Psicologia del Tifoso – Mondiali 2014

È scoppiata la febbre dei mondiali di calcio. Nelle piazze, nei locali, in televisione, sui giornali, internet e social-network Brasile 2014 è il fatto centrale, il catalizzatore dell’opinione pubblica, l’evento che più di ogni altro accomunerà milioni di persone nella liturgia del tifo, fatta di pronostici, di scommesse, di lunghe disamine sportive e soprattutto di aggregazione nazionale.Quasi nulla nel nostro Paese ha, come il calcio, la capacità di appassionare e di avviare una comunicazione incessante, di riunire le persone più diverse nelle case e nelle piazze in un sentimento intenso e stupefacente di appartenenza e di identità collettiva.

Una celebrazione nazionale. Il clima dei mondiali è da sempre quello della celebrazione italiana, dell’orgoglio nazionale. Lo dimostrano le bandiere sui balconi e il profluvio di gadget tricolore che nemmeno alla festa della Repubblica.L’eccitazione generata dalla competizione calcistica ha un che di esoterico, anche quando si cerca di osservarla con gli occhi della psicologia sociale. A partire dall’etimologia della parola tifo che, dal greco antico, denota un sentimento “abnorme” e irrazionalmente incondizionato verso qualcosa o qualcuno.

La dinamica collettiva dell’identificazione. Uno dei meccanismi psicologici alla base del fervore del tifoso è l’identificazione, ovvero la tendenza inconsapevole a percepire se stesso come parte della squadra e sentirsi quindi parte attiva nel successo o nell’insuccesso dei calciatori che sostiene. Infatti, i calciatori rappresentano gli  stereotipi maschili che esaltano caratteristiche altamente desiderabili: forza, prestanza, bellezza, ricchezza, successo, ma anche passione, perseveranza e spirito di gruppo. In qualche modo, incarnare il ruolo del tifoso verace, “sfegatato”, equivale sul piano emotivo a sentirsi e identificarsi piacevolmente con le virtù emblematiche della squadra.

Il tifo sportivo e la socializzazione del linguaggio. Così, quando la squadra gioca in modo ammirevole, onorevolmente, i tifosi vivono in prima persona l’orgoglio, il vigore, la bellezza del trionfo come se fosse proprio. Da questo punto di vista è indicativo il fenomeno della socializzazione del linguaggio, quando la gente dice “Abbiamo stravinto, siamo stati grandissimi”, per raccontare il successo della propria squadra. Questo uso creativo del plurale testimonia il grado di appartenenza e di partecipazione emotiva sollecitato dalla passione calcistica.

Una potente psicoterapia collettiva. Di recente, Edward Hirt, psicologo dell’Indiana University, ha ipotizzato che sentirsi attivamente tifosi della propria Nazionale ai Mondiali di Calcio possa migliorare l’autostima, incentivare le relazioni sociali e incrementare la fiducia nelle proprie possibilità. È sufficiente osservare l’immensa mobilitazione emozionale prodotta dalle competizioni della squadra italiana per persuadersi che Hirt descrive una realtà che prescinde dalla psicologia dell’individuo e riguarda, invece, altre e più potenti dinamiche relative alla psicologia delle masse.

Non è difficile intravvedere nel gigantesco meccanismo dei mondiali di calcio una pacifica metafora della guerra, con tanto di eserciti in opposizione con stemmi, canti e vessilli nazionali. Con tanto di comandanti, caporali e soldati semplici. Con tavoli strategici e convegni diplomatici, con eroi e reduci di battaglia. Da questa prospettiva, i Mondiali di Calcio si costituiscono come una bellissima terapia collettiva, ai nostri tempi più che indispensabile. Un costoso ma efficace esorcismo della guerra vera e della violenza vera tra gli Stati e negli Stati.

I più cinici parlerebbero di una massiccia operazione di distrazione di massa e guarderebbero con misantropia alle piazze e ai bar gremiti. Certo, sarebbe auspicabile che l’emotività e l’attenzione profusa nel calcio diventasse prima o poi coscienza nazionale e che ognuno riuscisse a identificarsi positivamente con esponenti e movimenti politici con la stessa passione con cui inneggia al calciatore di turno. Non come è già disastrosamente accaduto in passato ma con quello spirito autentico e pieno di valori positivi che saprebbe restituirci l’ideale di un Paese che appartiene a tutti, che funziona, che cerca di vincere per tutti e che onora l’orgoglio di ognuno di essere un cittadino italiano.

Siamo molto, molto lontani da tutto questo. Intanto, perlomeno guardiamo i Mondiali.



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