensano gli psicologi italiani delle persone omo e bi-sessuali?

I risultati di una ricerca, svolta tra il 2009 e il 2013 in Campania, Emilia Romagna, Lazio, Piemonte e Puglia su più di 3000 psicologi dal prof. Lingiardi, lasciano di stucco: solo il 15% degli psicologi intervistati si sente abbastanza preparato su “tematiche cliniche e teoriche” relative all’omosessualità; il 25% non si sente per nulla preparato. Per nulla preparato 1 su 4.

Il concetto che l’omosessualità non sia una malattia è passato per il 76% del campione (e il rimanente 24%, che pensa?), ma il dato estremamente allarmante è che il 58% degli intervistati gestirebbe l’omosessualità conflittuale (cioè i dubbi di chi si sta interrogando circa il proprio orientamento sessuale) “cercando di convertire l’omosessualità in eterosessualità”.

In questi dati sconfortanti si mostra l’influenza ancor troppo marcata di alcune vecchie teorie psicoanalitiche, e il nefando influsso del modello di “terapia riparativa” di Joseph Nicolosi, secondo la quale gli omosessuali sarebbero degli eterosessuali cresciuti in contesti familiari sfavorevoli e dunque, per questo, potrebbero essere riportati allo stato “normale” di eterosessualità.

L’Ordine degli Psicologi del Lazio prende chiaramente le distanze da ogni tipo di terapia riparativa, e invita i propri iscritti a fare altrettanto.

Stefano Nardelli, co-autore delle “linee guida”, sostiene che cadere nel tranello di “terapie riparative” cercando “di convertire l’omosessualità in eterosessualità” produrrebbe “sola danni alla persona con aumento del disagio”. Uno dei maggiori problemi di natura psicologica riscontrabili all’interno di persone omo e bi-sessuali ha infatti a che fare con l’omofobia interiorizzata, cioè con l’interiorizzazione dei giudizi sociali negativi a carico degli omosessuali.

Il processo di interiorizzazione ha strettamente a che fare con l’ambiente in cui si vive. In pratica, impariamo a giudicare noi stessi per come ci giudica il mondo intorno a noi. Quindi, ad esempio, chi ha avuto la fortuna di crescere in compagnia di genitori amorevoli e pazienti avrà maggiore facilità nel giudicarsi degno di amore. Allo stesso modo, però, una persona omo- o bi-sessuale che si è trovata a contatto per buona parte della propria vita con una cultura omofoba e colpevolizzante, avrà maggior facilità nel colpevolizzarsi e svalutarsi perché, a furia di ripeterlo, un giudizio diventa vero, almeno per una parte di noi. Da qualche parte quel messaggio penetra, fa breccia, esiste, e può generare problemi di autostima, relazionali, ecc.  In pratica, è come se una parte di noi ci ripetesse in continuazione che facciamo schifo.

Interiorizzare l’omofobia è abbastanza facile in Italia, dove il tasso di omofobia sociale è più elevato rispetto al resto d’Europa: secondo uno studio dell’Unione Europea del 2008, in Italia solo il 67% delle persone accetterebbe di buon grado di avere un vicino di casa omosessuale, mentre il Europa il 79%.

Psicologi e degli psicoterapeuti correttamente formati possono sicuramente aiutare chi abbia interiorizzato dei giudizi negativi sul proprio orientamento sessuale a ritrovare autostima ed armonia. Molto rimane da fare nella formazione dei professionisti di ambito psicologico e a livello sociale per combattere l’omofobia sociale e prevenire il conseguente formarsi di omofobia interiorizzata. Iniziative come questa sono un utile primo passo.

Giovanni Porta, psicoterapeuta

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